La rivoluzione iraniana ha anche il volto di Fahimeh Karimi.
In ricordo di Fahimeh
Così Ida Artico su fanpage.it: “Fahimeh Karimi è stata la mia compagna di cella per 45 giorni. Un giorno è uscita per andare in infermeria e non è più tornata”. A scrivere è Alessia Piperno, la 30enne blogger romana arrestata in Iran a fine settembre e tornata in Italia qualche settimana fa dopo essere stata rinchiusa nella prigione di Evin, a Teheran. Proprio in quella occasione ha conosciuto Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e mamma di tre figli, condannata a morte per aver partecipato alle proteste scoppiate nel Paese in seguito alla morte di Mahsa Amini.
A lei ha dedicato un lungo post sul proprio profilo Instagram, in cui ha raccontato momenti di vita quotidiana che insieme condividevano nel carcere di Evin. “Sei bianca come quel muro, sarà che a forza di guardarlo, ha mangiato i tuoi respiri. Siamo nascoste in un punto cieco qui, le tue urla sono come il silenzio, fai a pugni con la porta e calpesti le tue stesse lacrime. “AZADI! AZADI! (Libertà. Libertà, ndr)”. Ti canto Bella ciao, e tu ti metti a piangere, altre volte mi batti le mani. Vorrei dirti di più, ma che ti dico?”, si legge.
E poi ancora: “Tra di noi non ci sono state grandi conversazioni, dal momento che io non parlavo farsi e lei non parlava inglese. Ma eravamo unite dallo stesso dolore e dalle stesse paure – scrive la giovane sul suo profilo -. Ho cercato il suo nome ogni giorno da quando sono tornata, per controllare se avessero liberato anche lei. Invece mi sono trovata davanti a un articolo con il suo volto con scritto condannata a morte”.
Alessia ha raccontato anche che Fahimeh urlava i nomi dei suoi tre figli. E poi ha aggiunto: “Domani è un giorno nuovo, magari saremo libere, anche se si, hai ragione, te l’ho detto anche ieri. Arriva la pasticca che ci canterà la ninna nonna, ti prendo la mano, è quel poco che posso fare, metti la testa sotto la coperta, almeno lì le luci sono spente, guarda il cielo, le vedi anche tu le stelle? Buona notte Fahimeh”.
Mentre Alessia è rientrata a Roma il 10 novembre scorso, di Fahimeh si sa che dopo Evin è stata poi confinata nella prigione di Khorin a Pakdasht, nella provincia di Teheran. Era stata arrestata dopo essere stata accusata di aver guidato le proteste e di aver picchiato un membro dei paramilitari Bassij durante i disordini nella sua città.
In totale sarebbero oltre 18mila i cittadini arrestati in Iran durante le proteste negli ultimi 3 mesi, tra cui anche bambini. Intanto, i manifestanti hanno indetto uno sciopero di tre giorni, partito domenica, che prevede la chiusura di negozi e attività commerciali in molte città del Paese. In occasione della visita del presidente Ebrahim Raisi all’Università di Teheran in programma mercoledì i manifestanti chiedono un corteo verso piazza Azadi, nel cuore di Teheran”.
Scontro frontale
A darne conto è il Post: “È cominciato lunedì in Iran un grande sciopero nazionale di tre giorni indetto dai manifestanti che da mesi protestano contro il regime, con l’intento di mettere pressione sul regime stesso. Lo sciopero, che è uno degli atti più imponenti organizzati in questi mesi di proteste, sta coinvolgendo migliaia di negozianti, studenti e lavoratori in circa 40 città iraniane. Sui social network circolano da lunedì i video di decine di città in cui i negozi sono per la stragrande maggioranza chiusi, con le serrande abbassate. In questi giorni hanno protestato anche i guidatori dei camion, cosa che ha fatto aumentare la sensazione di blocco.
