Invece di evidenziare l’ennesimo schiaffo in faccia tirato dalla Francia al governo Meloni-Salvini-Piantedosi, la genuflessa stampa mainstream rilancia la velina di palazzo (Chigi) narrando una italica vittoria al vertice dei ministri dell’Interno dei Ventisette paesi Ue, perché l’Unione europea si appresterebbe a elaborare un codice etico per le Ong. Di cosi si tratti nessuno lo sa, ma basta averne fatto cenno per scatenare i “genuflessi”: l’Italia è stata ascoltata, le sue ragioni sono state recepite da Bruxelles, basta col Far West nel Mediterraneo e via incensando.
In realtà la Francia ha detto chiaramente che non accoglierà migranti se l’Italia non rispetterà le norme internazionali come ha fatto nel caso Ocean Viking e degli sbarchi selettivi.
Narrazione e realtà
Ma la realtà va in direzione opposta. Globalist ne ha scritto a più riprese, ed oggi è cosa buona e giusta citare giornalisti che non fanno parte della squadra dei genuflessi.
Scrive Tommaso Lecca su Europa Today: “L’incontro organizzato a Bruxelles per chiarirsi in sede Ue sulla gestione dei migranti nel Mediterraneo è cominciato con un aut aut. “Se l’Italia non accoglie le navi” cariche di naufraghi “e non accetta il diritto del mare sul porto sicuro, non ha senso che gli altri Paesi facciano i ricollocamenti”. A dettare le condizioni al suo arrivo al Consiglio Ue straordinario sul dossier migranti è stato il ministro francese dell’Interno, Gerald Darmanin, tra i protagonisti del braccio di ferro tra Roma e Parigi sulla nave ong Ocean Viking. Il concetto non viene ripetuto con toni così netti da altri Paesi ma anche la Germania sembra intenzionata a difendere il diritto delle ong di salvare vite nel Mediterraneo.
Il nodo ong
Anche secondo il ministro spagnolo Fernando Grande-Marlaska “bisogna salvare vite anzitutto impedendo che vengano messe a rischio e, in secondo luogo, con le operazioni di search and rescue (ovvero di ricerca e salvataggio) che sono un dovere” per chi le svolge “e un diritto delle persone in situazione di pericolo”. “Su questo ci vuole coordinamento tra gli Stati, le istituzioni e le organizzazioni private”, ha aggiunto il ministro di Madrid. Ma ad escludere un ruolo Ue più forte nei rapporti con le ong, come richiesto dal governo italiano, è stato lo stesso esecutivo europeo.
Nei rapporti tra navi dei volontari e Paesi Ue “il ruolo della Commissione è limitato”, ha tagliato corto la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson. Tuttavia, “come precisato nel ‘ Piano d’azione’ presentato pochi giorni fa “la Commissione è pronta a riattivare il gruppo di coordinamento Sar (Search and rescue) includendo i Paesi di bandiera” delle navi “i Paesi rivieraschi e le ong per trovare il migliore coordinamento possibile tra questi attori diversi”, ha aggiunto. Non esattamente il risultato che sperava di ottenere il governo di Giorgia Meloni…”.
Così Lecca
“La maggioranza Fratelli d’Italia-Lega-Forza Italia ne fa una questione di sbarchi e arrivi, che pure si ripropongono, ma i dati Eurostat aiutano a capire quale sia, allo stato attuale, le ragioni degli altri – rimarca su La Stampa Emanuele Bonini – Non sono gli sbarchi, bensì le richieste di asilo. Da inizio anno, da gennaio a settembre, il numero di cittadini extracomunitari che hanno presentato domanda di protezione internazionale, pesa su Stati Ue diversi dall’Italia.
Germania, Francia, Austria e Spagna. Sono loro i Paesi più oberati di domande che intasano uffici, prefetture e istituzioni pubbliche. L’istituto di statistica europeo ha numeri dettagliati, che mostrano come per tutto il 2022 l’Italia sia stata sempre meno oberata degli altri partner.
