Ho letto e riletto i virgolettati. Ho letto e riletto i resoconti delle agenzia di stampa e gli articoli degli inviati al seguito e i servizi dei Tg. Alla fine mi sono dovuto arrendere. Passando dall’incredulità iniziale all’indignazione. Ad Ankara ieri è andata in scena una tragicommedia all’italiana. Protagonisti il premier genuflesso e il sultano benedicente. Sullo sfondo, ministri ossequiosi, con la penna in mano pronti a firmare accordi a tutto spiano. Non una parola sui curdi. Non una condanna, ma sì anche mezza poteva andare bene, per la sistematica violazione dei diritti umani e delle minoranze praticata dal regime islamo-nazionalista con a capo Recep Tayyp Erdogan.
La conversione di Mario
E pensare che un anno fa, in un momento di assoluta ed encomiabile sincerità, Mario Draghi, in conferenza stampa, aveva definito Erdogan per quello che è: un dittatore. Spietato, aggiungiamo noi. Che ha riempito le galere di giornalisti indipendenti, di avvocati e attivisti per i diritti umani. Che ha incarcerato parlamentari liberamente eletto. E che sta continuando il massacro dei curdi e la pulizia etnica nel Rojava siriano. Il dittatore che usa i migranti come bombe umane per ricattare l’Europa. Il dittatore che ha invaso la Siria dopo che per anni aveva lasciato aperte le frontiere a migliaia di foreign fighters destinati a ingrossare le fila dello Stato Islamico nella guerra contro l’odiato, a quei tempi, presidente-macellaio siriano Bashar al-Assad. Un anno dopo, Mario Draghi in visita ad Ankara afferma che “Italia e Turchia sono partner, amici, alleati“.
Sì, avete letto bene: “partner, amici, alleati”!!!
Riportiamo ampi stralci di un servizio dell’Ansa, la più importante agenzia di stampa italiana.
“Il vertice intergovernativo tra i due Paesi ha portato alla firma di 9 accordi e “indica la volontà comune di rafforzare la collaborazione”, spiega ancora il presidente del Consiglio durante la conferenza stampa congiunta con Erdogan. Il fronte comune della condanna della guerra in Ucraina, e della ricerca di soluzioni, a partire dalla crisi del grano, che diano primi segnali di un percorso verso la pace.
Ma anche il coordinamento per la stabilizzazione della Libia. La collaborazione sul gas. Il futuro dei rapporti con l’Europa. Il vertice tra Italia e Turchia, a dieci anni dall’ultimo incontro intergovernativo, è per Mario Draghi sì l’occasione per rinsaldare il rapporto tra due paesi “partner, amici alleati”, ma anche per lanciare un avvertimento sui migranti all’amico Erdogan, alla Grecia, e all’Europa: gli sbarchi, che sono triplicati proprio sulla rotta orientale, oramai hanno raggiunto “il limite” anche per un paese aperto e accogliente come l’Italia.
Il vertice intergornativo tra Italia e Turchia “indica la volontà comune di rafforzare la collaborazione: Italia e Turchia sono partner, amici alleati”, ha detto Draghi al termine dell’incontro con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Italia e Turchia hanno firmato 9 accordi per “rafforzare la cooperazione”, ha riferito Erdogan. Il presidente turco ha fatto sapere che l’obiettivo per quest’anno è arrivare a un’interscambio economico di 25 miliardi di dollari. “C’è la volontà comune di rafforzare la partnership tra Italia e Turchia, i due paesi lavorano insieme per una pace stabile e duratura” .Lo afferma il presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa al termine del vertice. Draghi ha anche auspicato un rapido sblocco del trasporto delle derrate alimentari. Il premier ha tra l’altro ricordato i legami storici tra Italia e Turchia, primo partner commerciale nell’area del Medio Oriente. Oggi l’Italia ha bisogno di un partner come la Turchia per affrontare nodi cruciali: dai migranti all’energia, passando per la crisi del grano. Proprio su quest’ultimo punto Draghi assicura: “Si tratta di un piano incoraggiante, non occorre sminare i porti e sono stati individuati uno o più corridoi sicuri. Il gruppo di lavoro in cui la Turchia ha un ruolo centrale deve garantire che non ci siano attacchi russi e che le navi non portino armi. Le tre parti Onu, nazione Unite e Ucraina ci sono, si sta aspettando l’adesione del Cremlino“. Un concetto ribadito dallo stesso Erdogan: “Cerchiamo di essere