Nello Scavo, inviato di Avvenire, è uno dei pochi giornalisti italiani – assieme, tanto per far nomi, a Francesca Mannocchi, Nancy Porsia e Sergio Scandura, che la Libia conosce come le proprie tasche.
L’Italia sotto accusa
Della Libia, Scavo ha svelato crimini contro l’umanità perpetrati dai signori della guerra e trafficanti di esseri umani, spesso in combutta tra loro. Della Libia Scavo e così Mannocchi, Porsia e Scandura hanno raccontato e documentato le peggiori nefandezze commesse dalla cosiddetta Guardia costiera libica finanziata abbondantemente dall’Italia.
Scrive in proposito Scavo: “Il «rischio reputazionale» per l’Italia è altissimo, dopo essere stata segnalata all’Onu per violazione dell’embargo sulle armi in Libia. Una «violazione tecnica» perché l’andirivieni di navi militari italiane a Tripoli, allo scopo di svolgere manutenzione per la cosiddetta guardia costiera, raramente viene notificata da Roma alla missione Onu. La denuncia è nell’ultimo rapporto degli investigatori delle Nazioni Unite che hanno consegnato al Consiglio di sicurezza un dossier di 367 pagine che pesa come un macigno sulle scelte politiche di questi anni. Davanti alla lista di crimini commessi dalle autorità libiche, sostenute da Italia ed Europa, la violazione dell’embargo rimproverata al nostro Paese sembra quasi un peccato veniale. Tuttavia è proprio grazie alla “manutenzione” italiana che le motovedette libiche possono continuare a commettere i crimini ancora una volta segnalati dall’Onu. Dalle sabbie libiche passano i destini della stabilità nell’Ue, compresa la guerra in Ucraina. Con la Russia che è stata scoperta a inviare armi a Tripoli nel pieno del conflitto contro Kiev. Munizioni con cui far pesare a Paesi come Italia e Francia la posizione assunta a sostegno dell’Ucraina, in una crescente sfera di influenza del Cremlino che nei giorni scorsi ha visto la compagnia petrolifera statale libica annunciare in sordina il taglio dell’export di idrocarburi verso l’Italia. «Il settore petrolifero pubblico si è trovato al centro di una lotta di potere tra la leadership della National Oil Corporation e il ministero del Petrolio e del Gas», spiega il report del “Panel of experts”.
Nell’ultimo anno sono stati registrati «scontri tra gruppi armati che hanno danneggiato le installazioni petrolifere» allo scopo di commettere estorsioni. Tensioni che negli ultimi giorni hanno riportato Tripoli sotto i colpi delle faide della criminalità politica, con l’aeroporto chiuso temporaneamente e almeno una ventina di morti. Nonostante la mancata cooperazione delle autorità gli ispettori sono riusciti a documentare ancora una volta la filiera del contrabbando del petrolio. Un business che per dare meno nell’occhio si serve di una rete internazionale che dalla Libia giunge in Europa attraverso Malta e Italia grazie a «navi multiuso più piccole, utilizzate contemporaneamente o consecutivamente per il trasporto di altre merci lecite o illecite», così da confondere gli investigatori e massimizzare i profitti. Tuttavia è stata registrata una diminuzione dell’export illegale complessivo via mare, compensato dalle esportazioni illecite via terra in direzione di altri Paesi africani. Ma c’è una domanda a cui il report ha dato una risposta che spazza via l’ipocrisia dei governi europei: quante sono le milizie del mare in Libia? Gli investigatori delle Nazioni Unite confermano l’esistenza non di una ma di almeno quattro “guardie costiere”, ciascuna legata a un diverso ministero e a differenti padrini, in lotta armata tra loro.
«Quattro distinte strutture di comando e controllo hanno svolto operazioni nelle acque territoriali e internazionali libiche: la Marina libica; la Guardia Costiera libica, anche sotto il comando e il controllo del ministero della Difesa; l’Amministrazione generale per la Sicurezza Costiera (Gacs) sotto l’autorità del ministero dell’Interno; oltre a unità marittime controllate dall’apparato di supporto alla stabilità», scrivono gli ispettori. Una frammentazione operativa voluta anche per ostacolare la capacità di «individuare le agenzie marittime libiche che hanno messo i migranti e i richiedenti asilo a rischio reale di gravi violazioni dei diritti umani».
Il nuovo dossier non trascura la situazione a Est, nella Cirenaica controllata dal generale ribelle Haftar sostenuto dall’Egitto e soprattutto dalla Russia. Proprio qui per 108 giorni 18 pescatori di Mazara del Vallo vennero reclusi e torturati per oltre tre mesi dal settembre 2020. Lo scorso anno i pescatori erano riusciti a riconoscere il capo dei loro aguzzini, ripreso durante un reportage di una tv francese. Adesso anche gli investigatori Onu non hanno dubbi e presto potrebbe scattare un mandato di cattura internazionale della magistratura italiana e di quella internazionale.
