Un’ultra-nazionalista come il padre. Una teorica del social-bolscevismo come il padre. Daria Aleksandrovna Dugina, la figlia dell’ideologo ultranazionalista russo Aleksandr Dugin, è morta nell’esplosione del veicolo su cui viaggiava ieri sera, mentre tornava dal festival `Tradizione´, a cui aveva partecipato con il padre a Zakharovo, una cinquantina di chilometri a Sud-Ovest del centro di Mosca.
Classe 1992, Dasha – il vezzeggiativo russo del suo nome, con cui la chiamavano gli amici – era laureata in filosofia all’Università statale di Mosca e aveva approfondito gli studi sul neoplatonismo, ma rivendicava come riferimenti culturali anche Antonio Gramsci, Martin Heidegger e il sociologo francese Jean Baudrillard.
Nonostante non abbia mai ricoperto una posizione ufficiale nel governo, Dugin è considerato uno stretto alleato del presidente russo ed è definito da molti in Occidente come «il Rasputin di Putin». In Russia, la sua reale vicinanza e influenza sul leader del Cremlino è da molti messa in discussione.
Filosofo e politologo, Dugin è esponente della corrente eurasista del nazionalismo russo, che promuove la creazione di una superpotenza attraverso l’integrazione della Russia con le ex Repubbliche sovietiche. I suoi lavori sul `mondo russo´ e l’Eurasia sono considerati tra quelli che hanno ispirato in parte l’ideologia ultranazionalista a cui aderiscono molti al Cremlino e che ufficialmente giustifica l’invasione russa dell’Ucraina.
La stessa figlia Daria, giornalista epolitologa, sosteneva apertamente la guerra contro Kiev. Appare tra gli autori di un libro in uscita in autunno proprio sul tema del conflitto: il titolo è `Libro Z´ dalla lettera diventa simbolo del sostegno all’invasione. Aveva lavorato, tra gli altri, per le emittenti filo-Cremlino Russia Today e Tsargrad Tv con lo pseudonimo di Daria Platonovna.
A giugno, Dugina era entrata nella blacklist del Regno Unito per «avere espresso appoggio o promosso politiche favorevoli all’aggressione russa dell’Ucraina». A maggio, in un’intervista, aveva descritto la guerra come uno «scontro di civiltà» ed espresso orgoglio per il fatto che sia lei che suo padre (sanzionato dagli Usa già nel 2015 per il suo presunto coinvolgimento nell’annessione russa della Crimea) fossero finiti nelle liste nere dell’Occidente.