un intermediario sotto l’ombrello dell’Onu e in una settimana-dieci giorni cerchiamo di arrivare a un risultato“ Un accordo tra Russia e Ucraina sul grano “ha un importantissimo valore strategico” perché “nel complesso degli sforzi per la pace sarebbe un primo atto di concordia, un primo tentativo di arrivare a un accordo per un fine che deve coinvolgerci tutti perché ne va della vita di milioni di persone nelle aree più povere del mondo”, ribadisce il premier Draghi al termine dell’incontro al palazzo presidenziale di Ankara. “Abbiamo davanti grandi sfide, a partire dalla guerra in Ucraina, e vogliamo lavorare insieme per affrontarle. Italia e Turchia sono unite nella condanna dell’invasione russa dell’Ucraina e nel sostegno a Kiev. Allo stesso tempo, siamo in prima linea nel cercare una soluzione negoziale che fermi le ostilità e garantisca una pace stabile e duratura. Una pace che l’Ucraina e il presidente Zelensky ritengano accettabile”, aggiunge Draghi. “Voglio ringraziare la Turchia per il suo sforzo di mediazione, in particolare per quanto riguarda lo sblocco dei cereali fermi nelle città del Mar Nero. Dobbiamo liberare al più presto queste forniture, e quelle di fertilizzanti, per evitare una catastrofe umanitaria e sociale nei Paesi più poveri del mondo”, prosegue Draghi. “Sono molto felice di ospitare il mio amico signor Draghi, primo ministro dell’Italia, e la sua delegazione”, esordisce invece Erdogan, nonostante le tensioni dello scorso anno. “I nostri negoziati” per un corridoio del grano nel Mar nero “vanno avanti. Al momento non abbiamo una crisi su questo, ma in Africa c’è un grandissimo problema. Per questo speriamo ci sia un accordo” tra Putin e Zelensky “anche sotto l’ombrello Onu. Cerchiamo di arrivare ad un risultato tra 10 giorni”, spiega il presidente turco. Che poi parlando della questione migratoria accusa Atene di respingimenti di migranti nell’Egeo: “La Grecia ha cominciato ad essere un minaccia anche per l’Italia”. Draghi invece commenta: “Noi siamo per una gestione dei migranti che sia umana, equa ed efficace. Noi cerchiamo di salvare i migranti che si trovano nei mari nostri o portati da altre navi, il nostro comportamento è eccezionale siamo il Paese più aperto ma ora il Paese non ce la fa più. Siamo il Paese meno discriminante e il più aperto ma anche noi abbiamo dei limiti e ora ci siamo arrivati”, sottolinea il presidente del Consiglio. Draghi inoltre chiede a Erdogan di “rientrare nella Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne” e aggiunge: “Nella nostra conversazione, abbiamo discusso anche dell’importanza del rispetto dei diritti umani“.
In Libia, come documentato con più articoli da Globalist, da tempo è in atto la spartizione della “Torta petrolifera” tra Turchia e Russia. Altro che stabilizzazione: assieme a Putin, Erdogan è tra gli attori esterni che più destabilizzano la Libia, finanziando e armano milizie locali, spacciate per eserciti nazionali, utilizzando per i lavori più sporchi mercenari jihadisti macchiatisi dei peggiori crimini – uccisioni di civili, stupri di massa, saccheggio etc. – in Siria, spostati poi dal sultano sul fronte libico.
Ma l’epicentro della vergogna è nel silenzio sui curdi. Un silenzio, quello di Draghi e del suo fido scudiero Di Maio, omertoso, complice. Ma coerente. Sì, coerente. Coerente con quanto deciso nel recente vertice Nato a Madrid. Sintetizzabile così: pur di ottenere il via libera dalla Turchia per l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza atlantica, i leader dei Paesi Nato hanno venduto a Erdogan i curdi. Draghi è tra quei leader.
Scriveva non molto tempo fa Davide Grasso su Micromega.net: “[…] La Turchia è un paese plurale, con una società ricca di pulsioni volte a una forma democratica del moderno. Con le sue purghe e la sua violenza il presidente ha però trasformato il paese in una prigione votata alla rifondazione legalizzata del jihad globale, disciplinato politicamente da una guida statale che siede nel Consiglio d’Europa e in quello della Nato. L’esercito turco tiene sotto il suo comando in Siria bande criminali come Ahrar al-Sharqiya e Failaq Al-Majd, che commettono crimini contro l’umanità e in cui militano ex miliziani di Daesh e Al-Qaeda.