È tuttavia molto complesso capire quanto lo sciopero sia davvero partecipato, in assenza di informazioni affidabili provenienti dall’Iran. È anche possibile che almeno una parte dei negozianti abbia deciso di chiudere le proprie attività non tanto in solidarietà con i manifestanti quanto per timore che i negozi venissero coinvolti negli scontri e dalle violenze.
Il regime iraniano sostiene che i negozianti abbiano chiuso le loro attività perché minacciati dai manifestanti «rivoltosi», anche se a giudicare dall’ampiezza dello sciopero generale sembra estremamente improbabile. Nelle strade di molte città iraniane sono stati appesi poster che invitano tutti ad aderire allo sciopero, che ha l’obiettivo di aumentare il più possibile la pressione sul regime che governa il paese. Nei mesi scorsi mobilitazioni simili avevano portato a grossi e violenti scontri tra i manifestanti e la polizia.
Nel frattempo continua da alcuni giorni la confusione in Iran sulla questione dell’abolizione della polizia religiosa, cioè il corpo che si occupa di far valere le rigide regole di morale e decoro religioso in vigore in Iran e che è al centro delle proteste degli ultimi mesi. Nel fine settimana un importante esponente del regime ne aveva annunciato lo scioglimento, ma alle sue dichiarazioni non era seguita alcuna azione ufficiale, anzi: per ora la polizia religiosa non è stata smantellata e non è affatto chiaro se lo sarà in futuro.
Altri esponenti del regime, oltre ai media di stato, si sono rifiutati di dire se la polizia religiosa sarà smantellata o meno, ma il giornale riformista Hammihanha scritto lunedì che nelle città fuori dalla capitale Teheran la sua presenza è stata semmai rafforzata nelle ultime ore.
Tuttavia rimane possibile che il regime stia preparando un qualche tipo di riforma della polizia religiosa, anche se non è chiaro se e come sarà attuata: di certo c’è che non ci saranno grosse concessioni ai manifestanti. Per esempio Ali Khanmohammadi, portavoce della Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, che si occupa dell’applicazione degli editti religiosi, ha detto lunedì che l’era della polizia religiosa è finita, ma che i costumi e la morale islamici saranno fatti rispettare in altri modi, più «moderni».
L’eliminazione della polizia religiosa è fin dall’inizio uno degli obiettivi delle proteste, iniziate a metà settembre dopo che una donna di 22 anni, Mahsa Amini, era morta dopo essere stata arrestata proprio dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo. Nel corso dei mesi, tuttavia, i manifestanti avevano molto ampliato le loro richieste, iniziando a chiedere la fine del regime e l’instaurazione di un sistema democratico”.
I conti bancari delle donne che non portano il velo saranno bloccati.
Lo ha reso noto Hossein Jalali, membro della commissione Cultura del parlamento di Teheran, come riportato dal quotidiano Shargh. Lo stesso Jalali, lunedì aveva fatto riferimento a nuovi provvedimenti da mettere in pratica nelle prossime settimane riguardo all’uso del velo in pubblico, obbligatorio nella Repubblica islamica fin dalla sua fondazione nel 1979.
Jalali aveva annunciato un vero e proprio piano che prevede regole più severe sull’hijab e che sarà ratificato tra 15 giorni, come aveva fatto sapere il quotidiano riformista Shargh pubblicando un video del membro della commissione Cultura del parlamento di Teheran che parla a un’assemblea di donne nella città di Qom. “Il prezzo da pagare per chi non porterà il velo nel nostro Paese si alzerà”, aveva affermato Jalali.
