Marcello Flores: le proteste dell'Iran, il brusio dell'Occidente e il silenzio dell'Italia

Lo storico spiega come e perché in Italia solo decine o poche centinaia di persone sono scese in piazza lo si deve anche alla storica simpatia che persiste per il feroce antiamericanismo degli ayatollah.

Marcello Flores: le proteste dell'Iran, il brusio dell'Occidente e il silenzio dell'Italia
Lo storico Marcello Flores
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17 Gennaio 2023 - 17.19 Culture


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di Dario Brunettini

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Da settembre l’Iran è scosso da violente proteste a seguito dell’uccisione della studentessa 22enne Mahsa (Jina) Amini da parte della polizia morale. Le manifestazioni si sono rapidamente estese alle principali città del paese, coinvolgendo trasversalmente la popolazione a prescindere dal genere, dall’età e dall’appartenenza sociale e religiosa. Nonostante la sanguinosa repressione e il controllo dei mezzi di informazione da parte delle autorità iraniane, i disordini non accennano a placarsi e sembrano dare voce a un più ampio dissenso rivolto contro la Repubblica islamica e la Guida Suprema Ali Khamenei.

Marcello Flores, professore di Storia Contemporanea e esperto di diritti ci aiuterà a capire quale ruolo potrebbe giocare l’occidente in quella che sembra poter diventare da un momento all’altro una vera rivoluzione.

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Le proteste continuano a infiammare l’Iran da ormai quattro mesi e molte sono le voci di condanna nei confronti del regime di Teheran che si sono levate in occidente, soprattutto da parte della società civile. Perché questo movimento non è sostenuto a dovere dagli stati dell’Occidente?

La cosa paradossale è che mentre ci furono manifestazioni di appoggio alla rivoluzione del 1979 (in parte anche alle sue componenti islamiste radicali che poi presero il sopravvento e affossarono rapidamente la democrazia) e contro il governo dello Shah, in questa occasione, dove abbiamo assistito a una delle più potenti, difficili, coraggiose, continue e diffuse proteste iniziate dalle ragazze e dalle donne di Teheran, c’è stata qualche piccola protesta di decine di persone in piazza, massimo centinaia, in alcune città italiane, a differenza di altre città europee dove le manifestazioni sono state, invece, imponenti. La risposta più facile, che però è un po’ datata anche se in parte credo ancora valida, è che l’Iran degli ayatollah e dei pasdaran è ferocemente antiamericano, e quindi in fondo suscita simpatie, a partire dalla condanna all’embargo e alle sanzioni occidentali contro il regime. Più in generale, però, credo che stiamo vivendo una fase nuova della storia, dove la protesta ha caratteri diversi, riguarda il proprio angusto orizzonte locale o al massimo nazionale, si mobilita attraverso i social  che, politicamente, in Italia sono egemonizzati dai sovranisti, non ha riferimenti politici, organizzativi o istituzionali, per quanto riguarda valori, giudizi e prospettive sul piano internazionale.

Cosa potrebbero fare di più i governi di Europa e Stati Uniti per fermare la repressione del Governo di Khamenei e per far sentire il proprio sostegno a chi mette in gioco la propria sicurezza protestando per la libertà?

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Innanzitutto parlarne, conoscere, diffondere le notizie, le storie, le vicende, le testimonianze, collegarsi alle proteste europee, inviare lettere di protesta, petizioni, far circolare documentari e film che ne parlano. Se penso a quanto è stato fatto – e si trattava di un caso, gravissimo, ma solo uno – per mesi e anni con la vicenda di Giulio Regeni, penso che è vergognoso che non ci sia almeno nella metà dei comuni italiani un grande drappo che ricorda e aggiorna sulla repressione iraniana. I social e la tecnologia permettono di fare tante cose prima impensabili, anche a piccoli gruppi, ma deve esserci una spinta, una volontà, un oltraggio sentito come proprio che mi sembra manchi.

Perché secondo lei non si agisce in questo senso?

