Sull’integrità territoriale dell’Ucraina si schiera con l’Occidente. Sulla Siria, invece, cerca l’accordo “spartitorio” con Mosca. Gioca a tutto campo, Recep Tayyp Erdogan, con l’indubbia abilità di vestire più maglie, a volte pure quella di arbitro, nel corso di una partita che si gioca su più piani e scenari.
La Crimea è Ucraina…
Ankara sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina e respinge l’annessione illegale della Crimea, ha affermato il presidente turco. “Il ritorno della Crimea all’Ucraina, di cui è parte inseparabile, è essenzialmente un requisito del diritto internazionale”, ha sostenuto Erdogan in un videomessaggio al secondo summit internazionale della Piattaforma di Crimea. Lo riporta l’agenzia Anadolu.
La Piattaforma di Crimea è un meccanismo di coordinamento internazionale promosso da Kiev per attirare più attenzione sull’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014.
“Garantire la sicurezza e il benessere dei nostri compatrioti tartari di Crimea è anche tra le priorità della Turchia”, ha assicurato Erdogan. Il presidente turco è tornato a chiedere il rilascio di Nariman Dzhelyal, il vicepresidente del ‘parlamento’ dei tatari di Crimea e di almeno altri 45 tatari – la minoranza etnica di lingua turca, da sempre contraria all’annessione – detenuti dalla Russia dal 2021.
Ma sulla Siria è tutt’altro discorso
A darne conto è una documenta analisi per Agi a firma Giuseppe Didonna. Scrive tra l’altro Didonna: “Il presidente turco, costretto ad abbandonare l’opzione delle bombe, non rinuncia a cacciare i separatisti dal proprio confine meridionale e costituire una security zone profonda 30 chilometri, ma valuta altre opzioni che passano da Damasco, con la benedizione di Mosca.
Nell’ultimo anno Ankara ha cambiato strategia e ha riallacciato relazioni con Paesi con cui i rapporti erano stati azzerati da tensioni, divergenze e polemiche di diversa natura. Con Emirati Arabi, Israele e Arabia Saudita la normalizzazione è ben avviata, con Egitto e Armenia il dialogo va avanti, ora la Siria potrebbe essere l’ultimo capitolo del cambio di strategia di Erdogan.
“In politica non c’è spazio per il rancore, bisogna sempre essere aperti alla pace e cogliere l’occasione per parlare”, ha detto Erdogan venerdi scorso, rispondendo a una domanda su un possibile riavvicinamento con il regime di Damasco.
Un cambio di strategia su cui è stato chiaro negli scorsi giorni il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, il quale ha rivelato di aver avuto un colloquio con il collega siriano, FaisalMekdad, unico ma significativo contatto ufficiale tra Ankara e il regime di Damasco dall’inizio del conflitto in Siria nel 2011. Il ministro turco ha invitato il regime e l’opposizione a scendere a compromessi e parlarsi.
“L’unica soluzione che può garantire l’integrità del Paese è politica”, ha detto Cavusoglu. Il ministro turco ha ribadito l’impegno della Turchia a lavorare per una riconciliazione e la necessità di una amministrazione centrale “forte” che possa “prendere decisioni e tenere unito il Paese”.
Integrità territoriale e centralità che presuppongono la fine del sogno dello Ypg di costituire uno stato curdo nel nord est della Siria. Le cruciali elezioni del 2023 che vedono Erdoganapparentemente sfavorito, spingono il presidente turco a cercare una soluzione contro i curdi di Ypg.
Ma allo stesso tempo Erdogan deve scongiurare un’entrata a gamba tesa nel Nord-Est del Paese da parte del regime di Damasco che causerebbe l’ennesima ondata di profughi verso la Turchia. Proprio la sicurezza, il contrasto ai separatisti di Pkk e Ypg, insieme alla questione migranti, costituiscono alcuni dei principali temi di una campagna elettorale per le cruciali elezioni del 2023 che si preannuncia rovente.
Un riavvicinamento ad Assad, con adeguate garanzie da parte di Russia e Iran, costituirebbe per Erdogan la maniera più rapida per trovare una soluzione sia contro i separatisti, sia per i migranti siriani, quelli che Ankara non può più accogliere e i tantissimi scappati in Turchia dopo la guerra che l’opposizione promette di “rispedire a casa”.
