Vertice europeo: così si è consumata la "Waterloo" di Giorgia Meloni

Una disfatta a 360 gradi che certo non può essere cancellata dalle veline di Palazzo Chigi subito rilanciata dalla stampa mainstream. 

Vertice europeo: così si è consumata la "Waterloo" di Giorgia Meloni
Macron e Giorgia Meloni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Febbraio 2023 - 13.14


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In rotta con Macron, pressoché ignorata da Zelensky, costretta a chiedere “asilo politico” ai sovranisti reazionari di Visegrad. A Bruxelles si è consumata la Waterloo di Giorgia Meloni.

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Disfatta politica

Una disfatta a 360 gradi che certo non può essere cancellata dalle veline di Palazzo Chigi subito rilanciata dalla stampa mainstream. 

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Annota Linkiesta: “Quella del vertice europeo straordinario del 9 febbraio, conclusosi a tarda notte, per Giorgia Meloni è stata una giornata da dimenticare. Segnata dalle dichiarazioni rilasciate al mattino dalla presidente del Consiglio contro il leader francese Emmanuel Macron, reo di aver invitato Zelensky. Il bilaterale con il presidente ucraino dura pochi minuti, ma con il presidente francese non c’è stato nessun incontro. Come scrivono Repubblica e anche La Stampa, quella vissuta da Giorgia Meloni a Bruxelles non è soltanto una disfatta diplomatica. È la minaccia di cambiare pelle, rinnegando il percorso di “normalizzazione” intrapreso prima di vincere le elezioni e tornare all’antico, riscoprendo sintonie antiche tra sovranisti. «Io non sono un tecnico, io non sono Draghi. Io sono stata votata e faccio quello per cui mi hanno scelto gli italiani», ripete ai suoi interlocutori. Tutto è studiato, condiviso con i collaboratori più ristretti e con lo staff diplomatico. Parte di una strategia che prevede anche un incontro a tre, prima dell’inizio del Consiglio europeo. Un vertice che riapre le porte dell’esclusivo club sovranista di Visegrad.

La strategia sarebbe quella di convogliare sui migranti il blocco di Paesi dell’Est, giocando soprattutto di sponda con Varsavia. Meloni sente Matteo Salvini. Esclusa da Macron, decide di incontrare a margine del Consiglio il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki e il ceco Petr Fiala. Sono i due leader conservatori. E rappresentano il piano B, la soluzione d’emergenza che Palazzo Chigi potrebbe attivare per uscire dall’angolo nel quale l’Eliseo ha cacciato il governo italiano. Incontrandoli, la presidente del Consiglio invia un messaggio chiaro a Bruxelles: Parigi e Berlino pensano di escluderci, ma noi siamo in grado di frenare ogni possibile intesa. Dilatando i tempi dei dossier più delicati, complicando il percorso dell’Unione.

La famiglia di Visegrad non è al completo. Manca Viktor Orban. La guerra di invasione russa ha separato le loro strade: l’attrazione dell’autocrate di Budapest verso Vladimir Putin è insostenibile. Meloni è la leader dei conservatori europei, e ha un peso politico crescente che Morawiecki e Fiala vogliono e possono sfruttare in Consiglio. L’orizzonte sono le Europee del 2024, quando – sono convinti – gli equilibri in Europa potrebbero cambiare, a favore della destra. Si accordano di «allineare le posizioni», soprattutto sul tema dei migranti, tema che lacera l’Unione.

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Non è soltanto la partita sugli aiuti di Stato, destinata a finire sul tavolo del Consiglio di marzo. La ritorsione potrebbe consumarsi anche sul pacchetto dedicato ai migranti. E, soprattutto, sulla riforma del Patto di stabilità, che è in cima alle preoccupazioni di Parigi. E poi, naturalmente, ci sono le sfide industriali che intrecciano gli interessi italiani a quelli francesi e tedeschi.

Il prezzo potrebbe essere altissimo, visto quanto Roma è esposta sul Pnrr e il debito pubblico. Ma la presidente inizia a convincersi che senza alzare i toni, senza mostrare il volto feroce della destra, senza una discontinuità con l’epoca dell’ex banchiere centrale Mario Draghi, il suo governo potrebbe finire molto presto nel pantano”.

Un triste isolamento

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“Mentre i ministri dell’Economia francese e tedesco negoziano con la Casa Bianca, Giorgia Meloni se ne sta sola soletta a palazzo Chigi. È bastata una permanenza al governo di pochi mesi, per mostrare le debolezze negoziali della premier nostrana, che è una atlantista senza sponda atlantica e una sovranista senza fondi sovrani.  In questi giorni in Europa è in discussione il tema delicatissimo degli aiuti di stato, e mentre Germania e Francia dettano le carte, l’Italia finisce marginalizzata e paga i danni”. L’affresco “disegnato” su Domani da Francesca De Benedetti alla vigilia del vertice di Bruxelles, non solo corrisponde alla realtà ma, alla luce dell’esito del summit nella capitale belga, semmai pecca di ottimismo.

