L’Europa e i suoi molti bivi. Dell’accelerazione del processo di integrazione dell’Ucraina nell’Unione europea, Globalist ha già dato conto. Ma un bivio non meno impegnativo riguarda le spese militari.
Il bivio riarmista
A darne conto, con la consueta accuratezza e puntualità, è la Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd).
“Gli Stati membri dell’Unione europea stanno aumentando le loro spese militari da diversi anni: il massimo si è avuto con i 217 miliardi di euro del 2021 (e si arriva fino a 275 miliardi di euro se si include il Regno Unito). Questo fa sì che gli Stati membri dell’UE-27 e il Regno Unito siano collettivamente al secondo posto a livello mondiale, dopo gli Stati Uniti e prima della Cina, e spendano quasi 5 volte più della Russia.
Sia l’Europa che la Russia hanno aumentato la loro spesa militare continuamente dal 2014 dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia. Come la storia ha costantemente dimostrato, ciò contribuisce a un “dilemma di sicurezza” in cui tutte le parti si sentono sempre più minacciate, che sia giustificato o meno. Uno scenario che spinge verso un confronto militare di cui già ora il popolo ucraino è la prima vittima. Oggi l’UE sta cinicamente sfruttando l’invasione dell’Ucraina come scusa per accelerare la sua militarizzazione e il suo sostegno all’industria delle armi, un processo iniziano molto prima della guerra. Oltre alle spese militari nazionali anche il bilancio UE metterà diversi miliardi di euro a sostegno dell’industria delle armi, dello sviluppo di armamenti all’avanguardia e del loro trasferimento dentro e fuori l’Unione.
Tra il 2021 e il 2027 ben 8 miliardi di euro saranno destinati alla ricerca e allo sviluppo della prossima generazione di armamenti, 1,5 miliardi andranno alla mobilità dei beni e delle truppe militari in tutta l’UE, e almeno 5 miliardi di euro saranno in gran parte utilizzati per “consegnare” armi ai paesi partner al di fuori dell’UE. Quest’ultimo importo che viene incanalato attraverso il presunto “Servizio europeo per la pace” può essere aumentato anche in maniera sostanziale se gli Stati membri lo decideranno, considerando che una parte significativa di esso è già stata utilizzata per rimborsare le consegne di armi all’Ucraina.
Inoltre l’industria delle armi è stata così tanto “sterilizzata” da avere ora accesso alla maggior parte dei programmi di finanziamento dell’UE come un “business normale”, dai programmi sociali a quelli regionali o ambientali. Centinaia di milioni di euro saranno quindi utilizzati anche per sovvenzionare questo controverso settore senza un controllo preventivo.
Ciò è tanto più preoccupante in quanto questo denaro andrà principalmente a beneficio dei grandi gruppi dell’industria delle armi, molti dei quali sono tra le prime 100 aziende del settore, e quindi grandi esportatori. E queste aziende hanno sede in Paesi europei che sono essi stessi tra i maggiori esportatori di armi.
Per esempio, il 59% dei finanziamenti stanziati finora dal fondo per la difesa dell’UE nel 2017-2020 va a 15 grandi beneficiar (i primi 5 sono Leonardo, Indra, Safran, Thales, Airbus), e molti di loro sono coinvolti in esportazioni di armi controverse, in gravi accuse di corruzione o nella produzione e manutenzione di armi nucleari. Più di due terzi (68,4%) del bilancio assegnato va ai “quattro grandi” paesi: Francia, Italia, Germania e Spagna, che si trovano rispettivamente al secondo, quarto, sesto e settimo posto nella classifica degli esportatori di armi del Sipri.
