Migranti, l'ossessione dell'esternalizzazione delle frontiere unisce Meloni e Sanchez, premier "socialista"

Negli ultimi cinque anni, almeno 11.286 persone sono risultate morte o disperse mentre tentavano di raggiungere la Spagna lungo rotte migratorie: è quanto sostiene Caminando Fronteras, ong specializzata in migrazioni verso il Paese iberico.

Migranti, l'ossessione dell'esternalizzazione delle frontiere unisce Meloni e Sanchez, premier "socialista"
Migranti in Spagna
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21 Dicembre 2022 - 18.09


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L’esternalizzazione delle frontiere è una ossessione che accomuna l’Europa. Una strategia sciagurata che unisce governi di destra e quelli di “sinistra”. E’ il caso della Spagna dove a portare avanti una linea “securista” è oggi un governo guidato dal socialista, Pedro Sànchez.

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La denuncia

Negli ultimi cinque anni, almeno 11.286 persone sono risultate morte o disperse mentre tentavano di raggiungere la Spagna lungo rotte migratorie: è quanto sostiene Caminando Fronteras, ong specializzata in migrazioni verso il Paese iberico, sottolineando che i decessi o sparizioni di questo tipo sono in media sei al giorno. In un rapporto Caminando Fronteras indica che l’area più pericolosa in questa zona è quella dell’Oceano Atlantico che separa l’Africa nord-occidentale dalle Canarie, un punto in cui sono morte 7.692 persone tra il 2018 e il 2022. Del totale delle vittime degli ultimi cinque anni, 1.272 erano donne e 377 bambini. 
L’Ong calcola inoltre che almeno 241 imbarcazioni con migranti sono “scomparse completamente con tutti i loro passeggeri a bordo”. 

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 Con oltre 45 mila arrivi via mare nei primi otto mesi del 2018 è oggi la Spagna la porta d’Europa. Il flusso in aumento nella penisola iberica è rimasto costante negli ultimi mesi, con una quota di circa settemila sbarchi mensili, e un picco di ottomila solo nel mese di settembre. Una situazione del tutto nuova, che riguarda non solo la frontiera Sud del paese ma anche quella nord al confine con la Francia. Come avvenuto già per l’Italia, la Spagna ad oggi è considerata da chi arriva anche un paese di transito, in particolare da coloro che provengono da paesi francofoni (primo fra tutti la Guinea Conakry). E i passaggi secondo fonti di stampa sono quotidiani.

In totale secondo i dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, aggiornati al 22 ottobre, gli arrivi via mare raggiungono ad oggi quota 45.145. Il doppio rispetto ai numeri registrati in Italia (21mila) e Grecia (23mila). A questi si aggiungono i numeri della rotta via terra, rappresentata dai passaggi nelle due enclave spagnole Ceuta e Melilla, che contano rispettivamente 1700 e 3500 persone. Il totale dei migranti che sono entrati in Spagna, dunque, sono oltre 50mila. Un numero record nell’anno con il minor flusso di arrivi verso l’Europa.

“Molte persone arrivano dalla Guinea – spiega Flavio Di Giacomo, portavoce di Oim, appena rientrato da un viaggio in Spagna, in cui ha visitato Madrid, alcuni centri dell’Andalusia, Bilbao e l’enclave spagnola di Ceuta -. Ci sono anche tantissimi marocchini e algerini, e in generale africani che provengono da paesi francofoni. Secondo Di Giacomo non c’è un netto collegamento tra aumento di arrivi in Spagna e la diminuzione di arrivi in Italia: “C’è un collegamento solo parziale. Gli arrivi dalla Spagna sono già iniziati ad essere abbastanza intensi da inizio anno, a gennaio e febbraio – spiega -. Sono migranti che sono partiti prima della chiusura della rotta libica”. Il portavoce di Oim ricorda che i fenomeni migratori sono complessi, e che non si possono spiegare attraverso un solo fattore. “ Di certo, i trafficanti erano già organizzati a rafforzare questa rotta, l’anno scorso c’è stato un aumento evidente dei flussi verso la Spagna.  Ma a nostro avviso la rotta sarebbe cresciuta comunque”, sottolinea.

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Rispetto al transito Di Giacomo aggiunge che per ora numeri certi non ce ne sono ma che “la Spagna è interessata quasi esclusivamente da nazionalità francofone, e per quello che sappiamo molti di loro hanno contatti in Francia.  Va detto che la Spagna ha accordi di rimpatrio con Marocco (che in questo momento è la prima nazionalità di origine) e l’Algeria. Sono accordi che funzionano, quindi la maggior parte di chi proveniene da questi due paesi viene rimandato indietro. Solo i minori possono restare”. Per chi proviene da altre nazioni  cisono accordi bilaterali che però non funzionano benissimo, quindi i migranti vengono inviati in centri per irregolari che in Spagna. Ce ne sono diversi in Andalusia. Sono centri aperti. Un centro grande è a Bilbao, da cui, secondo diverse fonti di stampa, gli irregolari riescono facilmente a raggiungere il confine francese.