A gennaio le richieste di prima accoglienza sono state 15.830 in Germania, 9.985 in Francia, 7.675 in Spagna, 4.460 in Italia e 3.175 in Austria. Dunque le autorità tedesche hanno dovuto gestire tre volte le richieste depositate in Italia, quelle francese più del doppio di quelle italiane. La tendenza non è cambiata. O meglio, a partire da giugno anche le richieste in Austria sono diventate più di quelle in Italia, e da giugno in poi l’Italia si conferma il quinto Paese membro dell’Ue per numero di cittadini extracomunitari a chiedere tutela internazionale. Eurostat diffonde i dati aggiornati ad agosto. Qui la speciale classifica per domande di primo asilo recita quanto segue: Germania 16.950; Austria 14.030; Francia 11.900; Spagna 8.650; Italia 5.985. Ma ci sono anche i dati di settembre, incompleti nella misura in cui non tutti i Ventisette hanno comunicato le informazioni. Ma anche qui, nonostante una figura non complessiva, è possibile vedere come il peso delle richieste di asilo sia non sia cambiata. A settembre 2022 le domande di primo asilo registrano questi numeri: Germania 18.715; Austria 15.490; Francia 13.500; Spagna 11.000; Italia 7.920. Questi numeri non aiutano un già non semplice confronto su un tema sempre divisivo e fonte di tensioni tra i governi. L’Italia ha chiesto e ottenuto che si portasse la questione migratoria sul tavolo europeo, ma le ragioni tricolori, che pure hanno fondamento, si scontrano con le ragioni dei partner che possono citare i dati per sostenere che l’emergenza non è italiana. Certo, il governo Meloni può usare questi stessi dati per ribadire che la questione è europea, ma gli stessi partner hanno a disposizione elementi fattuali che smontano la retorica italiana di una pressione esagerata sulle autorità nazionali. Insomma, i dati diffusi da Eurostat – sottolinea Bonini – rischiano di rendere ancor più incandescente il dibattito sul tema…”.
L’Europa dice “no”.
Ne dà conto Annalisa Cangemi su fanpage.it: “L’Europa dice che non si possono creare centro di accoglienza dei migranti per effettuare le domande di asilo in Africa: “La Commissione precedente ci ha provato e non ha funzionato. Non vedo come possa funzionare adesso”, ha detto la vice presidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas La proposta è una di quelle avanzate dal governo Meloni, più volte rilanciata dalla presidente del Consiglio: l’idea è quella di organizzare campi profughi in Nord Africa, in Paesi come la Tunisia e Libia, con la presenza di organizzazioni umanitarie e forze militari europee. L’idea della premier è la stessa da anni: blocco navale al largo delle coste della Libia e contemporaneamente apertura degli hotspot in Africa, per valutare direttamente lì chi ha diritto ad essere rifugiato, e poi distribuzione solo dei rifugiati nei 27 Paesi dell’Unione europea.
Secondo il titolare della Farnesina Antonio Tajani “Bisogna fare accordi con i Paesi di origine per fermare le partenze”. Secondo il ministro degli Esteri, “servono un vero piano Marshall europeo per l’Africa e accordi con Libia, Tunisia, Marocco, Niger e altri Paesi del Sahel”. Sul codice di condotta delle Ong “penso che la questione non sia fuori dal tavolo. Dobbiamo lavorare con le Ong, ma lo dobbiamo fare in un modo ordinato, che rispetti anche i nostri Stati membri, che consenta operazioni di ricerca e soccorso in modo strutturato. Se questo richiederà un quadro più strutturato, come un codice di condotta, sì, lo sosterremo”, ha detto ancora il Commissario Ue Margaritis Schinas. “Non si può e non si deve lavorare crisi per crisi, nave per nave, incidente per incidente. Abbiamo bisogno di un quadro unico basato sul diritto dell’Ue”, ha aggiunto più in generale…”.