Ancora una volta sono le relazioni con Putin a offrire a Erdoganuna possibile, seppur complicata via d’uscita. I due leader hanno parlato di Siria il 19 luglio scorso a Teheran, un dialogo cui ha preso parte anche il presidente iraniano, Ebrahim Raisi e sono tornati sull’argomento in occasione della visita di Erdogan a Sochi il 5 agosto. Erdogan cercava il semaforo verde per un’operazione militare e il no di Mosca e Teheran ha indirizzato la strategia sulla via del dialogo con Assad. Il dittatore siriano è rimasto al potere grazie all’intervento di Putin, che gli ha riconsegnato buona parte del Paese e ricomposto un puzzle cui manca solo il Nord della Siria, una parte della quale è sotto il controllo della Turchia, un’altra parte sotto il controllo di Ypg.
Rimangono dubbi sulla polveriera di Idlib, rifugio di diversi gruppi di opposizione ad Assad nel Nord-Ovest, molti dei quali vicini proprio alla Turchia che non hanno poi esitato a bruciare bandiere turche in strada quando Cavusoglu ha aperto al dialogo con Damasco.
Negli ultimi mesi sia la Russia che gli Stati Uniti hanno spinto per un riavvicinamento tra Ypg e Assad. Gli Stati Uniti continueranno, nonostante le polemiche con Ankara, a sostenere Ypg, che permette a Washington di essere presente nel Nord della Siria. Putin, nonostante i buoni rapporti con Erdogan, non rinuncerebbe mai ad Assad e a un’alleanza che consente alla Russia di tenere un piede in Medio Oriente e uno nel Mediterraneo.
Condizioni che Erdogan è costretto ad accettare, alla luce del fatto che il governo turco non è stato capace in tutti questi anni di riunire la frammentatissima opposizione siriana in una entità che potesse rappresentare un’alternativa ad Assad.
Il sentimento anti-siriano monta nel Paese e viene cavalcato dai partiti di opposizione che promettono il rimpatrio dei migranti e accusano il presidente turco di aver garantito accoglienza ai siriani e aver così dato un ulteriore colpo alla disastrata economia nazionale.
Erdogan è costretto ad agire e cercare nuove strade per sciogliere il nodo dei profughi siriani e potrebbe presto avere bisogno di Assad più di quanto quest’ultimo potrebbe aver bisogno di Ankara. Uno stallo per risolvere il quale ancora una volta, potrebbe essere decisivo il presidente russo, Vladimir Putin”.
Così Didonna .
Il “Figaro” di Ankara
Preziosa è la lettura che ne dà su Start magazine Francesco Galietti, esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Soner: “Tutti lo vogliono, tutti lo cercano: Erdogan è un Figaro della geopolitica contemporanea, capace di giostrare su tutti i tavoli che contano. Il leader turco è un consumato giocatore. Prima o poi, a uno a uno, tutti i protagonisti delle scene mondiali devono passare da lui e ottenere il suo beneplacito. Senza, fanno poca strada. È il caso di Svezia e Finlandia, il cui ingresso nella Nato era inizialmente osteggiato da Ankara. Analoga sorte è toccata a Mario Draghi, che dopo pochi giorni a Palazzo Chigi aveva definito Erdogan un dittatore, specificando però che si tratta di un dittatore ‘di cui si ha bisogno’. Draghi intuiva fin da subito che il confronto tra Occidente ed Eurasia sarebbe stato uno scontro tra democrazie da una parte e autoritarismi dall’altra, con alcune indispensabili eccezioni. Una di esse è rappresentata dalle petro-monarchie del Golfo, l’altra dalla Turchia, potente membro Nato sui generis.
Dalle nostre parti, già quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi con la sua politica estera delle ‘pacche sulle spalle’, Erdogan faceva spesso capolino nei resoconti giornalistici romani. Di questi tempi, poi, la lista di dossier di comune interesse per Roma e Ankara è particolarmente corposa. Al primo posto viene la stabilizzazione della polveriera libica, per evitare ondate di migranti e mettere in sicurezza i pozzi Eni. Ma in Cirenaica si sono accomodati i russi, che di consentire all’Italia di ‘emanciparsi’ dalle forniture energetiche di Mosca non ne vogliono sapere. Intensi, e sempre guidati da interessi energetici, sono poi i dialoghi sul Levante, le cui acque sono ricche di giacimenti di gas. Israele ne ha fatto una priorità strategica, la Turchia vuole rimanere al centro della partita e l’Italia segue a sua volta con grande interesse gli sviluppi. Non è un caso se i vertici istituzionali israeliani hanno riallacciato i rapporti con la Turchia. Alla fine dello scorso anno, fu proprio Erdogan a spendersi in prima persona per il rilascio di turisti israeliani arrestati con accuse di spionaggio. L’intervento valse a Erdoganil plauso ufficiale del premier Bennett e del presidente Herzog. Tempo prima, a novembre, le cronache avevano registrato un incontro decisamente degno di nota ad Ankara tra Erdogan e il crown prince di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed Al Nahyan, a valle di ulteriori con il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sisi e con il potente National Security Adviser emiratino, SheikhTahnoun bin Zayed Al Nahyan.