Indifferenza per prima cosa, senso di impotenza e di non poter cambiare nulla in secondo luogo, e forse anche uno sguardo ammirato ma lontano verso una protesta che è stata, e in gran parte ancora è, profondamente femminile. Le richieste di «libertà», e questa mobilitazione è solo per la «libertà», non sono mai state considerate sufficienti soprattutto dalla sinistra. E infatti un discorso analogo si potrebbe fare per l’Ucraina: le manifestazioni per la libertà dell’Ucraina sono state molto poche e assai più ridotte di quelle generiche per la pace che spesso non avevano neppure il coraggio di mettere sotto accusa l’aggressore Putin.

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L’Iran è stato forse il paese in cui le donne hanno goduto di maggiori libertà in passato, anche se non vi è mai stata una completa emancipazione. Inoltre la popolazione iraniana è molto giovane: l’età mediana è di soli 27 anni e nella fascia che va dai 15 ai 24 anni è compreso il 22% della popolazione. Possono questi due elementi spiegare perché, a differenza degli altri paesi a maggioranza islamica, la rivolta si realizzi in quel Paese?

Negli ultimi vent’anni almeno la società iraniana aveva trovato un modus vivendi con il regime fondamentalista islamico: ogni tanto c’erano proteste, ci si mobilitava a volte attorno alle scadenze elettorali (sapendo che non erano per nulla elezioni libere), ma si costruiva un tessuto di libertà nel privato, nelle famiglie, nelle case o in zone che potevano essere in parte protette dallo sguardo occhiuto e repressivo del regime (le università, il cinema, la poesia, l’arte). Era una vita molto schizofrenica ma che, grazie anche agli smartphone e ai social, ha contribuito a diffondere e radicare l’amore per la libertà, di cui sono sempre stati i giovani, almeno negli ultimi ottant’anni, i principali alfieri, quelli che si sono mobilitati e anche sacrificati. In paesi che hanno una crescita demografica come l’Iran questo rappresenta una grande spinta alla ribellione e a successive rivolte, come del resto è accaduto con le «primavere arabe», anche se questa è più profonda, intensa, radicata e consapevole: io credo proprio perché l’hanno iniziata, l’hanno fatta le donne, che costituiscono la parte (metà e più) più oppressa di tutta la società iraniana.

All’11 gennaio sarebbero 520 i morti fra i manifestanti – di cui 70 bambini – mentre più di 20 mila sarebbero stati arrestati. Quattro sono state le sentenze capitali, a seguito di processi sommari e 109 altri detenuti attendono la stessa sorte. Per quanto riguarda i diritti umani esiste un qualche tipo di monitoraggio della situazione nel paese? Crede che le condizioni possano peggiorare ulteriormente?

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Le principali organizzazioni dei diritti umani che si occupano dell’Iran o sono presenti, sia pure nascostamente, sul posto o nei paesi vicini, danno informazioni continue, che però giungono nei media occidentali solamente in occasioni estreme (uccisioni di manifestanti o in carcere, condanne a morte, bambini uccisi e torturati). È vero che le violazioni dei diritti umani sono talmente tante in tutto il mondo che risulta difficile poterle seguire e raccontare tutte. Ma credo che conti anche, per parlarne poco e sottovalutarle, la gran quantità di interessi economici che l’Italia, e tutto l’occidente in realtà, ha con l’Iran e non vuole mettere in pericolo. Per questo la protesta rimane in superficie e non coinvolge. Bisogna rendersi conto che tutti i partiti, da noi, hanno fatto poco o nulla per organizzare la protesta: ha fatto molto di più il presidente Mattarella che, in occasioni istituzionali pubbliche, ha rivolto critiche inusualmente forti e motivate anche in situazioni a carattere diplomatico. Credo che sarà inevitabile che la situazione peggiorerà, perché il proseguimento e radicalizzazione della repressione e della violenza del potere renderà sempre più difficile la protesta, mentre il governo iraniano si rende conto che da parte delle potenze occidentali non avrà maggiori opposizioni di quelle che si sono viste finora, e cioè molto deboli e limitate.

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