Assad, il "macellaio di Damasco": gli aiuti internazionali e un popolo martirizzato

Per il regime di Assad, quello umanitario è un business con cui arricchirsi e un’arma di ricatto per avere legittimazione. Ora chiede di rimuovere le sanzioni, ma è solo un trucco.

Assad, il "macellaio di Damasco": gli aiuti internazionali e un popolo martirizzato
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Febbraio 2023 - 17.51


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Il “macellaio di Damasco” non si ferma neanche di fronte all’apocalisse del terremoto che ha devastato un Paese già martirizzato da dodici anni di guerra. 

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Il “macellaio” e il terremoto.

Annota Luca Gambardella su Il Foglio: “Per il regime, quello umanitario è un business con cui arricchirsi e un’arma di ricatto per avere legittimazione. Ora chiede di rimuovere le sanzioni, ma è solo un trucco. Lo scorso 28 gennaio, il capo dell’organizzazione umanitaria della Mezzaluna rossa siriana (Sarc), Khaled Hboubati, era stato ricevuto in Vaticano per un’udienza con Papa Francesco. 

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Una foto di cortesia li ritraeva mentre il Pontefice scambiava dei doni con Hboubati, oggi diventato uno dei personaggi chiave nella complessa macchina degli aiuti umanitari dopo il terremoto di domenica notte, che ha ucciso oltre 11 mila persone fra Turchia e Siria. Con un dettaglio: Hboubati è un uomo di Bashar el Assad. Dopo avere investito nel settore dei night club e dei casinò prima della guerra, è diventato presidente di una squadra di calcio legata al regime baathista, l’al Wahda. E’ considerato molto vicino alla moglie di Assad, Asma, al punto che nel 2016 il presidente siriano lo ha messo alla guida della Sarc con l’obiettivo di avere il pieno controllo della distribuzione degli aiuti umanitari nel paese”. 

Senza pietà né umanità, il regime di Damasco ha bombardato Marea, 25 km a nord di Aleppo, una delle tante città in cui si scava a mani nude cercando di salvare chi è rimasto intrappolato tra le macerie. Il marchio d’infamia di un regime che semina morte dove la morte ha già colpito duramente. Sono pochissime le notizie che arrivano anche da Idlib, nel Nord-Ovest siriano, una delle zone in mano ai ribelli anti-Assad, dove più di 3 milioni di civili sono da anni a rischio epidemie e campo profughi della Croce Rossa turca ospita gli sfollati che Ankara non vuole ricevere. Abbandonati e senza aiuti. Perché Assad vuole gestirli in prima persona per poi smistarli dove meglio crede. Quindi, non certo lì. Come conferma il post social di Zein, la figlia del dittatore, che dal dorato esilio di Londra mette in guardia tutti dal mandare aiuti a Idlib. La macchina dei soccorsi è quindi complicatissima. La Turchia ha aperto due valichi frontalieri per consentire l’ingresso di aiuti umanitari ma tutto va a rilento. Solo ieri infatti la Siria ha richiesto aiuti all’Unione Europea attraverso la protezione civile con Assad che fa appello all’Onu. Ma in molti dubitano che possano arrivare a destinazione. Damasco cercherà di sfruttare il sisma per far sospendere le sanzioni dell’Occidente dopo le repressioni contro i civili. «Le sanzioni non hanno alcun impatto sugli aiuti umanitari», dicono dalla commissione Ue. Una mano tesa la regime arriva dalla Cina che attacca frontalmente gli Stati Uniti dicendo che «dovrebbero mettere da parte l’ossessione geopolitica e revocare immediatamente le sanzioni unilaterali alla Siria». Washington replica facendo sapere che «aiuterà la Siria e i siriani ma non Assad». 

Secondo la deputata Alicia Kearns, presiedente della commissione per gli affari esteri della Camera, il presidente Bashar al-Assad ha lanciato un «attacco veramente insensibile e atroce» a Marea, una città nel nord-ovest della Siria colpita dal terremoto. Anche il ministro degli Esteri di Londra James Cleverly ha criticato il regime di Assad per i «bombardamenti del tutto inaccettabili».

