Migranti, il caso Frontex inchioda l'Europa

Non c’è nessuna invasione di migranti (benché in aumento rispetto al biennio pandemico) nel nostro Paese, la cui tendenza allo spopolamento (fenomeno molto preoccupante) non è corretto dagli arrivi di stranieri.

Migranti, il caso Frontex inchioda l'Europa
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Ottobre 2022 - 16.09


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Il caso Frontex

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Frontex non utilizza il suo meccanismo interno di monitoraggio e segnalazione per indagare su potenziali violazioni dei diritti fondamentali o degli obblighi di protezione internazionale. E’l’accusa mossa da 7 ong che operano a Samos, in Grecia, tra le quali “Still I Rise” che chiedono la sospensione delle operazioni dell’Agenzia della guardia di frontiera e costiera Ue nell’area.

A luglio, attraverso una richiesta di Accesso Civico Generalizzato (Foi), il gruppo delle ong ha ottenuto i rapporti sugli incidenti gravi (Sir) compilati da Frontex dal 2016nell’area operativa di Samos, rilevando che l’ultimo evento registrato risale all’ottobre 2019, per la precisione “1.0181 giorni fa”. “Eppure – evidenzia la coordinatrice di Advocacy per l’Egeo di Europe Must Act -, noi abbiamo identificato almeno 34 incidenti, tra cui violenti respingimenti e incendi nella struttura di accoglienza, che chiaramente rientrano” nella categoria di ‘incidenti gravi’.

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Le organizzazioni firmatarie chiedono che il gruppo di lavoro sul controllo di Frontex della commissione per le Libertà civili (Libe) del Parlamento europeo indaghi su un elenco di eventi che potrebbero essere considerati Sir, secondo la definizione della stessa Frontex, e che venga presentata una richiesta ufficiale per far scattare l’articolo 46 che prevede l’interruzione di qualsiasi attività dell’Agenzia se in un’area si verificano “violazioni dei diritti fondamentali di natura grave e che potrebbero persistere”. “Per anni – denunciano le ong -, questa condizione è stata chiaramente soddisfatta a Samos, eppure Frontex è rimasta. È ora che Frontex obbedisca alla legge e al suo regolamento istitutivo e faccia scattare l’articolo 46”. Le ong chiedono anche di sospendere il rilascio del bilancio annuale dell’agenzia fino a quando non ci sarà una revisione completa e indipendente dei fatti e la partecipazione del direttore esecutivo ad interim a una sessione di interrogazioni parlamentari. 

La narrazione farlocca

Non c’è nessuna invasione di migranti (benché in aumento rispetto al biennio pandemico) nel nostro Paese, la cui tendenza allo spopolamento (fenomeno molto preoccupante) non è corretto dagli arrivi di stranieri. Dal 2015 la popolazione residente sul territorio nazionale è in diminuzione. Aumentano, invece, le persone che lasciano il Paese per andare a vivere e lavorare all’estero. Secondo i dati Istat pubblicati a luglio, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2018, la popolazione italiana è diminuita di 124 mila unità, pari a -0,2% del totale. Mentre nel 2022 sono finora 72.726 le persone migranti sbarcate sulle coste da inizio anno. Nello stesso periodo, lo scorso anno furono 47.959 mentre nel 2020 furono 24.500. L’anno scorso, in tutto ottobre, furono 7.097, mentre nel 2020 furono 3.477.

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Degli oltre 72.700 migranti sbarcati in Italia nel 2022, 15.333 sono di nazionalità egiziana (21%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Tunisia (14.838, 20%), Bangladesh (10.953, 15%), Siria (5.790, 8%), Afghanistan (5.563, 8%), Costa d’Avorio (2.362, 3%), Eritrea (1.904, 3%), Guinea (1.766, 3%), Pakistan (1.706, 2%), Iran (1.612, 2%) a cui si aggiungono 10.900 persone (15%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Secondo un’opinione diffusa, i nuovi arrivati si considerano di passaggio in Italia, aspirando a vivere in paesi che offrano maggiori opportunità economiche.

