Il voto riflette la psicologia di una nazione. Ne è la ricaduta, la formalizzazione politico-elettorale. La vittoria e la sconfitta nelle urne è seguente ai processi socioculturali e demografici che hanno investito un Paese. E’ la lezione che viene da Israele. Per usare una espressione gramsciana, la destra, in tutte le sue variegate e sempre più oltranziste sfaccettature partitiche, ha vinto perché nel corso del tempo ha esercitato una egemonia culturale sulla società israeliana per come quella società si stava riarticolando alla luce dei radicali cambiamenti demografici.
Psicologia di una nazione
Illuminante è un editoriale di Haaretz: “Il nuovo governo deve ancora essere formato, ma il suo spirito negativo si sta già facendo sentire. Certo, la macchina intimidatoria della destra opera in modo aggressivo 365 giorni all’anno, indipendentemente dal governo in carica. Ma dopo l’ampia vittoria della destra religiosa, nazionalista e fanatica, il suo potere e la sua influenza sono destinati a crescere. Martedì gli israeliani hanno appreso che la cooperativa di autobus Egged ha cancellato la campagna pubblicitaria programmata da un sito web di moda sui suoi autobus, con la motivazione che mostrare immagini di donne in canottiera avrebbe causato “disagio e rabbia in una parte significativa del pubblico israeliano Il fatto che gli annunci in questione mostrino donne vestite proprio come decine di migliaia di donne israeliane vestono nella vita reale non ha fatto alcuna impressione ai dirigenti dell’azienda. Essi hanno sostenuto che “per decine di migliaia di passeggeri, una canottiera scollata è imbarazzante, sgradevole e talvolta persino fastidiosa”.
La considerazione mostrata da queste “decine di migliaia di passeggeri” caratterizza molte aziende e istituzioni che tendono a seguire la corrente quando individuano determinate tendenze. Ma è interessante che il flusso che seguono vada sempre e solo in una direzione. Egged fa circolare sui suoi autobus pubblicità di organizzazioni come Efrat, che si rivolge spudoratamente alle donne che stanno pensando di abortire, facendole sentire in colpa e vergognandosi. Perché non considera i sentimenti di tutte le donne danneggiate da questi annunci? Ma non si tratta solo di pubblicità sugli autobus. Il cattivo spirito è penetrato rapidamente anche nel sistema educativo. Qui la destra cerca di bloccare ogni possibilità di riconciliazione tra ebrei e arabi. Pochi giorni fa, la scuola superiore Galili di Kfar Sava ha annullato un incontro con il Parents Circle – Families Forum, un gruppo di genitori israeliani e palestinesi in lutto, in occasione dell’annuale giornata commemorativa del Primo Ministro assassinato Yitzhak Rabin. La preside della scuola non ha retto alle pressioni esercitate dagli attivisti di destra che, come di consueto, hanno definito questo importante evento “un incontro con le famiglie dei terroristi” volto ad “avvelenare i cuori degli studenti” .Martedì abbiamo anche appreso che il Ministero dell’Istruzione intende convocare la preside di una scuola elementare di Ramat Gan per fornire spiegazioni dopo che questa ha condannato Itamar Ben-Gvir e ha detto, durante la cerimonia per il Giorno della Memoria di Rabin, che se sarà nominato ministro della Pubblica Sicurezza, “il prossimo omicidio politico arriverà di sicuro” (Shira Kadari-Ovadia, Hebrew Haaretz). Tutti e tre questi casi segnano chiaramente i confini su cui si combatterà la battaglia tra chi ha a cuore la democrazia e chi cerca di distruggerla: cosa si può dire, chi si può incontrare e come ci si può vestire.
Senza un’accanita resistenza da parte di un blocco liberale unito e determinato, guidato da un’opposizione combattiva nella Knesset, dalle organizzazioni della società civile e dai comuni cittadini israeliani che temono per i principi di libertà e illuminazione, la democrazia israeliana si ritirerà a una velocità vertiginosa”.
Le opzioni di Bibi
Daniel Kurtzer, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Egitto e Israele, è professore di studi politici sul Medio Oriente presso la School of Public and International Affairs dell’Università di Princeton. Così, sempre sul quotidiano progressista di Tel Aviv, riflette sul dopo voto in Israele.