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Kearns «ha assolutamente ragione a sottolineare il bombardamento completamente inaccettabile di aree subito dopo questo disastro naturale – ha detto il capo della diplomazia britannica – Purtroppo si tratta di un modello di comportamento di lunga data del regime di Assad, un regime che condanniamo, abbiamo sanzionato e nei confronti del quale continueremo a imporre sanzioni, lavorando con i nostri amici e partner internazionali, per cercare di impedire che si ripetano comportamenti come questo».

L’allarme delle agenzie umanitarie.

Ne scrive greenreport.it: “Jens Laerke, portavoce dell’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (Ocha) dell’Onu, ha ricordato che «I bisogni della Siria sono enormi» anche in Siria, in particolare ad Aleppo, Latakia, Hama, nella campagna di Idlib e Tartus: «Dopo aver sopportato i massicci terremoti iniziali, le comunità traumatizzate in Siria hanno dovuto affrontare più di 200 scosse di assestamento». Il portavoce dell’Unicf James Elder ha aggiunto che «Questo ovviamente è arrivato nel momento peggiore possibile per molti, molti bambini vulnerabili in quelle aree che avevano già bisogno di sostegno umanitario. Sono andati a letto normalmente, sono stati svegliati dalle urla dei vicini, dai vetri rotti e dal rumore terrificante del cemento che si sgretolava.

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Dopo 13 anni di guerra, la crisi economica e umanitaria in tutta la Siria era già devastante, ma a preoccupare sono soprattutto le condizioni di chi è sopravvissuto al terremoto nelle aree controllate dall’opposizione armata siriana. Dalle milizie h<jihadiste e dall’esercito turco e dai suoi mercenari. Si tratta spesso di profughi che erano già stati costretti a fuggire più volte dalle loro case a causa della guerra o di kurdi che si sono trovati intrappolati in aree conquistate dai soldati turchi e dai loro tagliagole.

Elder ha spiegato che «Era già una situazione di emergenza in tutto il nord-ovest della Siria, dove quattro milioni di persone ricevono sostegno umanitario. Le comunità sono alle prese con un’epidemia di colera, un inverno brutale e, naturalmente, un conflitto in corso».

il portavoce dell’Unhcr Matthew Saltmarsh ha descritto l’emergenza terremoto in Siria come  «Un colpo di martello per le popolazioni sfollate che non possono lavorare e i cui risparmi sono stati esauriti. Siamo nel cuore dell’inverno, abbiamo assistito a tempeste di neve e, naturalmente, la guerra va avanti da oltre un decennio».

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Mentre le squadre internazionali di ricerca e salvataggio arrivano nell’enorme cratere di un terremoto gigantesco e sono coordinate dall’Ocha, Laerke ha sottolineato ieri che «C’è una finestra di circa sette giorni… in cui troveremo sopravvissuti. Può succedere più tardi, ma è davvero fondamentale che queste squadre agiscano il prima possibile».

A parte i danni materiali alle strade e alle infrastrutture pubbliche che stanno rendendo più difficile il lavoro dei soccorritori, anche la terribile situazione economica della Siria ha rallentato i soccorsi. Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (Ifrc), ha fatto notare che «Gli sforzi di ricerca e salvataggio sono attualmente ostacolati dalla mancanza di attrezzature per rimuovere i detriti. C’è una grave mancanza di carburante in tutta la Siria e questo ha ostacolato il funzionamento di macchinari pesanti, il trasporto di personale e i servizi di ambulanza di emergenza».

Poi c’è il dramma dimenticato dei profughi palestinesi. Circa 438.000 rifugiati palestinesi vivono nei 12 campi profughi della Siria e la Siria settentrionale ospita 62.000 rifugiati palestinesi a Latakia, Neirab, Ein-el Tal e Hama. Secondo l’United Nations Relief and Works Agency (Unrwa), «Circa il 90% delle famiglie di rifugiati palestinesi in Siria ha bisogno di assistenza umanitaria a causa dei terremoti».