«Due ex prigionieri nella struttura di Kuwayfiyah – spiega il “Panel of experts” – hanno riconosciuto il capo delle guardie, il capitano Bashir Al Jahni, come autore diretto di atti di tortura eseguiti su di loro sotto forma di brutali percosse con bastoni di legno mentre erano costretti a rimanere nudi. Il gruppo di esperti ha stabilito che questi atti avevano causato lesioni fisiche permanenti e gravi traumi psicologici».
A subire le più brutali sevizie sono soprattutto i profughi «lungo le rotte controllate della tratta di esseri umani da reti di trafficanti di esseri umani; nei centri di detenzione per migranti; e in associazione con operazioni marittime». Ai nomi noti in passato – tra cui il sempre presente Abdurahman al-Milad, il comandante Bija ancora oggetto di sanzioni Onu per traffico di esseri umani e petrolio e nel frattempo diventato capo dei “formatori” della nuova accademia navale militare – si aggiungono figure in grado di ricattare l’Italia e l’Europa a colpi di barconi. Chiedono legittimazione, fondi e mano libera nei campi di prigionia governativi. Tra questi Osama Najim e Adel Mohamed Ali. Sono i responsabili del centro di detenzione statale di Mitiga, a Tripoli. «Najim e Mohamed Ali (noto anche come Sheikh Adel), hanno anche illegalmente trasferito detenuti da luoghi di detenzione sia non ufficiali che ufficiali di Tripoli alla struttura di Mitiga allo scopo primario di utilizzarli per il lavoro forzato come forma di schiavitù». Compreso l’arruolamento nelle milizie e la manutenzione delle armi.
Nel corposo fascicolo abbondano le copie dei documenti e delle immagini che incastrano i responsabili, comprese le mappe disegnate da alcuni ex prigionieri e poi riscontrate da sopralluoghi sul posto e immagini satellitari. Nonostante i depistaggi gli investigatori sono riusciti a ricostruire 26 eventi criminali che coinvolgono le istituzioni libiche. Si tratta di «gravi violazioni dei diritti umani commessi contro migranti e richiedenti asilo in tre contesti correlati di tratta di esseri umani e traffico di migranti: lungo le rotte della tratta di esseri umani controllato da reti di trafficanti di esseri umani; nei centri di detenzione per migranti; e in associazione con operazioni marittime». Una volta catturati in mare i migranti sono stati «illegalmente detenuti in condizioni sanitarie deplorevoli, con le vittime ridotte in schiavitù e torturate, duramente picchiate giorno e notte, deliberatamente fatte morire di fame». Tra i superstiti che è stato possibile soccorrere due ragazze che all’epoca avevano 14 e 15 anni, sono state «violentate ripetutamente, sottoposte a schiavitù sessuale e ad altre forme di violenza sessuale da parte degli ufficiali in un’area di detenzione segreta a Bani Walid».
Così Scavo
Omicidi, torture, schiavitù.
I migranti detenuti in Libia sono vittime di atroci abusi, in particolare le donne che vengono violentate in cambio di cibo e acqua. La denuncia arriva dalle Nazioni Unite che hanno redatto un nuovo rapporto sullo stato dei migranti detenuti in Libia. Rapporto precedente a quello documentato da Scavo.
Gli investigatori dell’Onu spiegano che i migranti che cercano di raggiungere l’Europa hanno subito violenze sessuali da parte dei trafficanti di esseri umani, spesso con l’obiettivo di estorcere denaro alle famiglie rimaste nei paesi di origine. “L’Onu ha fondati motivi per ritenere che crimini contro l’umanità siano stati commessi contro i migranti in Libia”. Il rapporto si basa su numerose testimonianze rese dagli stessi detenuti. Migliaia di migranti sono detenuti nei centri gestiti dalla Direzione per la lotta all’Immigrazione illegale (Dcim), in strutture controllate da gruppi armati non statali o tenuti prigionieri dagli stessi trafficanti.
Detenuti in modo “arbitrario e sistematico”, sono vittime di “omicidio, sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, stupro e altri atti disumani”, si legge nel rapporto presentato a Ginevra. Le donne migranti, anche minori, sono soggette a violenza sessuale e affermano di essere state “costrette a fare sesso in cambio di cibo o altri prodotti essenziali”. Tra le vittime di violenza sessuale figurano anche molti uomini. Gli autori del rapporto, inoltre, spiegano che proprio per il rischio “noto” di violenze sessuali, alcune “donne e ragazze migranti si sono premunite attraverso impianti contraccettivi prima di intraprendere il viaggio verso la Libia per evitare gravidanze indesiderate”. Una donna migrante, tenuta prigioniera ad Ajdabiya, ha raccontato che i suoi rapitori le chiedevano sesso in cambio di acqua, acqua di cui aveva bisogno per il suo bambino malato di sei mesi.