Rispetto alle condizioni dei centri di accoglienza, aggiunge: “Per quello che ho notato, l’opinione pubblica spagnola è ancora tendenzialmente aperta all’immigrazione – sottolinea -.  Il flusso non è altissimo: i 45mila arrivati quest’anno in Spagna sono molto inferiori ai numeri dei flussi in Italia, dove solo l’anno scorso le persone sbarcate sono state 120mila. Per loro è tre volte più dello scorso anni, per noi meno della metà. Non sono abituati ma complessivamente sembra che il sistema stia resistendo”.

Agli arrivi via mare, vanno poi sommati quelli via terra di Ceuta (circa 1500/1700) e Melilla (3500) le due enclave spagnole in Marocco. “A Ceuta ci sono soltanto africani subsahariani e francofoni, non ci sono marocchini, che passano invece via mare – afferma Di Giacomo -. Le modalità per passare il muro sono difficili, si tratta di operazioni paramilitari organizzate: devono sfondare il muro, usare cesoie, organizzare azioni di distrazione. Non è facile ma se il  migrante passa confine e viene trovato in flagrante viene respinto, altrimenti viene inviato nel centro accoglienza. Le condizioni sono buone: è pulito, ordinato e ben gestito. La capienza è di 500 persone, era sovrappopolato ma la situazione era sotto controllo”.

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“Sono invisibili, nemmeno numeri, e le loro vite sarebbero semplicemente cancellate, ingoiate dal mare, se non fosse per chi si impegna a salvarle o a documentarne la scomparsa. Almeno 2.087 persone, tra cui 341 donne e 96 bambini, sono morte o desaparecidas nel tentativo di raggiungere la Spagna nei primi sei mesi dell’anno: un numero quasi pari a quello dell’intero 2020. E con un incremento del 526% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. 

È il bilancio “catastrofico” stimato dall’Osservatorio dei diritti alla Frontiera della Ong “Caminando Fronteras” sulla base delle chiamate di Sos ricevute dalle imbarcazioni o di quelle dei familiari alla ricerca dei congiunti dispersi, incrociando i dati con le fonti ufficiali delle comunità migranti. «Siamo profondamente preoccupati. Sono le cifre peggiori registrate da 14 anni, da quando è cominciato il monitoraggio. Si sta normalizzando la strage» ha denunciato Helena Maleno, attivista e portavoce della Ong. Da gennaio, sono state almeno 80 le tragedie in mare. Anche se, delle oltre 2mila vittime dei naufragi, solo 87 corpi – fra i quali 11 donne e altrettanti bambini – sono stati recuperati. Sono il 4% del totale, mentre il 96% risulta disperso.

Erano originari di 18 Paesi: Marocco, Algeria, Mauritania, Senegal, Guinea Conakry, Guinea Bissau, Gambia, Costa d’Avorio, Camerun, Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Burkina Fasu, Comore, Siria, Bangladesh, Pakistan, Yemen e SriLanka. «Sono vittime di omicidio e non è una metafora: le condizioni che affrontano, soprattutto sulla rotta delle Canarie, comportano una morte quasi certa» ha assicurato Teodoro Bondyale. segretario della Federazione di Associazioni africane alle Canarie, durante la presentazione del rapporto. 

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«Si interrano le persone senza sapere chi sono. Molti cadaveri non si sa dove siano, i familiari cercano i propri cari senza sapere se sono stati salvati o se si sono perduti per sempre nell’oceano» ha spiegato il sacerdote José Antonio Benitez, membro dell’associazione per i migranti “Elín” e segretario diocesano di Migrazioni delle Canarie.

Ancora una volta la rotta atlantica si conferma la più letale, con 1.922 vittime in 57 naufragi, anche se sono solo 61 corpi recuperati. Seguita da quella del mare di Alborán (93 morti), da quella dello Stretto di Gibilterra (36 morti) e dalla rotta algerina (26 vittime). L’aumento della mortalità non è solo dovuto all’incremento degli sbarchi – più 157% alle Canarie rispetto al primo semestre 2020, secondo i dati del ministero degli Interni – ma anche all’utilizzo di imbarcazioni sempre più precarie.

Soprattutto gommoni, «impreparati per affrontare l’oceano e condotti da persone senza esperienza che smarriscono più facilmente la rotta», ha spiegato l’attivista Helena Maleno. Fra le cause che hanno contribuito all’inaccettabile escalation di perdite, con un numero sempre maggiore di donne e bambini, la Ong indica anche la crisi diplomatica fra Rabat e Madrid, che non ha avuto come unico scenario l’enclave di Ceuta, con l’arrivo a maggio di circa 10mila migranti. Ha spostato le basi di partenza dei viaggi della speranza dalla costa del Sahara occidentale, occupato dal Marocco, alle zone di Dajla ed ElAajún, e più a sud, moltiplicando i rischi per le maggiori distanze. 