Aumentando esponenzialmente i suoi sussidi all’industria delle armi, l’UE sta largamente alimentando la corsa globale alle armi, che a sua volta alimenta i conflitti in tutto il mondo. Così facendo, l’UE sta tradendo la visione dei suoi padri fondatori che volevano prevenire una nuova corsa agli armamenti e dovrebbe piuttosto aumentare esponenzialmente i suoi finanziamenti per mezzi nonviolenti di risoluzione dei conflitti e delle tensioni, ampiamente sottofinanziati, e promuovere un nuovo ordine mondiale basato sulla sostenibilità, la giustizia e la sicurezza umana”.
Così Ripd.
Una denuncia argomentata
E’ quella sviluppata da Mario Barbati in un dettagliato report su MicroMega.it: “In un momento storico in cui l’Europa è sotto ricatto dalla Russia per i rifornimenti energetici e la Nato è impotente perché non può intervenire in Ucraina per ovvie ragioni, la priorità dovrebbe essere la Difesa europea. Ma anche con la guerra come con la pandemia, l’Ue paga le sue carenze storiche.
Non si capisce poi che cosa c’entri la legittima difesa del popolo ucraino, a cui le armi vengono inviate per non soccombere all’invasore, con la corsa al riarmo che sta infervorando tutti gli Stati europei ognuno per conto suo. Se infatti sommiamo la spesa militare attuale dei 27 Paesi dell’Unione europea (quindi non tutti Nato) otteniamo una cifra pari a quasi 233 miliardi di dollari, più di tre volte superiore ai 62 miliardi di dollari spesi dalla Russia.
È chiaro che questa somma andrebbe integrata, coordinata e fare questo richiederebbe una politica estera comune, un esercito comune europeo, rinunciare al principio dell’unanimità, in sostanza cambiare radicalmente l’architettura dell’Ue. Quanto di più lontano oggi.
Ma che servirebbe ad evitare, per esempio, che la Germania già dominante economicamente in Europa si potenzi ulteriormente come sta facendo anche militarmente per conto suo. In realtà, strutture militari esistono già da anni nelle istituzioni europee: l’European Peace Facility (mettiamo un velo pietoso sul nome) è il programma che ha consentito l’invio di armi europee in Ucraina. Ma poi senza una politica comune, ciascun Paese guarda al proprio riarmo e alla Nato.
Se solo un terzo dei membri Nato ha adempiuto alla spesa del 2 per cento ci sarà un motivo. La Nato in questi anni ha perso credibilità dando anche agli altri l’alibi delle guerre. Ora che sarebbe giusto intervenire, per bloccare un’invasione come si dice adesso “nel cuore dell’Europa” e fermare i crimini di guerra come quelli di Bucha, non può.
L’altro ieri ha invaso Afghanistan e Iraq provocando la morte di migliaia e migliaia di civili con la fandonia della “esportazione della democrazia”. A oltre settantacinque anni dal secondo dopoguerra e nell’attesa che l’essere umano cancelli per sempre la sua più terribile invenzione che è la guerra, si può restare alleati leali e riconoscenti degli Usa rendendo però l’Ue indipendente. Un attore politico autonomo, cioè, che possa amichevolmente anche dire di “no” alla Nato, che possa magari creare delle zone cuscinetto con la Russia e trattare con essa da pari a pari, visto che le finanziamo anche la guerra.
La cui guerra, si sa, non è solo un’atrocità immane ma anche un grande giro di soldi per i big della finanza. Solo il sistema di finanziamento del Programma europeo per lo sviluppo industriale della difesa (Edidp) è dominato da quattro aziende: Airbus, Leonardo, Thales e Indra Sistemas. Quattro grandi compagnie parzialmente di proprietà di quattro Stati: Germania, Italia, Francia e Spagna. Pronte a investire anche nel riarmo nazionale dei rispettivi Paesi. Parzialmente statali perché tra gli azionisti ci sono anche grandi fondi privati.
