“Abbiamo parlato della stabilità della Libia, per noi è importantissima e lavoreremo sempre insieme per la sicurezza delle frontiere. Per risolvere il problema dell’immigrazione servono anche accordi politici per ridurre i flussi dalla Libia verso la Tunisia e che poi si spostano verso il Mediterraneo e verso l’Italia. Con Tunisi siamo in sintonia anche sulla Libia e continueremo a lavorare insieme”. Così il ministro degli Esteri Antonio Tajani al termine degli incontri a Tunisi con il presidente tunisino Saied e con i ministri degli esteri e dell’Interno”. Da un lancio dell’agenzia Ansa.
Ma di che parla, signor Ministro…
La stabilità della Libia. Un mantra per ogni persona, di qualunque coloritura politica, che si è avvicendata, negli ultimi dodici anni almeno, alla guida della Farnesina. Antonio Tajani non fa eccezione.
Niente da eccepire, ognuno insiste sul tasto che meglio crede, se non fosse che più si evoca la stabilità e più la Libia sprofonda nell’instabilità.
A darne conto è l’agenzia Nova: “Il riavvicinamento tra la Camera dei rappresentanti libica di Tobruk e l’Alto consiglio di Stato – il “Senato” libico – è al momento “solo verbale”. Lo ha dichiarato il presidente della Camera dei rappresentanti libica di Tobruk, Aguila Saleh, durante una seduta del parlamento nel capoluogo della Cirenaica, Bengasi. Nel suo discorso, Saleh ha negato che il suo accordo con il presidente dell’Alto consiglio di Stato, Khaled al Mishri, abbia prodotto qualche risultato. Per Saleh il parlamento è ad oggi l’unico organo legislativo della Libia, osservando che l’Alto consiglio di Stato ha competenze “consultive”. Durante il suo discorso, Saleh ha affermato che il parlamento dovrà prendere alcune decisioni coraggiose, senza attendere il benestare del cosiddetto “Senato” libico. Secondo Saleh, finora, l’Alto consiglio di Stato non ha fornito alcuna risposta in merito alle posizioni sovrane: governatore della Banca Centrale della Libia e vicepresidente; presidente dell’autorità di Vigilanza e suo vice; procuratore generale; capo dell’Ufficio di revisione e il suo vice; presidente e vice della commissione anti-corruzione; presidente e membri dell’Alta commissione elettorale; presidente della Corte suprema. Saleh ha anche affermato che il documento costituzionale presentato dall’Alto consiglio di Stato è un “bozza di costituzione” e dovrà essere sottoposta a referendum popolare. Infine, secondo Saleh, un modo per risolvere l’attuale crisi libica è la modifica dell’attuale dichiarazione costituzionale e organizzare elezioni. “La dichiarazione costituzionale ha il valore di una costituzione fino a quando non viene abolita o viene promulgata un documento costituzionale permanente”, ha affermato Saleh.
Il presidente del parlamento di Tobruk ha concesso 15 giorni all’Alto consiglio di Stato per rispondere alla Camera dei rappresentanti in merito al fascicolo della base costituzionale delle elezioni. “È possibile consultare i membri del Consiglio di Stato in merito alle leggi elettorali, ma non rimarremo alla mercé di nessuno di loro”, ha affermato Saleh, indicando comunque la sua disponibilità a proseguire le consultazioni con Al Mishri. “Un anno e mezzo fa la Camera dei rappresentanti ha inviato all’Alto consiglio di Stato 13 fascicoli con le liste delle posizioni sovrane, ma non ci ha risposto né positivamente né negativamente”.
Alla faccia della coesione e della stabilità, viene spontaneo da dire.
Non è una dimenticanza
“La soluzione alla crisi libica passa per un accordo tra tutti gli attori regionali e internazionali interessati al dossier, in particolare Egitto e Turchia che hanno “un ruolo cruciale”, ma senza una “volontà” dei Paesi interessati e un “dialogo globale e costruttivo” tra le fazioni libiche “nulla cambierà”. Lo afferma all’Adnkronos Khalil al-Anani, ricercatore senior all’Arab Center Washington e professore di Scienze politiche al Doha Institute, mentre l’Italia ha proposto un Patto per la stabilizzazione della Libia, che coinvolge tutti i Paesi dell’area mediterranea, con al centro l’iniziativa dell’inviato Onu, Abdoulaye Bathily.