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Comunque il personale umanitario, compreso quello italiano, e al lavoro in mezzo a inferni di macerie, fango e freddo. Margaret Harris, portavoce dell’Oms ha detto che «Siamo stati in grado di spostare kit chirurgici e per traumi oltre confine da Gaziantep, dove ovviamente abbiamo preposizionato le forniture e siamo stati in grado di rifornire 16 ospedali in Siria, nelle aree colpite in Siria, già a partire dal 6 febbraio».

Rilanciando l’appello del segretario generale dell’Onu António Guterres a tutti i Paesi affinché «Sostengano tutti coloro che hanno già un disperato bisogno di aiuti umanitari», Laerke ha chiesto aiuto per tutti coloro che ne hanno bisogno e – di fatto – di sospendere l’embargo contro il regime di Bashir al-Assad che sta diventando un embargo anche contro chi si oppone al regime: «E’ imperativo che tutti la vedano per quella che è: una crisi umanitaria in cui sono in gioco vite umane. Per favore, non politicizzare nulla di tutto questo, portiamo gli aiuti alle persone che ne hanno così disperatamente bisogno».

Ma il “macellaio di Damasco” non è di questo avviso.

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Aleppo la “martire”.

Per anni, gli abitanti di Aleppo, seconda città della Siria,  hanno sopportato il peso dei bombardamenti e dei combattimenti quando la loro città, un tempo la più grande e cosmopolita della Siria, era tra le zone di battaglia più feroci della guerra civile. Nemmeno questo li ha preparati alla nuova devastazione e al terrore provocati dal terremoto di questa settimana. Il disastro naturale si è sommato a molti altri causati dall’uomo, moltiplicando le sofferenze ad Aleppo e in Siria in generale. I combattimenti ad Aleppo sono cessati in gran parte nel 2016, ma solo una piccola parte dei numerosi edifici danneggiati e distrutti è stata ricostruita. La popolazione ha anche lottato di recente con il declino economico della Siria, che ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari e gettato i residenti nella povertà.

Lo shock del terremoto è troppo forte. Hovig Shehrian ha raccontato che durante il periodo peggiore della guerra ad Aleppo, nel 2014, lui e i suoi genitori sono fuggiti dalla loro casa in una zona di prima linea a causa dei bombardamenti e del fuoco dei cecchini. Per anni si sono spostati da un quartiere all’altro per evitare i combattimenti. Faceva parte della nostra routine quotidiana. Ogni volta che sentivamo un rumore, partivamo, sapevamo chi chiamare e cosa fare”, ha detto il 24enne. Ma non sapevamo cosa fare con il terremoto. Avevo paura che saremmo morti”. La scossa di lunedì all’alba di magnitudo 7,8, centrata a circa 70 miglia (112 chilometri) di distanza in Turchia, ha fatto sobbalzare gli abitanti e li ha fatti fuggire in strada sotto una fredda pioggia invernale.

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Decine di edifici in tutta la città sono crollati. Più di 360 persone sono state uccise in città e centinaia di altre sono rimaste ferite. Tre giorni dopo, gli operai stavano ancora scavando tra le macerie, alla ricerca dei morti e dei sopravvissuti. In tutta la Turchia meridionale e la Siria settentrionale sono state uccise più di 16.000 persone. Anche coloro i cui edifici erano ancora in piedi hanno paura di tornare. Molti si rifugiano nelle scuole. Un monastero cristiano maronita ha accolto più di 800 persone, soprattutto donne, bambini e anziani, stipati in ogni stanza. Fino ad ora non abbiamo dormito nelle nostre case. Alcune persone dormono nelle loro auto”, ha detto Imad al-Khal, il segretario generale delle denominazioni cristiane ad Aleppo, che stava aiutando a organizzare i rifugi. Per molti, il terremoto è stato un nuovo tipo di terrore, uno shock anche dopo quello che hanno sopportato durante la guerra.

