Mediterraneo orientale. La rotta della morte e la vergogna greca.
La tragedia in mare continua. Sono due gli episodi che hanno coinvolto i migranti, due diversi naufragi avvenuti nei giorni scorsi, ore, nelle acque della Grecia, per un bilancio drammatico: 15 morti e almeno 80 dispersi. Secondo quanto riferito dai media locali, il primo episodio è avvenuto al largo dell’isola di Kythira, dove circa 70 persone risultano disperse mentre altre 30 sono state salvate e riportate a terra al porto del villaggio di Diakofti. In base alle ricostruzioni sulla barca a vela c’erano circa 95 persone. L’operazione combinata per i soccorsi ha coinvolto navi in mare, vigili del fuoco e polizia a terra. Inoltre, la Guardia costiera greca ha recuperato vicino all’isola di Lesbo i corpi di 15 migranti, tutte donne, che si trovavano a bordo di un gommone affondato ieri a causa del forte vento, a Est dell’isola: lo ha reso noto il portavoce della Guardia costiera, Nikos Kokkalas. Delle persone che erano sull’imbarcazione, 9 sono stati tratti in salvo ed altri 14 risultano ancora dispersi.
Questa la cronaca. La cronaca di crimini contro l’umanità.
Un anno fa
In Grecia la detenzione amministrativa dei migranti richiedenti asilo è diventata la regola e non l’eccezione, in aperta violazione con la normativa europea. Uomini, donne e bambini sono sottoposti a condizioni di detenzione degradanti e che negano i loro diritti fondamentali, come rilevato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. E’ l’allarme lanciato da Oxfam e GreekRefugees Council con un nuovo rapporto che fotografa una situazione a dir poco drammatica. Il dossier rileva come: già a giugno i migranti in detenzione amministrativa, quindi senza nessuna accusa penale a carico erano quasi 3 mila; 7 migranti irregolari su 10 sono posti in detenzione amministrativa e la maggior parte rimane detenuta anche una volta presentata la domanda di asilo. 1 persona su 5 viene detenuta per lunghi periodi in celle anguste concepite per poche ore di fermo; donne incinta, bambini e persone con gravi vulnerabilità, vengono detenute senza un’assistenza sanitaria e legale adeguata; quasi la metà (il 46%) dei migranti vi rimane per oltre 6 mesi.
“La volontà di usare la detenzione come prassi si riflette nelle recenti politiche adottate dalla Grecia. Nonostante la normativa europea indichi la detenzione amministrativa come ultima risorsa – osserva Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Nel 2019 infatti le autorità greche hanno ampliato i motivi che portano alla detenzione anche alla verifica dell’identità della persona; hanno eliminato la possibilità di prendere in considerazione misure alternative, in determinate circostanze; e hanno introdotto la possibilità di estendere la detenzione fino a 3 anni. Un approccio che rappresenta una chiara violazione del diritto europeo e greco”.
“La detenzione amministrativa è solo un altro strumento perimpedire alle persone di cercare sicurezza e un futuro in Europa –aggiunge Vasilis Papastergiou, esperto legale del GreekRefugees Council – Mentre le autorità greche si rifiutano di considerare altre opzioni, i tribunali greci spesso rifiutano i ricorsi e gli appelli contro la detenzione, anche da parte di donne in gravidanza. Uno status quo avvallato anche dall’Unione Europea che sta finanziando i nuovi centri di semi-detenzione in Grecia, luoghi chiusi e controllati dove i migranti vengono abbandonati a sé stessi e dimenticati. Tutto questo, la detenzione assunta come regola e non come eccezione, come non è solo contrario alle normative internazionali ed europee sulle migrazioni, ma implica anche un pesante costo morale ed economico”.
“E’ necessario che la Grecia cambi approccio politico e prenda immediati provvedimenti legislativi che la riportino in linea con lo Stato di diritto. – continua Pezzati – I principali sono: porre fine alla detenzione prolungata nelle stazioni di polizia, evitare l’uso della detenzione senza che esista una decisione di un giudice e permettere la concreta possibilità di un sostegno legale alle persone straniere. E’ inoltre inaccettabile che le stazioni di polizia, centri di pre-allontanamento o espulsione e altri luoghi di detenzione amministrativa, siano diventati luoghi di detenzione anche per i bambini. Questa pratica deve terminare quanto prima”.