Il pugno duro di Teheran
Lunedì, Teheran ha annunciato che manderà “presto” al patibolo chi è stato condannato per aver preso parte alle proteste che infiammano il Paese da quasi tre mesi, mentre le forze dell’ordine “non esiteranno a fronteggiare duramente i rivoltosi” fino a “sconfiggere il fronte unito dei nemici”. Il monito è arrivato dalle Guardie della rivoluzione, mentre il mondo è sempre più scettico sul controverso annuncio dell’abolizione della polizia morale. Ma nemmeno le nuove minacce del regime degli ayatollah sono riuscite a fermare la protesta divampata dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne uccisa a bastonate il 16 settembre a Teheran perché non portava il velo in modo corretto. E’ infatti in corso uno sciopero di tre giorni. L’iniziativa andrà avanti fino a mercoledì, quando in Iran si celebra ‘la giornata dello studente’ e in uno degli atenei del Paese è in programma un discorso del presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi.
Il leader iraniano, assieme alla Guida suprema Ali Khamenei, è stato già duramente contestato in questi mesi dagli universitari, che continuano a protestare con sit-in mentre gli attivisti sui social promettono che presto arriverà “il giorno del giudizio della Repubblica islamica”, denunciando limitazioni all’uso di Internet sempre più stringenti. Le imminenti impiccagioni per alcuni dei manifestanti arrestati annunciate dalla magistratura arrivano dopo che nei giorni scorsi Amnesty International aveva denunciato il rischio di condanna a morte per 28 manifestanti catturati, tra cui tre minorenni. Un timore accresciuto dai dati sulla pena capitale in Iran: secondo l’ong Iran Human Rights, con sede a Olso, dall’inizio dell’anno almeno 504 persone sono già state “giustiziate” per diversi reati. Il mondo della cultura ha sostenuto le dimostrazioni fin dall’inizio e almeno 40 persone impiegate nel cinema e nel teatro sono state arrestate mentre 150 hanno subito restrizioni, tra convocazioni o divieti a lasciare il Paese.
Boia di stato in azione
L’Iran ha giustiziato più di 500 persone nel 2022, superando di gran lunga il numero di esecuzioni nel 2021. Lo ha comunicato l’ong Iran Human Rights (Ihr). Almeno 504 persone sono state giustiziate dall’inizio dell’anno, ha detto l’Ong, che sta cercando di confermare altri casi di condannati che sarebbero stati giustiziati per impiccagione. Il conteggio include i 4 che secondo i media statali sono stati giustiziati ieri dopo una condanna per legami con Israele.
Secondo l’Ong con sede in Norvegia, queste persone sono state giustiziate appena sette mesi dopo il loro arresto, “senza un giusto processo, a porte chiuse davanti al Tribunale Rivoluzionario”. “Le loro condanne non hanno alcuna validità legale”, ha dichiarato in una nota il direttore di Ihr Mahmood Amiry-Moghaddam. “Queste esecuzioni hanno lo scopo di diffondere la paura nella società e distogliere l’attenzione pubblica dai fallimenti dei servizi di intelligence della Repubblica islamica”, ha denunciato.
Le Ong hanno espresso preoccupazione per il numero di donne messe a morte in Iran, spesso condannate per aver ucciso partner o parenti in violenze domestiche. Il numero di donne giustiziate quest’anno è già il più alto degli ultimi cinque anni, osserva Ihr. E cresce anche la preoccupazione per il ricorso maggiore alla pena capitale nei confronti di manifestanti che protestano da metà settembre, dopo la morte di Mahsa Amini.
Nel 2021 Amnesty International ha registrato 314 esecuzioni in Iran.
I numeri della rivolta
A sostanziarli, su Avvenire, è un documentato report a firma Angela Napoletano.
440 i manifestanti uccisi. E le cifre nascoste
“Il numero dei manifestanti uccisi durante le proteste ha superato quota 440. È la stima dell’Ispi di Milano – scriva Napoletano -.Tra questi ci sarebbero iraniani non direttamente coinvolti negli scontri, uccisi per esempio da proiettili vaganti. Hrana, agenzia stampa specializzata in diritti umani, segnala tra i morti 64 bambini. Le stime di regime sono di gran lunga inferiori: l’agenzia per la sicurezza, sabato, parlava di 200 decessi. Secondo le associazioni umanitarie, le famiglie delle vittime sono pressate dalle autorità a denunciare la morte dei propri cari come conseguenza di suicidi o incidenti stradali.
