Il presidente russo Vladimir Putin schiera due delfini per pattugliare i fondali del porto di Sebastopoli, la base della flotta russa nel Mar Nero, colpita pesantemente dall’affondamento dell’ammiraglia, la Moskva. A ricostruire il ruolo dei due mammiferi nella difesa della flotta russa da attacchi sottomarini l’Istituto navale americano (Usni), sulla base di immagini satellitari.
Potrebbe trattarsi di due esemplari addestrati dagli ucraini ma finiti in mano russa nel 2014. Mosca ne avrebbe poi reclutato altri 5 da schierare nell’area. I militari russi avrebbero sviluppato un sistema per convertire il segnale eco dei delfini direttamente nella strumentazione di controllo rendendoli utili nel tracciamento in tempo reale di mine o qualsiasi oggetto in movimento sott’acqua.
La base di Sebastopoli è decisamente protetta, nella baia si può percepire nitidamente un sibilo che viene sparato per impedire anche l’avanzata degli incursori subacquei. I delfini rappresenterebbero un livello accresciuto di allerta. Una strategia militare non nuova.
Una balena “russa” è stata avvistata nel 2019 davanti alle coste norvegesi. Anche gli Stati Uniti hanno avviato il primo programma di addestramento di animali marini durante la guerra del Vietnam e ora sarebbero centinaia i “soldati” delle acque. Anche se l’animale da guerra più celebre degli ultimi anni resta un pastore belga: l’agente speciale K-9, che ha guidato con il suo fiuto il raid americano nel quale è stato annientato il leader dell’Isis Abu Bakr al Baghdadi, scovato nei sotterranei del suo bunker.