Voci dall’inferno delle carceri greche
Le testimonianze raccolte nel rapporto, riportano le esperienze dirette di chi ha vissuto sulla propria pelle periodi di detenzione lunghi e durissimi senza nessun motivo.
Detenuto perché non riusciva a presentare domanda d’asilo
Abdul (nome di fantasia) è un giovane afghano che dopo aver trascorso 2 anni in Grecia e aver tentato per più di tre mesi di presentare domanda di asilo, è stato arrestato per le mille difficoltà incontrate che gli hanno impedito di terminare la procedura. “Sono qui da solo. È la prima volta che vengo arrestato e ho molta paura. – racconta – Ho bisogno di uscire di qui, di un mio spazio vitale, desidero solo che mi venga riconosciuta la possibilità di restare qui in modo legale”.
In fuga dalla Siria e richiuso per 9 mesi in cella
Omar (nome di fantasia), cittadino siriano è stato messo in detenzione al momento di presentare la richiesta di asilo. “Siamo stati rinchiusi in cella per 22 ore al giorno, senza poter fare telefonate, ricevere visite costretti a mangiare un cibo disgustoso. – racconta – Spesso dovevamo pregare le guardie anche solo per andare in bagno e a volte non era nemmeno possibile”.
Un ragazzo intrappolato dalla pandemia
Mohammed (nome di fantasia) era un ragazzo quando è arrivato in Grecia ed ha fatto subito domanda per ricongiungersi con la propria famiglia in un altro paese europeo. Stava per partire, ma il suo volo fu cancellato a causa della pandemia. In attesa della revoca delle restrizioni per il Covid-19, ha compiuto diciotto anni e perso la protezione riservata ai minori. Dopo un incidente, temendo per la sua sicurezza, ha chiamato la polizia, che invece di aiutarlo lo ha trattenuto in detenzione. Ci è rimasto per mesi perché l’ufficio per il ricongiungimento familiare non riusciva ad avere sue notizie a causa delle inefficienze amministrative greche. Lo stato di salute mentale di Mohammed è particolarmente grave. Ha tentato il suicidio ed è stato ricoverato in ospedale, ma poi le autorità – nonostante fosse ancora debole e provato – lo hanno rispedito in cella. Dopo otto mesi di detenzione e molti interventi da parte del Grc, gli è stato consentito di raggiungere la famiglia.
Negati farmaci salvavita a un richiedente asilo
Ad Amir-Ali (nome di fantasia), richiedente asilo iraniano, hanno negato i farmaci necessari per scongiurare il rigetto di un rene trapiantato, nonostante il parere del medico del centro di detenzione. Amir-Ali ha davvero temuto per la sua vita: dopo mesi di attesa oggi è fuori grazie a Grc e al difensore civico greco.
Sopravvissuta a violenza sessuale in Togo, ma detenuta a Kos
A Kos, le autorità mettono automaticamente in detenzione i richiedenti asilo se provengono da un paese con un tasso di riconoscimento delle domande di asilo inferiore al 33%. Gloria (nome di fantasia), per essere arrivata dal Togo, ha subito dunque questo trattamento, nonostante fosse ritenuta persona vulnerabile perché sopravvissuta a violenze sessuali e fisiche. Le autorità non le hanno offerto alcuna cura, le condizioni psicologiche sono peggiorate e anche Gloria ha tentato il suicidio. Dopo il ricovero in ospedale, di nuovo in un centro di detenzione dove è rimasta fino a quando il Grc non è riuscito a tirarla fuori. “Queste storie ci dicono quanto crudeli, scioccanti siano le condizioni di detenzione in Grecia. Le persone muoiono per malattie prevenibili, o si suicidano perché disperate. Tra i detenuti ci sono ragazzi e donne incinte. – conclude Pezzati – Tutti vivono un senso di abbandono e progressivamente perdono letteralmente la ragione. La detenzione non può essere la soluzione di default, la Grecia deve trovare alternative e smettere di punire migranti e richiedenti asilo che vogliono costruirsi una vita in Europa”.
La Grecia è firmataria della Convenzione europea sui rifugiati ed è quindi illegale rifiutarsi di accogliere una domanda d’asilo o rimpatriare dei richiedenti asilo in Paesi in cui corrono dei rischi.Secondo Eleni Takou, vicedirettore e responsabile della OngHumanRights360, ogni giorno emergono testimonianze e vittime dei cosiddetti “push-back”, i respingimenti di migranti alla frontiera al di là del fiume Evros.