Ma non è proprio così: il 52 per cento dei permessi di soggiorno sia per il ricongiungimento familiare. Questo segnale dice che il mondo dell’immigrazione di diverse nazionalità vuole rimanere in Italia e vuole creare la civiltà di domani. In questo senso, costruire il futuro con noi. E credo sia un dato importante”, ha detto mons. Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes e arcivescovo di Ferrara-Comacchio, a margine della presentazione del Rapporto Immigrazione, redatto da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. “Questo rapporto segnala profondamente non tanto dei numeri, non solo – ha aggiunto -. Numeri che sono in crescita per la prima volta dopo il calo numerico degli ultimi tre anni. Segnala soprattutto come il mondo dell’immigrazione stia diventando strutturale alla vita del nostro Paese, nel mondo del lavoro, della scuola e della famiglia”.

L’arcivescovo ha evidenziato poi che “il rapporto segnala anche delle storie, proprio perché si vuole uscire dai numeri, per far capire come dietro i numeri ci sono dei volti e delle storie di radicamento, di nascita, di lavoro, di impresa femminile nel nostro Paese”. “E queste storie sono importanti perché aiutano a governare meglio questo fenomeno, in un momento in cui forse la lettura delle migrazioni purtroppo continua a essere solo emergenziale”.

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Quei numeri che inchiodano

Il numero di migranti internazionali è stimato in 281 milioni nel 2021 (3,6% della popolazione mondiale), a fronte dei 272 milioni del 2019. Di questi, quasi due terzi sono costretti ad emigrare per lavoro. Ma a inizio 2022 per la prima volta nella storia il numero delle persone forzate a lasciare il proprio Paese  ha superato la soglia di 100 milioni (con un notevole incremento rispetto agli 89,3 milioni di fine 2021).

E’ il dato molto allarmante, che getta un riflesso inquietante sulla questione delle migrazioni, che emerge dal XXXI Rapporto Immigrazione di Caritas e Fondazione Migrantes  «Costruire il futuro con i migranti». Facile fare il parallelo: aumentano le diseguaglianze, aumentano i migranti.

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Migranti, contesti di crisi la prima causa

Infatti, secondo quanto vien fuori dai numeri che costituiscono il rapporto, la principale causa dell’aumento del numero complessivo di persone che si trovano a vivere in un Paese diverso dal proprio sembra risiedere appunto nell’acuirsi e nel protrarsi del numero di contesti di crisi registrati a livello mondiale. Un riflesso della realtà economica dei nostri tempi.
Significativa sembra essere anche l’esistenza di circa 345 milioni di persone a grave rischio alimentare, un numero che è quasi 200 milioni maggiore rispetto a quello registrato nel periodo antecedente alla pandemia. Un dato davvero molto allarmante. Nell’area del Mediterraneo allargato si registra poi un incremento della situazione di vulnerabilità della popolazione straniera residente, con pesanti conseguenze sui processi di integrazione dei migranti nei Paesi di destinazione.

Migranti, contesti di crisi la prima caussecondo quanto vien fuori dai numeri che costituiscono il rapporto, la principale causa dell’aumento del numero complessivo di persone che si trovano a vivere in un Paese diverso dal proprio sembra risiedere appunto nell’acuirsi e nel protrarsi del numero di contesti di crisi registrati a livello mondiale. Un riflesso della realtà economica dei nostri tempi.
Significativa sembra essere anche l’esistenza di circa 345 milioni di persone a grave rischio alimentare, un numero che è quasi 200 milioni maggiore rispetto a quello registrato nel periodo antecedente alla pandemia. Un dato davvero molto allarmante. Nell’area del Mediterraneo allargato si registra poi un incremento della situazione di vulnerabilità della popolazione straniera residente, con pesanti conseguenze sui processi di integrazione dei migranti nei Paesi di destinazione.

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Uno sguardo in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, i cittadini stranieri sono l’utenza prevalente dei Centri d’ascolto Caritas. 

Al Sud le storie di povertà intercettate riguardano invece tanti italiani. Le persone di origine straniera che sono transitate nel corso del 2021 nei Centri di Ascolto della Caritas (CdA) sono state 120.536. Sul totale, gli stranieri incidono per il 55% e rispetto allo scorso anno aumentano di tre punti percentuali sul totale dell’utenza (nel corso del 2020 erano stati pari al 52%) e del +13,3% in termini di valori assoluti.

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Nelle regioni del Nord e del Centro Italia il volto delle persone prese in carico dalla Caritas coincide per lo più con quello degli stranieri (in queste macro-aree gli immigrati rappresentano rispettivamente il 64,1% e il 56,8%); nel Mezzogiorno, invece, dove si registrano più alti livelli di povertà e di disoccupazione e, al contempo, un minore peso della componente straniera residente, le storie intercettate sono per lo più di italiani e gli stranieri costituiscono una quota ridotta, pari al 28,5%.

