Nemici della democrazia, golpisti mancati. «Se ci sarà un’incriminazione di Donald Trump per cattiva gestione di informazioni classificate, dopo la debacle Clinton…allora ci saranno rivolte nelle strade»: il senatore repubblicano Lindsey Graham, uno dei più stretti alleati del tycoon, evoca lo spettro di una guerra civile nel caso il dipartimento di Giustizia decida di mandare a processo l’ex presidente in quello che qualcuno ha già ribattezzato il `Mar-a-Lago-Gate´. Tanto più, come ricorda velatamente, dopo la controversa archiviazione dell’Emailgate, lo scandalo del server privato usato dall’allora segretaria di Stato Hillary Clinton anche per la gestione di informazioni classificate e delle migliaia di email cancellate.
Un precedente dell’epoca Obama invocato anche dal Wall Street Journal in un editoriale per chiedere che per Trump siano usati gli stessi standard, a meno che non emergano «nuovi dettagli». Su una linea opposta – a conferma della polarizzazione del Paese – il New York Times e il Washington Post, che sollecitano il dipartimento di Giustizia ad andare avanti anche a rischio di una «escalation politica» e di «tumulti» per evitare «la percezione che l’America stia diventando una repubblica delle banane» e di mandare «un pericoloso messaggio di impunità».
A far salire la tensione è anche la minaccia dei Repubblicani, spinti dall’ala trumpiana del partito, di lanciare una serie di contro-inchieste contro l’amministrazione Biden se conquisteranno la Camera a Midterm. In cima alla lista, gli affari all’estero (in particolare in Ucraina e Cina) di Hunter Biden, quando il padre Joe era vicepresidente, e l’indagine tuttora pendente sulla sua presunta evasione fiscale. Nel mirino anche l’attorney general Merrick Garland per la asserita `politicizzazione´ della giustizia dopo il suo ok alla perquisizione dell’Fbi a Mar-a-Lago.
Nella blacklist figura inoltre il segretario alla Sicurezza interna Alejandro Mayorkas per la gestione della crisi migratoria, con un record di 1,8 milioni di clandestini arrestati al confine col Messico dallo scorso ottobre: 32 deputati repubblicani già sostengono una risoluzione di impeachment. Non manca il famoso immunologo Anthony Fauci, il consigliere della Casa Bianca per la lotta al Covid, sospettato di aver minimizzato la tesi sull’origine del coronavirus in un laboratorio cinese.
In genere il partito di opposizione che controlla la Camera usa i suoi poteri di controllo per rendere la vita difficile al governo: lo fecero i repubblicani con la Clinton per il caso Benghazi, mentre i dem hanno lanciato le inchieste sui rapporti di Trump con la Russia, l’Ucraina e l’assalto al Capitol. Ma ora si rischia che la politica diventi solo battaglia giudiziaria in un clima avvelenato di vendetta. Dove le minacce arrivano anche al personale degli Archivi Statali che hanno denunciato la scomparsa dei documenti classificati: carte che il tycoon conservava in luogo insicuro in mezzo a menù e ritagli di giornali, portandoli persino nella camere d’albergo nei suoi in viaggio all’estero, inclusi Paesi considerati avversari.
Trump ora non trova di meglio che chiedere «nuove elezioni immediatamente» accusando l’Fbi di aver insabbiato prima del voto la storia del computer di Hunter con presunte email sull’aiuto del padre nei suoi affari ucraini. Nel frattempo ospita e rilancia sul suo social Truth, sempre più in difficoltà finanziarie, decine di account cospirazionisti legati alla teoria QAnon. Tra i messaggi ripostati una immagine dello stesso ex presidente su un trono con una corona e l’emblema Q di QAnon dietro di lui, nonché un appello alla «guerra civile»: quella evocata dal senatore Graham.
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