Per Aleppo, la guerra è stata un assedio lungo e brutale. I ribelli hanno conquistato la parte orientale della città nel 2012, poco dopo l’inizio della guerra civile siriana. Per gli anni successivi, le forze governative sostenute dalla Russia hanno combattuto per sradicarli. I bombardamenti e gli attacchi aerei siriani e russi hanno spianato interi isolati. Nel fiume che divide le due parti della città sono stati trovati dei corpi. Nella parte occidentale, controllata dal governo, i residenti hanno dovuto affrontare il regolare lancio di mortai e razzi da parte dei combattenti dell’opposizione. Un’offensiva finale ha portato a mesi di combattimenti urbani, che si sono infine conclusi nel dicembre 2016 con la vittoria del governo. I combattenti e i sostenitori dell’opposizione sono stati evacuati e il controllo governativo è stato imposto sull’intera città. I gruppi di attivisti stimano che circa 31.000 persone siano state uccise nei quattro anni di combattimenti e che quasi l’intera popolazione del settore orientale sia stata sfollata. Aleppo è diventata il simbolo di come il presidente Bashar Assad sia riuscito a recuperare la maggior parte dei territori controllati dall’opposizione intorno al cuore della Siria, con il sostegno della Russia e dell’Iran, a costo di orribili distruzioni. L’opposizione detiene un’ultima, piccola enclave nel nord-ovest, incentrata sulla provincia di Idlib e su parti della provincia di Aleppo, anch’essa devastata dal terremoto di lunedì. Ma Aleppo non si è mai ripresa. Ogni ricostruzione è stata fatta da singoli individui.

Una intervista che aiuta a capire.

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E’ quella pubblicata dal Corriere della Sera, a firma Marco Bruna, allo scrittore siriano Shady Hamadi.

Eccone alcuni passi: “Shady Hamadi ha «la Siria cucita addosso». Nato a Milano nel 1988, scrittore, è figlio di un esule siriano, Mohamed, torturato e allontanato dalla sua terra a causa dell’attivismo politico. Il libro più recente di Shady Hamadi è La nostra Siria grande come il mondo (Add, 2021), scritto proprio a quattro mani con il padre per raccontare le loro storie. 

Il regime di Bashar al-Assad rifiuta gli aiuti a una parte della popolazione che definisce «ribelle». Il terremoto porterà nuova luce a livello mondiale su quanto accade in Siria? Hanno fatto rumore anche le parole della figlia di Assad, che chiede di fare attenzione «a donare a quelli che sostengono i terroristi di Idlib». 
«Quello a cui assistiamo è un esempio di indignazione a rate che ha la durata di un giorno o forse più. Il tempo dipende da quanto la notizia riesce a stare in prima pagina. Per la Siria non c’è speranza. È un Paese del quale ci si è voluto dimenticare completamente, perché è scomodo ricordarsi che cosa è successo. È un popolo che chiede la fine di una dittatura, che prova a costruire una società multireligiosa e conviviale. Qui l’intervento russo è stato più devastante di quello in Ucraina. La Siria è la negazione di tutto, di ogni diritto. E la figlia di Assad che chiede di non aiutare la gente di Idlib è solo la consuetudine, questa volta arrivata sui giornali internazionali, di un governo che ha declassato parte della sua popolazione a nemici o, come li chiamano loro, terroristi». 

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Come sta gestendo l’emergenza Assad? 
«Aspetta gli aiuti di Russia, Emirati Arabi Uniti e Cina che si sono fatti avanti per sostenerlo. Dice che la situazione è sotto controllo. Qualsiasi cosa sia accaduta o che accada in questi istanti è completamente filtrata dalla propaganda di governo. Pensiamo solo ai penitenziari in Siria, dove decine di migliaia di persone sono incarcerate. Quali strutture hanno subito danni e quanti morti ci sono stati? Non lo sapremo mai». 

Confida in uno sforzo della comunità internazionale per allentare le sanzioni alla Siria, anche solo temporaneamente, vista l’emergenza? 
«Si potrebbe fare ma sono numerose le inchieste su come il regime siriano sia riuscito, attraverso connivenze anche con alcune Ong internazionali, a gestire e fare affari con gli aiuti umanitari. Finché non è chiaro come vanno gestiti e a chi finiscano possiamo assumerci il rischio di mandare aiuti a qualcuno che li userà per l’esercito e per prolungare la guerra?».

Ecco il punto. Gli aiuti al popolo siriano non possono essere usati da chi quel popolo ha martoriato in dodici anni di guerra. 

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