E chi sono i maggiori soci dei principali produttori di armi? Fondi americani, naturalmente. Un affare per l’industria delle armi. Dall’inizio dell’invasione in Ucraina il titolo di Leonardo ha guadagnato oltre il 30%. Tornando al riarmo italiano nella Nato, anche se il governo ha dichiarato che nel Def ci sarà un riferimento ma senza indicare cifre precise, secondo invece il sito americano Bloomberg il governo Draghi starebbe considerando di aggiungere già quest’anno 1,5 miliardi di euro al budget della difesa. Resta da capire in che modo si troveranno tali risorse, in un Paese che fa fatica a reperire sostegni pubblici per il vertiginoso aumento delle bollette…”.
Così Barbati.
Una spiegazione dettagliata
“L’Italia – rimarca Il Post – attualmente spende già 25 miliardi di euro l’anno, più o meno l’1,4% del Pil. Secondo tutti i sondaggi pubblicati nell’ultimo mese, gli italiani condannano la Russia – e ci mancherebbe pure – ma sono contro l’aumento delle spese militari, sostenendo di non ritenerla una scelta giusta in questa particolare fase storica. Evitare ulteriori, nuovi investimenti in armamenti consentirebbe di mettere qualche risorsa in più in settori martoriati da anni: sanità, scuola, sociale.
Per quanto riguarda le spese alcuni analisti hanno pubblicato liste piuttosto dettagliate su cosa potrebbero fare le forze armate con un budget aumentato di 13 miliardi di euro, soprattutto in termini di acquisti di mezzi. Ma in assenza di piani certi ci sono alcune indicazioni generali che possono essere avanzate, e che partono dalle principali esigenze delle forze armate allo stato attuale.
Alessandro Marrone dello Iai sostiene per esempio che una delle priorità di spesa delle forze armate dovrebbe riguardare la parte cosiddetta di “esercizio”, cioè quella che coinvolge la prontezza operativa delle forze armate e che «in Italia è sotto finanziata da 15 anni», dice Marrone. Si parla quindi di esercitazioni, logistica, e soprattutto della manutenzione dei mezzi, cioè dei carri armati, dei veicoli blindati, dei velivoli.
È normale in tutti gli eserciti che una parte dei mezzi e degli equipaggiamenti sia fermo o inutilizzabile, di solito per la manutenzione. Ma «in media la percentuale di mezzi inutilizzabili nelle forze armate italiane è maggiore che nei principali paesi Nato», dice Marrone, e questo è un problema che si potrebbe risolvere con più fondi.
In secondo luogo, un altro investimento nel caso di un aumento della spesa militare dovrebbe riguardare i settori delle forze armate creati più di recente, come il Comando per le operazioni in rete ( (brevemente: Comando cyber) e il Comando delle operazioni spaziali (Comando spazio), entrambi nati negli ultimi anni. La creazione di questi due nuovi “comandi” (cioè di strutture gerarchiche che coordinano le operazioni militari) indicano che ai soliti teatri operativi (terra, aria e mare) ormai da qualche anno le forze armate ne hanno aggiunti due nuovi: lo Spazio e Internet.
«La struttura del personale si deve adeguare a questi nuovi comandi, e quindi bisogna investire nello staff dei due comandi, che al momento è ancora modesto rispetto all’importanza sia nelle operazioni cibernetiche sia nella protezione degli asset spaziali», dice Marrone.
C’è poi un terzo comando che è stato ristrutturato di recente, che è il Comando interforze: semplificando molto, è quello che coordina e pianifica le operazioni che si svolgono su più teatri d’azione e che stanno diventando sempre più importanti. Anche questo potrebbe essere potenziato.
Infine, se e quando arriveranno nuovi finanziamenti per le forze armate è probabile che una parte consistente andrà negli “investimenti”, cioè nella progettazione e produzione di nuovi sistemi d’arma. Attualmente, il ministero della Difesa ha attive decine di progetti di approvvigionamento e sviluppo di nuovi sistemi d’arma, ed è difficile immaginare se e quali saranno potenziati, o se si investirà per lo sviluppo di nuovi programmi.