La missione conoscitiva, avviata nel giugno 2020 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha il compito di documentare gli abusi commessi in Libia dal 2016. Il suo mandato sta finendo ma un gruppo di paesi africani ha depositato una bozza di risoluzione per prorogarlo di altri nove mesi. Se ne parlerà alla fine della prossima settimana. Lo scorso ottobre, gli investigatori hanno assicurato che crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi in Libia dal 2016, anche nelle carceri e contro i migranti. Tuttavia, l’elenco degli autori di queste atrocità rimane riservato. I funzionari libici, intanto, si incontreranno questa settimana a Ginevra per discutere il progetto di quadro costituzionale per le elezioni in Libia, dove due governi si contendono il potere. La Libia è nel caos dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011.
La denuncia dell’Oim
L’Ue e i suoi governi nazionali continuano a distogliere lo sguardo dal “paesaggio infernale” delle condizioni dei migranti rimpatriati in Libia. L’accusa arriva direttamente dagli osservatori internazionali testimoni delle uccisioni, delle torture e degli stupri che si verificano nei centri di detenzione statali del Paese del Nord Africa. Le accuse di condiscendenza dell’Unione europea nei confronti delle forze libiche sono arrivate da Federico Soda, responsabile per la Libia dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’agenzia delle Nazioni Unite che monitora il fenomeno migratorio e offre assistenza ai governi coinvolti. “La maggior parte degli Stati membri tace su questi problemi in Libia”, ha detto Soda in una conferenza stampa a Bruxelles, alla fine di maggio. Su una serie di questioni nel Paese noi” osservatori internazionali “siamo l’unica voce”, ha aggiunto. “Questo è problematico. Ciò che mi preoccupa è una specie di acquiescenza”, ha precisato il responsabile dell’Oim interpretando così l’atteggiamento europeo: “Non è un problema sulla nostra sponda, quindi teniamolo lì”.
Secondo un recente rapporto Oim, nel 2021 si è raggiunta la cifra record di 32.425 persone rimpatriate in Libia dopo aver tentato di raggiungere l’Europa. I migranti intercettati sul territorio libico o soccorsi nel Mediterraneo vengono poi rinchiusi in centri di detenzione descritti come veri e propri lager.
L’Ue non solo viene accusata di non fare nulla per i diritti umani in Libia, ma anche di erogare finanziamenti alla guardia costiera libica per effettuare operazioni che dovrebbero limitarsi alla ricerca e al soccorso in mare. Ma Amnesty International accusa i libici di condotte sconsiderate, come il danneggiamento o il capovolgimento delle imbarcazioni pur di bloccare i migranti che cercano di lasciare le acque territoriali della Libia. Parlando con i giornalisti, il responsabile Oim per la Libia ha preferito non fare nomi di leader politici o singole autorità dell’Ue accusate di inerzia di fronte alle palesi violazioni dei diritti umani. “Penso che l’intera comunità abbia una responsabilità”, ha detto Soda, “perché quando le società diventano polarizzate come lo siamo stati noi sulle questioni migratorie, penso che tutti dobbiamo guardarci allo specchio e forse metterci nei panni e nelle condizioni dalle quali provengono queste persone”.
Questa è la Libia oggi. Della quale sembrano interessarsi, in chiave elettoralistica, solo il duo destrorso Meloni&Salvini. Con la prima che rilancia la sua idea di un blocco navale, facendo finta di non sapere che praticarlo, come hanno ripetuto a iosa generali, analisti militari ed esperti di diritto internazionale, equivarrebbe a una dichiarazione di guerra ad uno Stato sovrano, per quanto totalmente in balìa di un caos armato. Quanto al leader leghista, da Lampedusa ha rilanciato la linea securista sbandierata, più che praticata, agli infausti tempi in cui era ministro dell’Interno, dei porti sbarrati e barconi respinti, per impedire l’”invasione” dei migranti. Quanto al centrosinistra, tranne rare eccezioni, tutto tace. Forse la Libia non è contemplata nell’’”Agenda Draghi”. O forse si è sdraiati, senza volerlo sbandierare, sulla linea dello sciagurato rifinanziamento della Guardia costiera libica che, con trenta eccezioni, il governo Draghi ha varato col sostegno quasi unanime del Parlamento.