Di Erdogan colpisce soprattutto l’abilità nel cambiare registro. Nei primi anni Duemila, Erdogan provava a capitalizzare soprattutto l’impetuosa crescita economica della Turchia, che in tanti volevano cavalcare a suon di commesse ed investimenti. Oggi, invece, Erdogan mette sul piatto della bilancia soprattutto il peso geopolitico del suo Paese. Il contesto, manco a dirlo, è cambiato radicalmente. Il sogno coltivato da Berlusconi di una sostanziale concordia tra Occidente ed Eurasia e di un riavvicinamento tra ex-nemici, è in frantumi. Erdogan e i suoi strateghi capiscono che a questa riattivazione dei campi di forza della geopolitica corrisponde una grande opportunità strategica per la Turchia. Ankara, infatti, sa che l’Occidente, impacciato com’è dal dibattito democratico interno, accusa grosse difficoltà. Proiettare forza fuori porta, in particolare, appare una fatica immane: tocca convincere opinioni pubbliche volubili, far votare interi parlamenti, fare i conti con continui inciampi. Ankara non ha di questi problemi.
Che si tratti dei Balcani, della sponda Sud del Mediterraneo, del Golfo, del Levante o del Corno d’Africa, i militari turchi sono ovunque. Onnipresenti, poi, sono gli inafferrabili operativi del Millî İstihbarat Teşkilatı (Mit), l’intelligence turca. A sostenere questo rinnovato attivismo è anche un complesso reticolato di schemi culturali e alleanze. Il sostegno accordato alla Fratellanza Musulmana è molto noto. Da anni, poi, la Turchia ripropone con vigore la formula del panturanismo, l’idea di un’unione di tutti i popoli di etnia turca che si estende dai Balcani fino allo Xinjiang, in Cina, e che ha nella Turchia l’inevitabile punto di riferimento. Sarebbe un errore – avverte in conclusione Galietti – ritenere che tutto ciò sia frutto della sola figura di Erdogan e non invece di un deep state. I suoi membri sono cresciuti con gli occhi fissi sul mappamondo, e nulla lascia credere che questa tendenza possa cambiare in futuro”.
Le carte del Sultano
Di grande interesse è anche una intervista a Il Sussidiario di Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata.
“Erdogan, come altri attori della Nato, pensa al proprio interesse nazionale e può permetterselo, perché la Turchia ospita molte basi Nato, è un asset importante e per questo l’Alleanza atlantica se lo deve tenere. E lui ne approfitta: fa affari con la Russia e fa pesare la sua posizione geo-strategica, che gli ha permesso di ricattare l’Europa sui migranti – rimarca Mercuri -. Ricordiamoci che abbiamo pagato per tenerli in Turchia ed evitare che invadessero i nostri Paesi. Strategicamente quindi ha saputo usare la sua posizione pur rimanendo nella Nato.[…]. Da un lato Erdogan è nella Nato, ma dall’altro ha buoni rapporti con la Russia; la Turchia è uno dei maggiori importatori di gas russo e anche di armi. I rapporti sono sempre stati piuttosto distesi, anche se in contrapposizione in Libia e in Siria: una contrapposizione controllata.
Continua a essere un interlocutore corteggiato, anche se personalmente auspico che l’Unione Europea e soprattutto la Francia, che sostiene la necessità di un dialogo con il Cremlino, facciano la loro parte. Per Erdogan è importante la proiezione marittima nel Mar Nero e anche nel Mediterraneo con la creazione di zone economiche esclusive: ha ambizioni egemoniche marittime e vuole sfruttare questa crisi per realizzarle”. Quanto a un eventuale intervento di Putin nel determinare il “no” di Erdogan, così la pensa la professoressa Mercuri: “Non credo che Putin sia intervenuto. Ritengo invece che la Turchia abbia deciso autonomamente di sfruttare la sua posizione per ottenere maggior spazio di manovra in teatri come Libia e Siria. E magari per avere i famosi caccia F16 americani la cui vendita è stata bloccata da tempo. Il tema su cui fa leva è uno dei temi più scontati, cioè che la Svezia sostenga i curdi in Siria che lui considera terroristi”.
Se non è gioco a tutto campo questo… Un gioco in cui tutto è permesso, almeno al player principale: Erdogan.
Argomenti: guerra russo-ucraina