«La parte degli investimenti è la più delicata perché è particolarmente complesso capire quali equipaggiamenti ci servono maggiormente. Una buona indicazione generale è di investire in programmi di cooperazione internazionale: la prossima generazione di armamenti va sviluppata assieme ai nostri partner. I programmi nazionali portano a risultati generalmente inferiori», dice Marrone….”.
Fin qui Barbati.
Il j’accuse di un prete “scomodo”
“Putin è l’aggressore, uno zar che vuole l’impero, e il popolo ucraino va aiutato a difendersi, ma non dimentichiamo che la Russia si è sentita accerchiata dalla Nato e ha dato la zampata. E non dimentichiamo neppure quello che noi abbiamo combinato in Afghanistan e in Iraq. È lo stesso orrore”.
Presentando a Napoli il suo ultimo libro “Lettera alla tribù bianca”, edito da Feltrinelli, padre Alex Zanotelli ha espresso la propria opinione su quanto sta accadendo. “La mia angoscia è che andiamo a finire ad una guerra nucleare. Ecco perché ritengo che non ci possa essere più una guerra giusta. Il rischio è che ci giochiamo la vita di homo sapiens”.
Padre Zanotelli si è riferito anche alla presa di posizione dei Vescovi tedeschi che si sono detti d’accordo con l’invio delle armi agli ucraini: “Non si fa che gettare benzina sul fuoco. Di questo passo avremo una nuova ’cortina di ferro’ torneremo ai blocchi. Sarò cattivo ma anche questo è voluto: creare il nemico per continuare a fare guerra”.
Oggi si stanno compiendo delle “scelte scellerate”, ha continuato il religioso commentando le recenti notizie per cui il Governo italiano ha deciso di incrementare la spesa miliare: “il Parlamento ha votato la possibilità di incrementare le spese militari, di arrivare al 2 per cento del Pil. Di passare da 25 a 38 miliardi all’anno in armamenti (mentre in questi anni si sono tagliati 37 miliardi agli ospedali). Scelte scellerate”.
“Il complesso militare industriale ha in mano il potere. Negli Stati Uniti come altrove. I produttori e i commercianti di armi hanno bisogno del nemico, e se il nemico non c’è va inventato. E allora – sottolinea padre Zanotelli – non possiamo che aspettarci che il conflitto attualmente in corso in Ucraina sia la premessa di altri conflitti, di una nuova cortina di ferro, di un’alleanza Russia-Cina, di nuovi blocchi che inviteranno a costruire nuove armi”.
Pecunia non olet
La denuncia viene da uno dei più preparati analisti militari: Giorgio Beretta. “A partire dal 2011 l’Italia ha venduto alla Russia 250 blindati tipo “Lince” – spiega Beretta – A quel tempo non c’era alcun divieto, ma ne furono inviati alla Russia altri 83 blindati nel 2015, quando già nel 2014 era stata adottato da parte dell’Unione europea un embargo di armi verso la Russia stessa. L’unica cosa che l’Italia e i Paesi europei, perché il problema riguarda anche Francia e Germania, sembra che sappiano fare è inviare armi. Prima ai russi e adesso agli ucraini».
La vendita di armi all’una o all’altra parte, a seconda della convenienza del momento, rappresenta dunque un problema i cui effetti stiamo vedendo proprio in questi giorni. A beneficiarne, del resto, sono le industrie belliche, che in questi giorni vedono i propri titoli volare in Borsa.
«In tutto il mondo le industrie militari stanno guadagnando in Borsa, a partire dalle industrie americane, ma anche quelle italiane come Leonardo – insiste Beretta – Le azioni di Leonardo negli ultimi tre anni non hanno mai toccato il livello di 8,33 euro per azione che hanno raggiunto in questi giorni. Questo è l’effetto della guerra e tutti lo sanno benissimo».
Verità scomode. Che non trovano spazio sulla stampa mainstream.
Ps. Intanto la Finlandia ha chiesto di entrare “da subito” nella Nato. Un’altra mazzata alla prospettiva di una difesa comune europea.