Qualsiasi soluzione alla crisi libica “deve passare attraverso un accordo tra diversi attori regionali e internazionali come Egitto, Turchia, Stati Uniti, Francia e Russia. Tuttavia, credo che il ruolo del Cairo e di Ankara sia cruciale per risolvere il problema dato il loro peso politico e le relazioni con le parti libiche”, dichiara al-Anani, commentando gli incontri e le trattative che si susseguono nella capitale egiziana per trovare un’intesa che porti al voto, con al tavolo il presidente del Consiglio presidenziale, Mohamed al-Menfi, il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aquila Saleh, ed il generale Khalifa Haftar.
Mentre da una parte l’Egitto tenta di far avanzare il processo politico, dall’altra “teme che i risultati elettorali potrebbero non essere a suo favore”, prosegue l’esperto, evidenziando anche che “non ci sono garanzie che le elezioni si possano tenere senza l’accordo con Abdul Hamid Dbeibah (il capo del governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu, ndr), che insiste affinché il suo governo supervisioni il voto”.
Al-Anani ritiene che sia la Turchia che l’Egitto siano “desiderosi” di tenere le elezioni per “porre fine al caos e poter prendere parte al processo di ricostruzione post-conflitto. Tuttavia – evidenzia – entrambi i Paesi non hanno il pieno potere di imporre la loro visione/soluzione ai loro alleati libici, che potrebbero non essere d’accordo o rifiutarla”. Per questo motivo, sostiene l’esperto, prima di eventuali iniziative prese da “attori esterni”, è necessario un accordo tra le fazioni libiche, la cui “sfiducia” nei loro confronti oggi è “enorme” e “pertanto, non credo che vedremo presto la fine della crisi libica, purtroppo”.
Al-Anani chiarisce quindi che, a suo giudizio, l’obiettivo dell’Egitto non sia più quello di portare il generale Haftar al governo di Tripoli. “Credo che Il Cairo si sia reso conto che Haftar non sia la persona giusta da sostenere, soprattutto dopo il suo fallimento nel prendere il controllo di Tripoli – conclude – Gli egiziani credono che Haftar sia un tipo incontrollabile che potrebbe sovvertire i loro piani se prendesse il potere. Pensano anche che sia un ostacolo, quindi preferiscono sostituirlo con un altro volto accettabile”.
Il professor al-Anani cita i players, regionali e internazionali, che si muovono sullo scenario libico. Sono gli stessi declinati da Globalist in decine di articoli e report: Egitto, Turchia, Stati Uniti, Francia e Russia. L’Italia non c’è. E non è una dimenticanza.
Chi conta davvero
Da un recente articolo su specialelibia.it: “Il capo dell’agenzia d’intelligence turca, Hakan Fidan, è arrivato oggi nella capitale libica Tripoli in visita ufficiale. Fidan è stato prima ricevuto dal primo ministro del Governo di unità nazionale della Libia, Abdul Hamid Al Dabaiba, per discutere di alcune questioni regionali e internazionali di interesse comune. All’incontro erano presenti la ministra degli Esteri, Najla El-Mangoush, il ministro di stato di Stato per gli Affari di Gabinetto, Adel Jumaa, e il ministro delle Comunicazioni e degli affari politici, Walid al Lafi.
Hakan Fidan ha anche incontrato il capo dell’Alto Consiglio di Stato, Khaled Al-Meshri, e il suo omologo libico Hussein Muhammad Khalifa Al-A’ib, il Consiglio di Presidenza e il governatore della Banca Centrale, Siddik Al-Kabeer. In cima all’agenda delle discussioni del capo della National Intelligence Organization (MIT) con gli attori libici le relazioni tra i due Paesi dopo la decisione, la scorsa settimana, da parte di un tribunale libico di sospendere l’accordo marittimo tra Ankara e Tripoli, e la decisione di un’altra Corte che obbliga il GNU a pubblicare il testo del MoU e i suoi annessi.