Il “Mare della morte”

Oltre 3mila persone hanno perso la vita, o sono risultate disperse, lungo le rotte migratorie nel mondo, nei primi 8 mesi di quest’anno. Dieci persone morte o disperse ogni giorno; 336 persone decedute o disperse solo nel mar Mediterraneo, nell’aprile 2022, stando AI dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) agenzia delle Nazioni Unite. Si tratta di un numero spaventoso quanto drammatico, perché riguarda donne, uomini e minori che si avviano in un viaggio già di suo difficile, alla ricerca di una vita migliore. I dati raccontano che, nonostante in questi anni il numero dei migranti deceduti o dispersi sia calato, occorrono nuove politiche pubbliche rispetto a un fenomeno che continua a determinare sofferenze e morte. Si muore ovunque, ma nel Mediterraneo di più.

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La vergogna libica

Ne scrive Alessandro Pirovano su osservatoriodiritti.it: “In Libia  chiunque può essere fatto sparire, torturato, maltrattato e anche giustiziato per le sue simpatie politiche, per la sua appartenenza tribale, per razzismo, per la sua attività sui social media, così come per altre misteriose ragioni. La guerra   continua dal 2011 e la situazione umanitaria è drammatica, con una crisi politica irrisolta e diritti umani violati. E la vita di tanta gente è a rischio.

Lo denuncia il nuovo report del Libyan Anti-torture Network (Lan), rete di diverse organizzazioni della società civile libica supportata dalla World Organisation Against Torture (Omct). Appena pubblicato con il titolo That was the last time I saw mybrother(Quella fu l’ultima volta che vidi mio fratello), il documento parla di 581 uccisioni illegali avvenute sul territorio libico dal gennaio 2020 a marzo 2022: crimini che hanno avuto come vittime i civili e che sono avvenuti al di fuori di qualunque cornice legale.

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A essere presi di mira sono stati sia cittadini libici sia migranti stranieri, tanto all’interno quanto fuori dai centri di detenzione gestiti dalle autorità libiche, dove a volte sono loro negati diritti basilari come l’accesso all’acqua potabile, a pasti adeguati, alle toilette e all’assistenza medica.

Essere migranti in Libia oggi: la storia di Ahmed

In questi centri si può anche morirecome si legge nella testimonianza del trentenne originario della Siria, Ahmed (nome di fantasia), inserita nel report dell’organizzazione della società civile libica. «Eravamo soliti vedere veicoli entrare di sera (nel centro di detenzione, ndr). Uomini armati si univano alle guardie e a volte venivano e prendevano qualcuno di noi per i lavori forzati. […] Quando abbiamo sentito colpi di arma da fuoco ci siamo buttati a terra, impauriti dai proiettili. Una delle guardie aveva una pistola che agitava istericamente, sparando a casaccio. Due sudanesi sono stati feriti alle gambe dai suoi colpi di pistola. Quando i migranti hanno visto queste ferite, si sono preoccupati e hanno provato a scappare dal cortile, ma gli uomini armati li hanno presi di mira e hanno ucciso un vecchio uomo siriano, prima di colpirlo alla testa con un tubo di metallo».

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Centri di detenzione per migranti in Libia

Scene come queste si ripetono nei centri di detenzione libici a Tripoli e nella regione occidentale della Libia, dove vengono rinchiusi i migranti in attesa di prendere il mare per raggiungere l’Europa, oppure dove vengono detenuti una volta riportati indietro dalle motovedette della cosiddetta Guardia costiera libica.

Proprio questo è il caso di Ahmed che, arrivato in aereo all’aeroporto di Bengasi insieme a due amici, avrebbe dovuto raggiungere l’ovest del Paese con un taxi prima di prendere il mare e tentare di raggiungere l’Europa”.

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Questa è la vergogna libica. Una vergogna alimentata dal “patto infame”, ovvero il Memorandum d’intesa Italia-Libia. Una vergogna criminale alimentata dai finanziamenti italiani alla cosiddetta Guardia costiera libica. Globalist non si stancherà mai di ricordarlo, anche per verificare nei fatti certe “conversioni” pacifiste in atto. Sulle scelte scellerate reiterate in questi anni, non si fanno sconti. 

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