“Questa non è una rubrica che descrive nel dettaglio quanto siano terribili il Partito del Sionismo Religioso e i suoi leader. Sì, sono d’accordo che si tratta di un pericoloso gruppo di razzisti, misogini e omofobi antidemocratici. E sono d’accordo sul fatto che non dovrebbero far parte di alcuna coalizione impegnata a favore dello Stato di diritto e dei valori su cui si basa lo Stato di Israele. Questa possibilità dovrebbe preoccupare tutte le persone buone e rispettabili che costituiscono la stragrande maggioranza dei cittadini di Israele. Ma non è detto che il cielo cada, anche se un numero allarmante di israeliani ha votato per quel partito. Infatti, non c’è motivo di accettare come una conclusione scontata che Itamar Ben-Gvir, Betzalel Smotrich e altri della loro razza debbano far parte della prossima coalizione di governo. Benjamin Netanyahu sarà il prossimo primo ministro, ma deve fare una scelta nel comporre la sua coalizione. Non ha bisogno del Partito del Sionismo Religioso in una coalizione per governare.
Netanyahu è in una posizione di forza per decidere che tipo di coalizione vuole e cosa è disposto a offrire ai diversi partiti per entrare in una coalizione. Una delle sue richieste principali sarà quella di ottenere il sostegno per la fine, o almeno il rinvio, del suo processo per corruzione. Finora i partiti anti-Netanyahu hanno chiarito la loro opposizione a qualsiasi azione che eviterebbe di chiamare Netanyahu a rispondere delle azioni che hanno portato alla sua incriminazione. Vale la pena di verificare, tuttavia, se la situazione rimarrà invariata. partiti anti-Netanyahu devono valutare attentamente la gerarchia delle questioni più importanti per loro e per lo Stato. Tra queste, la salvaguardia dei pilastri della democrazia israeliana, il rallentamento o l’arresto dell’annessione strisciante per non precludere la possibilità di un accordo di pace con i palestinesi e il raggiungimento di una maggiore uguaglianza e protezione economica e legale per tutti i cittadini israeliani.
Se questa gerarchia di questioni è accurata, allora ritenere Netanyahu legalmente responsabile è un obiettivo che può essere accantonato per il bene superiore di evitare che personaggi come Ben-Gvir e Smotrich tengano alcune delle redini del potere.
Per Netanyahu lo stesso tipo di valutazione potrebbe portare alla stessa conclusione. Si pensa che abbia lavorato per formare il Partito Sionista Religioso a fini elettorali, e questo sicuramente lo ha aiutato a ottenere il numero di mandati che ha ora. Ma non ne ha necessariamente bisogno per governare.
Se dovesse contattare Yair Lapid o Benny Gantz, capi di due dei partiti più importanti del blocco anti-Netanyahu – o se fosse aperto a un loro approccio per comporre una coalizione di unità nazionale – potrebbe chiedere un accordo per sostenere il rinvio del suo processo mentre è primo ministro, e potrebbe distribuire i posti di ministro da una posizione di forza. Il risultato finale sia per Netanyahu che per Lapid/Gantz sarebbe una coalizione di unità nazionale con obiettivi limitati ma concordati. Avrebbero tutti il merito di evitare l’orrore del Partito del Sionismo Religioso al governo, con tutte le probabili conseguenze: peggiorare la posizione internazionale di Israele, mettere a rischio gli accordi di normalizzazione faticosamente raggiunti con alcuni vicini arabi ed evitare di esacerbare le divisioni interne israeliane.
E governerebbero come una coalizione frazionata ma possibilmente stabile, il cui scopo principale sarebbe quello di calmare le acque della politica israeliana ed evitare di esacerbare le differenze interne. Un sondaggio di Channel 13 di questa settimana ha indicato che il 61% degli elettori del blocco Lapid/anti-Netanyahu vuole un governo di unità.
In un mondo di politica rude e tumultuosa – e ci sono pochi altri luoghi come Israele in cui la politica è caratterizzata al meglio da rudezza e tumultuosità – può sembrare difficile contemplare un risultato da statista in un processo che normalmente è definito dal perseguimento di interessi ristretti e campanilistici. Ma la posta in gioco è estremamente alta. Netanyahu e i suoi rivali devono guardare oltre le divergenze del passato e pensare a salvare Israele dall’universale riprovazione che inevitabilmente accompagnerebbe una coalizione di governo con razzisti e misogini. Intraprendere questa strada garantirebbe la continuità dei valori liberali e democratici che gli israeliani rivendicano come definizione del loro Paese”.
Insomma, per evitare il peggio del peggio, è la nostra chiosa finale, si deve sperare in un Netanyahu accorto, moderato, “centrista”. Basta questo per aver contezza della lunga notte in cui, consapevolmente, si è infilato Israele.
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