Un obbligo codificato
Di grande interesse è un saggio del professor Fulvio Vassallo Paleologo su Questione Giustizia. Scrive tra l’altro Vassallo Paleologo: “L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. La ricostruzione dei fatti e la qualificazione delle responsabilità dei diversi attori coinvolti nelle attività di ricerca e salvataggio (Sar) nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale deve tenere conto dei rilevanti profili di diritto dell’Unione europea e di diritto internazionale che, in base all’art. 117 della Costituzione italiana, assumono rilievo nell’ordinamento giuridico interno. Le scelte politiche insite nell’imposizione di Codici di condotta, o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale o dalle autorità di coordinamento dei soccorsi, non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati che devono garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety). Eventuali intese operative tra le autorità di Stati diversi, o la paventata “chiusura” dei porti italiani, non possono consentire deroghe al principio di non respingimento in Paesi non sicuri affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra. […]. Al fine di fornire una guida alle autorità di Governo ed ai comandanti delle navi private e pubbliche coinvolte in attività Sar, sono state elaborate dal’Unhcr[delle Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare. Esse contengono le seguenti disposizioni: il Governo responsabile per la regione Sar in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro di sbarco (place of safety) o di assicurare che tale luogo venga fornito. La Convenzione Sar del 1979 impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare ed il dovere di sbarcare i naufraghi in un porto sicuro (place of safety): a tal fine gli Stati membri dell’Imo (International maritime organization), nel 2004, hanno adottato emendamenti alle Convenzioni Solas e Sar, in base ai quali gli Stati parte devono coordinarsi e cooperare per far sì che i comandanti delle navi siano sollevati dagli obblighi di assistenza delle persone tratte in salvo, con una minima ulteriore deviazione, rispetto alla rotta prevista. Malta non ha accettato questi emendamenti. Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) dispongono che il Governo responsabile per la regione Sar in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Secondo le Linee guida «un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove: la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale» (par. 6.12).
La circostanza che unità libiche partecipino ai soccorsi «il cui coordinamento è sostanzialmente affidato alle forze della Marina militare italiana, con i propri mezzi navali e con quelli forniti ai libici», circostanza accertata dal Giudice delle indagini preliminari di Catania, non esime le autorità italiane dalla individuazione di un luogo sicuro di sbarco (place of safety), che secondo quanto riconosciuto anche in documenti ufficiali della Guardia costiera italiana, come la Relazione annuale per il 2017 della Guardia costiera italiana, richiamata in precedenza, non può essere un porto libico. Sono note, e documentate in diversi rapporti internazionali, le condizioni disumane nelle quali si trovano i migranti riportati nei centri di detenzione in Libia. Occorre ricordare che nessun porto libico può essere qualificato quale luogo di sbarco sicuro, non essendo il Governo di Tripoli parte alla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, ed essendo la situazione dello Stato “libico” caratterizzata da sistematiche violazioni dei diritti umani. Le gravi violazioni dei diritti umani subite dai migranti in Libia non sono soltanto anteriori alla stipula del Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017 e del successivo Codice di condotta imposto dal Ministero dell’intero alle Ong operanti attività Sar in acque internazionali nel Mediterraneo centrale, ma sono proseguite anche fino ai mesi scorsi, come dimostrato dai rapporti delle Nazioni unite del febbraio 2018 e dalle Comunicazioni dell’Oim e dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati del mese di maggio di quest’anno. Il 21 febbraio di quest’anno veniva pubblicato un Rapporto delle Nazioni Unite che documentava le gravi violazioni dei diritti umani subite in Libia dai migranti e anche da alcune popolazioni libiche, malgrado i tentativi della comunità internazionale e del Governo di Tripoli di giungere ad una riunificazione del Paese e ad un controllo effettivo delle numerose milizie armate che se ne contendono il controllo. Il Rapporto metteva bene in evidenza come gli abusi ai danni dei migranti fossero perpetrati non solo nei cd. centri “informali” gestiti direttamente dalle milizie, ma anche nei cd. centri governativi, in alcuni dei quali peraltro si effettuano visite periodiche da parte dell’Ungcre dell’Oim. In tre di questi centri, in questi mesi dovrebbero essere anche presenti alcune Organizzazioni non governative convenzionate con il Ministero degli esteri italiano. Quest’ultimo rapporto delle Nazioni unite, che si aggiunge a numerose testimonianze a ad altri rapporti che hanno portato alla condanna dell’Italia e dell’Unione europea per crimini contro l’umanità da parte del Tribunale Permanente dei Popoli, nella sessione di Palermo del 20 dicembre 2017, conferma la forte torsione tra il rispetto dei diritti umani e le politiche, e le prassi di esternalizzazione dei controlli di frontiera, affidati alle forze di polizia di paesi terzi, vere e proprie milizie al di fuori dell’effettivo controllo, anche giurisdizionale, di autorità statali centrali, come nel caso della Libia….”.
Vaglielo a spiegare ai “genuflessi” mainstream…Non è questione di ignoranza, nel senso latino del termine, che pure abbonda tra i “genuflessi”, ma è che ricordare che esiste un diritto del mare, un diritto umanitario, oltre che degli obblighi morali, disturba il governante di turno. E allora, meglio tacere. Si fa meno fatica e più carriera.
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