Orrore senza fine.

Ne dà conto Gaia Bozza per SkyTg24: “Le storie dei migranti salvati dalla Sea Eye 4, approdata a Napoli qualche giorno fa, restituiscono tutto l’orrore del filo sottile sul quale queste persone – 105, quelle vive dopo il naufragio sui barconi della speranza – hanno camminato. Un filo tra la vita e la morte, tra l’umano e il non più umano. 

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Mariam: “Ho bevuto acqua per non morire”
Come Mariam, 23 anni. Viene dalla Guinea. Ci racconta che è scappata perché la famiglia la aveva costretta al matrimonio con un uomo che lei non voleva, a soli 19 anni. Lì studiava economia. Qui vorrebbe continuare a studiare. E’ scappata come tanti, per un futuro libero, ed è rimasta aggrappata alla barca in mezzo al mare per almeno cinque o sei giorni. Da quell’insicura sponda in mezzo alle onde, in cerca di un porto sicuro che è poi arrivato molti giorni dopo, ha visto scivolare in mare i suoi amici, che sono morti davanti ai suoi occhi. Lo dice senza giri di parole, con un’espressione fissa sul volto: “Sì, li ho visti morire”. Ci racconta che come gli altri, aveva cibo e acqua solo per un paio di giorni. “E’ stato un miracolo restare viva tra le 39 persone sul barcone, solo inizialmente avevo cibo e acqua con me ma dopo un paio di giorni sono finiti – racconta – E quando sono finiti, per non morire ho bevuto l’acqua di mare”. I segni fisici, psicologici, sono tutti evidenti, tuttavia Mariam guarda ancora a quella speranza: “Non so cosa accadrà adesso, però il mio primo desiderio è continuare a studiare economia”.

Kester, fuggita da marito violento e arrestata in Libia.

Kester ha tre figli di sei, nove e dodici anni. E’ scappata dalla Nigeria, ci racconta di un marito violento, ci mostra una cicatrice sulla testa. A un certo punto per questo, per la povertà, per le condizioni afflittive di vita, per le violenze che avvengono in Nigeria, scappa. Passa per la Libia. E viene arrestata: “In Libia ti trattano come un animale – racconta – Vieni arrestato e buttato in cella così, se stai male nessuno ti cura, c’è tanta violenza”. Non scende nei particolari. Accanto ha i figli ed è evidente che non ha voglia di raccontare altri aspetti di quella violenza. Parla però di come vengano lasciati senza cibo, di come abbiano dovuto pagare per tutto. A un certo punto le chiediamo della sua sofferenza: “Adesso non soffro, perché finalmente siamo arrivati in Europa”.  

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La nave della Ong che ha effettuato due salvataggi in acque libiche giovedì scorso, aveva a bordo 105 persone, delle quali 35 bambini, 22 totalmente soli.  L’imbarcazione, inizialmente diretta a Pesaro, ha portato a Napoli anche due salme recuperate in mare, mentre un’altra persona, che si è aggravata e per la quale è stata ottenuta l’evacuazione d’emergenza, è morta in ospedale a Messina. Tutti sono fisicamente e psicologicamente provati, dall’Asl di Napoli spiegano che sono stati ricoverati 11 migranti in condizioni discrete, anche perché sono stati ben soccorsi e inquadrati dai medici della Sea Eye 4. I problemi principali derivano dalle condizioni disperate che hanno vissuto aspettando un salvataggio: ustioni dovute all’incendio di una delle imbarcazioni, fratture, ferite, disidratazione, malnutrizione e problemi gastrointestinali dovuti all’ingestione dell’acqua del mare. “Una situazione drammatica – racconta Beniamino Picciano, uno dei medici che sono saliti a bordo – Tanti baciavano la terra e pregavano. E tanti hanno bevuto acqua di mare. Non possiamo permettere più tutto questo”. 

L’inferno libico e il “patto infame” con la Libia

Ne scrive, con la consueta puntigliosità analitica, Annalisa Camilli per Internazionale: “Il 6 febbraio l’Italia ha consegnato al governo di Tripoli una nuova motovedetta per il pattugliamento delle coste: una classe trecento di nuova fabbricazione, nell’ambito del progetto europeo Support to integrated border and migration management in Lybia (Sibmill).  È la prima di cinque nuove motovedette finanziate dall’Unione europea, che sono destinate alla cosiddetta guardia costiera libica per intercettare i migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale e riportarli indietro nel paese nordafricano. 

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La consegna è avvenuta ad Adria, in provincia di Rovigo, alla presenza del ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani, della ministra degli esteri libica, Najla el Mangoush, e del commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi, mentre fuori dai cantieri navali gli attivisti protestavano contro le politiche migratorie italiane ed europee, denunciando le pesanti violazioni dei diritti umani che avvengono ai danni degli stranieri in Libia. 