Così stanno le cose. Storie di “pizzo”, di ricatti, di milioni di disperati utilizzati come “merce” di scambio – me li tengo se tu mi riempi di miliardi -. Storia di una Europa codarda, complice, ossessionata dalla falsa narrazione dell’”invasione” di migranti. Un’invasione che non c’è ma che i sovranisti agitano strumentalmente a fini elettorali e che le forze progressiste subiscono senza colpo ferire. Includere è un verbo inesistente nel vocabolario di Bruxelles. Mentre è presente, eccome, un imperativo categorico: esternalizzare. Esternalizzare le frontiere, a tutti i costi e ogni prezzo. Anche se questo vuol dire finanziare autocrati sanguinari, sultani, presidenti-generali, aguzzini in divisa. A Sud, l’Europa ha un unico interesse: sostenere i Gendarmi delle sue frontiere. Una complicità criminale.
Donne incinte e bambini detenuti nei campi
Al loro arrivo negli hotspot delle isole, i migranti – molti dei quali in condizione di particolare vulnerabilità, come bambini, donne incinta, disabili – vengono di fatto posti in stato di detenzione senza accesso alle necessarie cure e tutele. Il sistema rende poi incredibilmente difficile l’esame delle cause che spingono i richiedenti asilo a lasciare i propri paesi di origine, spesso attraversati da guerre e persecuzioni. Le testimonianze raccolte da Grc nel campo di Moria sono ancora una volta terribili. Rawan (nome di fantasia) arrivata dall’Afghanistan in Grecia da sola con due figli minorenni, vittima di violenza di genere, ha dovuto vivere sotto una tenda per 6 mesi in una zona del campo sovraffollata dove non ci sono nemmeno i bagni. “La situazione nel campo era già spaventosa, ma con la pandemia è diventato peggio. Se il virus arriva qui – ci dicevamo – scaveranno una gigantesca fossa in cui seppellirci. Ci hanno dato due mascherine e un pezzo di sapone, di cui non sappiamo che farcene visto che non c’è acqua. Alla distribuzione dei pasti c’era talmente tanta gente che era impossibile mantenere la distanza”.
Mesi e anni in cui si rimane intrappolati in condizioni disumane nei campi come Moria, con il bene placet dell’Unione europea; esposti a molestie e abusi, soprattutto se si è donne sole
I più indifesi tra gli indifesi
A pagarne il prezzo più alto sono i più indifesi tra gli indifesi: i bambini. La clinica pediatrica di Medici senza frontiere a Lesbo conta più di 100 visite al giorno, tra cui bambini con gravi patologie cardiache, casi di epilessia, diabete. Soffrono di problemi respiratori, dermatologici, legati alla nutrizione e psicosomatici. Bambini “spaventati, esposti a situazioni pericolose e senza un posto sicuro dove stare – testimonia Marco Sandrone già a capo del progetto di Msf nell’isola. -. Si chiudono a guscio. Accogliamo genitori che ci dicono che i loro bambini non vogliono più uscire dalle tende, che hanno smesso di parlare. Oltre al trauma della guerra, della fuga, la sofferenza di vivere a Lesbo toglie ogni speranza ai nostri piccoli pazienti”.“Il diritto di essere bambini – dice il responsabile di Msf – è qui fagocitato dalla miseria di un campo senza dignità, alle porte dell’Europa”.
Ed è da questo inferno in terra che Papa Francesco ha lanciato il suo accorato appello che è anche un possente j’accuse a un mondo che chiude gli occhi di fronte a questo scempio di vite umane.
Alzando barriere non si risolvono i problemi, ripete Francesco tra la moltitudine di disperati che affolla Lesbo. E’ così. Ma in Europa e in chi la governa questa verità non passa.
Il rapporto di Oxfam è di un anno fa. Un anno dopo, si muore in mare. Decine di migliaia di disperati sono ancora segregati nei lager. O respinti in quei Paesi da cui fuggono. Quanto al trattamento dei migranti, la Grecia non è distante dall’Ungheria di Orban. Ma di questo non se ne parla. Perché troppe sono le complicità, i silenzi, e una politica sciagurata condivisa: l’esternalizzazione delle frontiere, la “madre di tutti i crimini” contro i più indifesi.
Argomenti: Migranti