56 le vittime tra gli agenti. “Agite senza pietà”
Le vittime tra le forze dell’ordine sono 56: agenti governativi, Guardie della Rivoluzione, poliziotti e paramilitari Basij. Tutti istruiti ad agire “senza pietà”. Alcune manifestazioni, in particolare a Teheran, sono state sedate in modo così violento da aver sollecitato indagini interne alle stesse autorità. In diversi video circolati sul Web i militari si fanno strada tra la folla, in moto, mentre sparano. Il Guardian racconta che i familiari cercano di portare a casa i corpi dei propri cari per timore che la polizia potrebbe farli sparire.
20mila le persone arrestate. “28 attese dal boia”
Gli arresti disposti dalle autorità sono quasi 20mila. Centinaia sono gli studenti. In manette anche personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport, come il calciatore Voria Ghafouri, schieratisi con i «ribelli». Secondo alcune fonti, diversi sono i fermi disposti anche nei confronti dei militari accusati di aver sostenuto le dimostrazioni. Secondo Amnesty International, sono 28 le persone arrestate su cui già pende una sentenza di condanna a morte. Tre di queste sarebbero minorenni.
156 le città coinvolte. Il motore delle università
L’ondata di proteste è nata a Saqqez, nel Kurdistan iraniano, con la morte della ventiduenne Masha Amini. Ma si è irradiata in tutto il Paese coinvolgere più di 156 città, da Mashhad a Esfahan passando, solo per citarne alcune, per Arak, Bushehr, Kermanshah e Shiraz. La sua portata è diventata ingombrante quando le dimostrazioni sono approdate nella capitale messa in subbuglio anche dagli scioperi. Ad accelerare la rivolta sono state università come Sharif University of Technology, Al-Zahra University e Amir Kabir University of Technology.
63 i giornalisti arrestati. Cifre senza precedenti
È senza precedenti il numero dei giornalisti arrestati nell’ambito delle manifestazioni. Più di sessanta. Secondo Reporter senza frontiere il 44% di questi è di sesso femminile. Percentuale mai registrata prima, neppure durante le rivolte del 2019. I casi che tra i primi hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sono quelli di Nilufar Hamedi e Elahe Mohammadi. La prima, del quotidiano Shargh, ha seguito la morte di Mahsa Amini dall’ospedale dove era in coma prima di morire; la seconda ha raccontato per il giornale Ham Mihansi il funerale della ventiduenne.
1.075 i focolai di rivolta. L’iniziativa delle donne
Hanno superato quota mille i focolai di protesta in totale. La quasi totalità risulta essere stata capeggiata da donne. Il regime le ha ricondotte a pressioni arrivate dall’esterno: retorica già ampiamente vista durante le “Primavere arabe” del biennio 2010-11. La dimensione generazionale di questa ondata – conclude Napoletano – è intrecciata all’opposizione alla religiosità pubblica normata e imposta dal regime degli ayatollah. Pesa anche l’isolamento internazionale dell’Iran che da anni che strozza l’economia facendo crescere il malcontento e il disagio sociale”.
L’impegno di Amnesty International
Sono già 21 le condanne a morte emesse negli ultimi giorni, di cui tre riguardano minori di 18 anni. “Gli annunci del regime sono poco credibili, ma continueremo a batterci per evitare questo massacro”, ha detto a Rainews.it Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia,
Il velo e il rapporto con le donne da parte del clero sciita sono stati sempre oggetto di critiche da parte dell’opposizione nel corso degli anni. “Da quando i mullah sono saliti al potere in Iran, abbiamo condannato il velo obbligatorio e la misoginia del regime. L’8 marzo 1979, molte donne senza velo furono picchiate dalle forze del regime” ha scritto Maryam Rajavi,leader dei Mujahedin of Iran dal suo esilio a Parigi.
La lotta continua.