La missione di Fidan in Libia segue la sua recente visita in Sudan, dove lunedì ha incontrato Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, comandante in capo delle forze armate sudanesi. Essa arriva anche pochi giorni dopo quella del capo della CIA a Tripoli e la visita del Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ad Ankara. In quell’occasione il capo della Farnesina ha affermato in dichiarazioni all’agenzia di stampa turca Anadolu che “L’Italia e la Turchia condividono un forte impegno per la sovranità, l’integrità territoriale e l’unità nazionale della Libia”. “Abbiamo ripetutamente chiesto elezioni libere ed eque in Libia e sosteniamo entrambi pienamente gli sforzi delle Nazioni Unite per facilitare una soluzione politica globale di proprietà libica”, ha aggiunto Tajani.
L’anno scorso, la Repubblica di Turchia e la Libia hanno firmato una serie di accordi economici preliminari che includevano la potenziale esplorazione energetica nelle aree marittime. Gli accordi consentirebbero l’esplorazione di petrolio e gas nelle acque libiche e sono arrivati tre anni dopo che i due paesi hanno firmato un accordo sui confini marittimi.
Si ricorderà infatti che, nel novembre 2019, Tripoli ed Ankara hanno firmato un accordo di delimitazione marittima che ha fornito un quadro giuridico per prevenire qualsiasi fatto compiuto da parte di altri stati regionali, principalmente Grecia ed Egitto. Secondo Ankara, i tentativi del governo greco di appropriarsi di enormi parti della piattaforma continentale libica, quando una crisi politica colpì il paese nordafricano nel 2011, furono scongiurati mentre Atene sostiene che l’accordo tra Libia e Turchia non terrebbe contro dell’isola di Creta.
Di recente, il quotidiano greco Kathimerini ha affermato che le aree in cui si stanno svolgendo operazioni di esplorazione e perforazione tra compagnie greche e statunitensi, in particolare la parte sud-occidentale dell’isola di Creta, sono incoerenti con le rivendicazioni libiche alla sovranità marittima supportate dal memorandum d’intesa firmato nel 2019 tra Ankara e il governo libico. Il quotidiano afferma che Libia e Turchia non hanno una frontiera marittima comune, sottolineando che la società statunitense “ExxonMobil” aveva assicurato al governo greco di non essere interessata alla disputa turca sui diritti energetici nel bacino del Mediterraneo.
Ha anche affermato che “ExxonMobil” ha stretto una partnership con la società “Hellenic Petroleum” nella ricerca di gas naturale e petrolio a sud e a ovest di Creta, con l’intenzione di aumentare il ritmo delle perforazioni in quelle aree per terminare questa attività entro il prossimo febbraio. Il protocollo d’intesa libico-turco è stato categoricamente respinto da diversi paesi, tra cui Grecia ed Egitto, che di recente hanno delimitato unilateralmente i propri confini marittimi occidentali con la Libia, scatenando il rifiuto della Libia; anche dagli alleati dell’Egitto alla Camera dei Rappresentanti.
In una lettera dello scorso dicembre alle Nazioni Unite, Libia e Turchia hanno denunciato le critiche greche ai loro accordi sulla delimitazione delle aree di giurisdizione marittima e degli idrocarburi, e hanno esortato la Grecia a porre fine alle sue accuse infondate, alla retorica ostile e alle azioni escalatorie e a rispettare invece le decisioni sovrane dei due Paesi”.
Il sultano di Ankara, Recep Tayyp Erdogan, ai piedi del quale, metafora politica calzante, si è inginocchiato qualche giorno fa il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, in missione ad Ankara, ha spaccato in due la Libia, aggredendo la “torta” miliardaria energetica e degli affari legati alla ricostruzione del devasto Paese nord africano. La Turchia ci ha marginalizzato in Libia. Nel campo degli accordi petroliferi come in altri settori strategici.
Questa è la realtà. Il resto è narrazione. Farlocca.