Come funziona la Corte penale internazionale: le competenze nel caso Ucraina

La Corte interviene sui crimini di guerra quando la sua competenza sia stata accettata dallo Stato nel quale l'atto è commesso, o da quello che si presume sia l'autore. Nel 2015 Kiev ha accettato la competenza ad hoc della Corte

Come funziona la Corte penale internazionale: le competenze nel caso Ucraina
Karim Khan
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15 Aprile 2022 - 10.46


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La Corte penale internazionale (Cpi) con sede all’Aia, lo scorso 3 aprile la Corte penale internazionale (Cpi) ha aperto un’indagine su sospetti crimini di guerra compiuti in Ucraina. Il procuratore capo, Karim Khan, che ha visitato Bucha, teatro di centinaia di uccisioni di civili attribuite da Kiev alle forze russe, ha dichiarato che l’intero territorio è “una scena del crimine” dove “abbiamo motivi ragionevoli per credere che vengano commessi crimini all’interno della giurisdizione del tribunale”.

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Flavia Lattanzi – già professore ordinario di Diritto internazionale dell’Università Roma Tre, già giudice ad litem del TPIR e del TPIY – ha riferito all’AGI che né la Federazione russa né l’Ucraina hanno ratificato lo Statuto di Roma che nel 1998 ha istituito la Cpi, ma nel 2014 e nel 2015 l’Ucraina ha accettato ad hoc la competenza della Corte per i crimini commessi sul suo territorio dal 2013 in poi.

Tale accettazione ad hoc implica per lo Stato in questione l’obbligo di cooperare con la Corte su vari aspetti, ma anzitutto ai fini della raccolta delle prove. In effetti la competenza della Cpi si accetta con la ratifica dello Statuto oppure con una Dichiarazione ad hoc, come quella del governo di Kiev.

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Si prescinde invece dall’accettazione degli Stati nel caso di una certa situazione in cui appaia che determinati crimini siano stati commessi e che viene rinviata alla Cpi dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ai sensi del Capo VII della Carta e cioè allorché i crimini siano collegati con una situazione di minaccia alla pace, rottura della pace o atto di aggressione. In questo caso tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno l’obbligo di cooperare con la Corte. Tuttavia nel Consiglio di sicurezza i membri permanenti hanno il diritto di veto, che nel caso dell’Ucraina sarebbe quindi utilizzato dalla Russia e forse anche dalla Cina.

La Corte penale internazionale è competente a occuparsi dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità e del crimine di genocidio nella misura in cui lo Stato sul territorio del quale il crimine sia stato commesso oppure lo Stato nazionale del presunto autore ne abbiano accettato la competenza. Essa è altresì competente a occuparsi del crimine di aggressione nulla misura in cui entrambi i due suddetti Stati ne abbiano accettato la competenza.

Alla Cpi possono pervenire le ‘notitiae criminis’ da qualsia fonte, pubblica o privata. Sulla base di tali notitiae il Procuratore decide discrezionalmente se iniziare o meno a indagare su una determinata situazione nella quale appaia che alcuni crimini di competenza della Corte siano stati commessi, ma ciò solo a condizione che non se ne occupi una giurisdizione statale. La competenza della Cpi non è infatti né esclusiva, né prioritaria, ma complementare a quella delle giurisdizioni statali.

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Già la fase preliminare dell’indagine sulla situazione comporta la necessità di una raccolta delle prove – testimoniali e documentali – soprattutto sul terreno dei crimini, ciò che può rivelarsi impossibile se manca la cooperazione dello Stato territoriale. Superata tale fase, il Procuratore, proprio sulla base delle prove, decide se iniziare un’investigazione su singoli individui specificamente identificati.

A questo punto si aprono due possibilità: un’azione motu proprio del Procuratore, ma sottoposta alla condizione dell’autorizzazione da parte della Camera preliminare oppure un’azione su rinvio della situazione da parte di uno Stato parte dello Statuto.

Nel caso dell’Ucraina, cosa mai accaduta, c’è stato il rinvio da parte di ben 43 Stati, Italia compresa. Il procedimento continua con una raccolta molto approfondita delle prove da parte degli investigatori dell’Ufficio del Procuratore, con l’individuazione dei testimoni disponibili a comparire in udienza, con la raccolta delle prove documentali e la richiesta della cooperazione a tal fine dello Stato di residenza dei possibili testimoni e la richiesta a qualsiasi Stato della cooperazione a tal fine e al fine di ottenere anche le prove documentali.

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Gli Stati parti dello Statuto hanno naturalmente l’obbligo di prestare la loro cooperazione, ma gli Stati non parti non hanno tale obbligo, salvo se la Corte opera su rinvio del Consiglio di sicurezza. Sulla base delle prove disponibili, il Procuratore emana un Atto di accusa con specifici capi di imputazione relativi a specifiche fattispecie di reato elencate nello Statuto e con l’indicazione altresì delle forme di responsabilità.

L’Atto di accusa può concernere uno o più individui. La Camera preliminare, su richiesta del Procuratore, decide un ordine di comparizione o un mandato di arresto nei confronti dell’accusato. Se l’accusato non compare volontariamente o non viene consegnato da uno Stato obbligato a cooperare con la Corte, il processo resta sospeso, in attesa del superamento di questo ostacolo, rappresentato dal processo solo in presenza che lo Statuto prevede.

Se l’accusato arriva davanti alla Corte, il processo inizia con il dovuto rispetto di articolatissime norme procedurali molto stringenti sulla sua condotta. La Cpi ha inoltre regole molto stringenti per quanto riguarda i diritti della difesa ed è tenuta a operare con imparzialità assoluta rispetto all’accusa e alla difesa.

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Qualsiasi prova è sottoposta al contraddittorio fra le due parti. La sentenza tanto di assoluzione che di condanna si impone agli Stati parti dello Statuto (o membri delle Nazioni Unite se la situazione è stata rinviata dal Consiglio di sicurezza) e si impone altresì il principio ne bis in idem: né l’assolto né il condannato può essere sottoposto a nuovo processo.

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