Tali o simili jihadisti siriani sono stati mandati da Ankara a combattere in Libia, in Azerbaijan e persino in Kashmir. La legittimazione globale e comunicativa di un regresso globale del e nel mondo islamico, operata da Erdogan, non è meno pericolosa di altri fenomeni. Passa anche per le moschee che il governo turco finanzia in Europa: spesso centrali operative, ideologiche e propagandistiche di una Fratellanza musulmana sempre attiva nelle nostre società, come in Medio Oriente, per marginalizzare le musulmane e i musulmani che non condividono le rappresentazioni dell’islam proprie dei governi turco e qatariota.
Il jihad globale istituzionalizzato ordito oggi dall’abile Erdogan, predicato o armato che sia, si è formato sulle ceneri, ma anche in rapporto, con quello clandestino lanciato a suo tempo da Bin Laden. Questo non incontra gli interessi strategici e fondamentali dei mediorientali e degli europei che intendano vivere in pace, libertà e nel rispetto reciproco. Questi interessi non sono negoziabili perché sono tutt’uno con ciò che motiva concretamente l’avversione all’espansionismo coloniale di Putin in Ucraina, alle violenze israeliane in Palestina e che in passato ha motivato la giusta opposizione all’invasione angloamericana dell’Iraq. Permettere l’imprigionamento di militanti e combattenti per la libertà, e nuove guerre d’invasione, per accontentare Erdogan rende ipocrita la giustificazione usata per l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato: l’avversità alle invasioni e la deterrenza della loro possibilità.
Pensare che la sproporzione di interesse strategico tra Europa e Medio Oriente, e tra Mare del nord e Mediterraneo, sia così ampia da giustificare capitolazioni del genere significa avere una percezione della politica e degli equilibri mondiali forse inadatta persino al Settecento. Il Partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan non controlla, come Russia Unita di Putin, una potenza nucleare, né gran parte del capitale fossile; ma ne controlla gran parte del transito, e ha aspirazioni all’egemonia ideologica sull’intero mondo musulmano, dal Marocco all’Afghanistan. Credere che vendere al despota i suoi dissidenti e oppositori ci conduca alla pace è miope. Abbiamo interesse a vivere bene con gli altri popoli, che devono vivere bene a loro volta; questo ci permetterebbe di effettuare commerci più stabili, sicuri e giusti con le altre terre. Il “prezzo” da pagare per questo non è consegnare i curdi, ma aiutarli nell’ottica di favorire un cambiamento politico interno alla Turchia”.
Rilette alla luce della “conversione” di Draghi sulla via di Ankara, le annotazioni di Grasso appaiono “profetiche”.
Quanto poi a Di Maio. Altro che “conversione”. Qui siamo all’oscar del trasformismo, di passaggi di pensiero così arditi da essere oggetto di ricerche che sconfinano nella psicanalisi. Non c’è uno, dicasi uno, dei grandi temi dell’agenda internazionale sui quali il titolare della Farnesina non abbia compiuto giravolte da capogiro: sulla Palestina, sulla Nato, sulla Libia, sull’Egitto, ora pure sulla Turchia: chi può accedere a Google e abbia un pochino di tempo, faccia la chiave, su ognuno di questi temi abbinandoli alla parola Di Maio. Lasciamo perdere gli strafalcioni storico-geografici (Pinochet piazzato in Venezuela, esempio di scuola), o gli iniziali inciampi sull’inglese. Basta qualche lezione privata di lingua e qualche studio più approfondito sulla geopolitica per recuperare. E su questo Di Maio ha recuperato. Per il resto, siamo alla più totale, imbarazzante, genuflessione. All’iper atlantismo, ai dittatori come Erdogan o al-Sisi diventati partner imprescindibili per la stabilizzazione del Mediterraneo e del Medio Oriente. Qui siamo al voltafaccismo più sfacciato.
Resta poi una nota a piè di pagina. E riguarda noi. Noi giornalisti. Leggere certi articoli sulla missione di Draghi and partners ad Ankara, fa sembrare l’Istituto Luce di fascistica memoria una sorta di Bbc ante litteram. Manca solo Draghi dal petto villoso e dalle forti braccia immortalato mentre conduce la campagna del grano. A questo non si è ancora arrivati. Per adesso, è sufficiente esaltare il “Patto del grano” sottoscritto dal nostro premier con l’amico turco.
(prima parte)