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Per cui “Caminando Fronteras” denuncia «l’utilizzazione della vita dei migranti a scopo di ricatto politico da parte di entrambi i Paesi». Ed esige «azioni immediate dei Paesi coinvolti – Spagna, Marocco, Mauritania e Algeria – con una riunione urgente di alto livello per frenare il massacro». Oltre 23mila migranti sono sbarcati nell’arcipelago nel 2020, rispetto ai 2.019 dell’anno precedente. Fra gennaio e giugno scorsi 6.952 persone, oltre il triplo dello stesso periodo di un anno fa, in una crisi umanitaria che ha messo a dura prova le infrastrutture e la capacità di accoglienza delle isole”.

Così scriveva da Madrid Paola Del Vecchio su Avvenire del 21 luglio 2021. Diciassette mesi dopo, la situazione se è cambiata, è cambiata in peggio.

A darne conto, su Repubblica, è Micol Conte: “Repressione, violenza, morte: è questa la risposta delle forze dell’ordine di Spagna e Marocco alle speranze dei migranti. Per chi sogna un futuro accettabile in Europa la rotta di terra si è rivelata pericolosa quanto quella dell’Atlantico.

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Il 24 giugno 2022. Quella mattina, sul confine tra Spagna e Marocco, a Melilla, c’è stato uno degli incidenti più gravi degli ultimi anni. Quel giorno -denuncia Amnesty International – tra 1.500 e 2.000 migranti provenienti dall’Africa subsahariana con una forte presenza di sudanesi, hanno tentato di attraversare il confine. Ma quando si sono avvicinati al valico informale di Barrio Chino, più di cento poliziotti spagnoli e marocchini li hanno accolti sparando proiettili di gomma, gas lacrimogeni, pietre e manganellate. La polizia ha continuato a picchiare anche quando molti dei feriti erano a terra, in stato di semi-coscienza e con difficoltà respiratorie. A tutti è stata negata la possibilità di ricevere assistenza medica.

La repressione in una spazio ristretto: non si poteva scappare.“Eravamo accerchiati, la polizia spagnola e quella marocchina ci lanciavano contro di tutto: bombe a gas, proiettili di gomma, pietre… non si vedeva niente ed era difficile respirare”, ha raccontato Zacharias, un ragazzo di ventidue anni partito dal Chad. Dopo avere attraversato otto Paesi e non essere riuscito a ottenere protezione in nessuno di essi, il giovane aveva tentato quella mattina del 24 giugno di entrare in Europa e si è trovato coinvolto nella repressione delle forze dell’ordine. La polizia è intervenuta in uno spazio ristretto, dal quale le persone non potevano scappare e questo rivela l’intenzione punitiva dell’azione. Oggi, a distanza di sei mesi, risultano morte trentasette persone e settantasette disperse.

L’inerzia di Spagna e Marocco. Nonostante siano passati sei mesi e Amnesty International abbia condiviso con le autorità spagnole e marocchine i risultati delle indagini su quanto accaduto il 24 giugno, né la Spagna né il Marocco hanno avviato indagini per fare chiarezza sulla violenza usata dalla polizia. “Questo è un insabbiamento – scrive Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty – eppure sarebbe essenziale che i governi di entrambi i Paesi garantissero verità e giustizia su quanto è successo quel giorno, per evitare che accada di nuovo. L’inchiesta condotta in questi mesi dall’organizzazione, grazie anche a riprese satellitari, video e testimoni oculari, dimostra che gli arrivi di migranti quel giorno erano prevedibili e quindi la violenza evitabile. Già nei giorni precedenti a quel 24 giugno le persone in arrivo a Melilla erano state aggredite dalla polizia marocchina, che aveva distrutto e bruciato tutti i loro beni. “Le autorità di Spagna e Marocco continuano a negare ogni responsabilità per la carneficina di Melilla. C’è una montagna di prove gravi e di molteplici violazioni dei diritti umani, tra cui la morte, il maltrattamento di rifugiati e migranti e fino a oggi anche la mancanza di informazioni sull’identità dei defunti e sui dispersi”, conclude Agnès Callamard.

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Sulla spiaggia di Tan Tan trovati 11 corpi. Almeno quarantanove persone, il 10 dicembre scorso, sono morte a Tan Tan sulla costa del Marocco, a duecento chilometri dalle isole Canarie. La denuncia arriva dall’Organizzazione Non GovernativaCaminando Fronteras. Fino ad ora, sulla spiaggia di Tan Tansono stati ritrovati undici corpi, gli altri risultano ancora dispersi. Così come risulta dispersa un’altra imbarcazione con cinquantasei persone a bordo, tra cui molti bambini, diretta sempre verso le Canarie. Le autorità spagnole la settimana scorsa hanno invece confermato il recupero dei corpi di tre persone e la messa in sicurezza di altre sei, tutte partite dall’Algeria e naufragate al largo della Murcia, nel sud della Spagna. Secondo i dati del Missing Migrant Project dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni  (Oim) dal 2014 ad oggi più di duemila persone sono morte nel Mediterraneo occidentale e la stragrande maggioranza degli incidenti si sono verificati nel tratto di mare verso le Isole Canarie”.

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