La consegna è avvenuta a pochi giorni dal rinnovo Memorandum d’intesa tra Roma e Tripoli  (Mou), avvenuto il 2 febbraio 2023, per altri tre anni. Secondo uno studio di Action Aid,  l’Italia ha destinato in sei anni poco più di 124 milioni di euro a Tripoli per la fornitura di mezzi navali e terrestri, di strumentazione satellitare, di corsi di formazione, oltre che per la riparazione d’imbarcazioni e altre forniture..[…]. Ma fanno anche discutere le conseguenze umanitarie del memorandum con la Libia: tra il 2017 e la fine del 2022 sono state centomila le persone intercettate e riportate in Libia, molte delle quali sono state recluse nei centri di detenzione controllati dalle milizie dove sono comuni sequestri, torture e violenze e dove sono stati documentati dalle Nazioni Unite “indicibili orrori”. 

Inoltre in sei anni è raddoppiato il tasso di mortalità in mare su quella che è considerata la rotta più pericolosa del mondo, che ha raggiunto il suo picco nel 2019, quando un migrante ogni dieci che “prendeva il mare” è annegato o risulta disperso. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni dal 2016 a oggi sono state quasi 14mila le persone morte o disperse lungo la rotta del Mediterraneo centrale, considerata la rotta più pericolosa del mondo”.

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The Big Wall 

Dal report di ActionAid: “Nel quadro di questa rinnovata intesa, l’Italia, con il sostegno economico e politico dell’Ue, ha in questi anni destinato poco più di 124 milioni di euro per la fornitura di mezzi navali e terrestri, di motori, di strumentazione satellitare, di corsi di formazione, oltre che per la rimessa in efficienza di imbarcazioni e la fornitura di moduli abitativi per la creazione di un sistema integrato di controllo delle frontiere marittime e terrestri in Libia. Si tratta di una stima al ribasso realizzata dall’osservatorio sulla spesa esterna in migrazione dell’Italia, The Big Wall, di ActionAid. Una spesa difficile da monitorare, sia per la complessità nelle modalità di gestione, sia per i continui silenzi e dinieghi che le Pubbliche Amministrazioni coinvolte, in particolare Ministero dell’Interno e Ministero degli affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, antepongono alle continue richieste di accesso alla documentazione di dettaglio relativa ai progetti. Sullo sfondo un Parlamento che non ha mai svolto quella necessaria funzione di controllo sulla spesa che, secondo ActionAid, andrebbe estesa anche al merito delle attività finanziate, in particolare con riferimento alle conseguenze sui diritti umani delle persone migranti.  

In relazione a quest’ultimo aspetto, infatti, i numeri disegnano un tragico bilancio: tra il 2017 e la fine del 2022, sono state 100.000 le persone intercettate e riportate in Libia, molte delle quali sono state recluse in centri di detenzione controllati dalle varie milizie in lotta nel Paese subendo sequestri, torture e violenze. Non solo, è quasi raddoppiato il tasso di mortalità in mare – vale a dire la percentuale di persone annegate e disperse sul totale – che ha raggiunto il suo picco nel 2019, quando un migrante ogni dieci che “prendeva il mare” è annegato o è finito disperso. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni dal 2016 ad oggi sono state quasi 14000 le persone morte o disperse nel Mediterraneo Centrale. 

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“Le politiche di esternalizzazione delle frontiere vengono finanziate con centinaia di milioni di euro di risorse provenienti dal bilancio dello Stato. La maggior parte di questi soldi, in particolare per quanto riguarda la Libia, sono gestiti in modo poco trasparente e senza meccanismi adeguati di accountability in materia di Diritti Umani  – spiega Lorenzo Figoni, policy advisor di ActionAid-. Il Parlamento svolge un ruolo marginale: vota i finanziamenti attraverso l’istituzione di fondi ad hoc in Legge di Bilancio, ma non chiede mai conto di questa spesa, così come delle strategie e delle politiche che di volta in volta le diverse compagini governative senza soluzione di continuità hanno adottato negli ultimi anni in materia di politiche migratorie esterne. È urgente che il Parlamento torni a svolgere una necessaria funzione di controllo di questa spesa e che, anziché rafforzare la cooperazione con la Libia sul fronte del controllo migratorio come recentemente annunciato dalla Presidente Meloni in visita a Tripoli, si abbandonino finalmente le fallimentari politiche di esternalizzazione, a partire dalla cancellazione del Memorandum di Intesa con Libia, riportando i diritti dei migranti al centro delle politiche migratorie”. 

Ma la presidente del Consiglio e i suoi ministri “securisti” la pensano in maniera opposta. E i risultati si vedono. Nel Mediterraneo. E a Bruxelles.

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