Siria, il terremoto e le sanzioni che affliggono il popolo ma non il suo aguzzino Assad

Bashar al-Assad ha compiuto, reiteratamente, crimini di guerra, come documentato dalle più autorevoli organizzazioni per i diritti umani e agenzie delle Nazioni Unite. E se è ancora al potere è soprattutto grazie al sostegno militare della Russia di Putin

Siria, il terremoto e le sanzioni che affliggono il popolo ma non il suo aguzzino Assad
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Febbraio 2023 - 17.32


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Cosa Globalist pensi di Bashar al-Assad è scritto in decine di articoli, testimonianze, analisi e report: un “macellaio” che dodici anni fa, sulle orme insanguinate del padre – Hafez al Assad, il “Leone di Damasco” – ha dichiarato guerra al popolo siriano, al “suo” popolo, sceso nelle strade per rivendicare diritti, giustizia, libere elezioni. Bashar al-Assad ha compiuto, reiteratamente, crimini di guerra, come documentato dalle più autorevoli organizzazioni per i diritti umani e agenzie delle Nazioni Unite. E se è ancora al potere è soprattutto grazie al sostegno militare della Russia di Putin, dell’Iran degli ayatollah e dei pasdaran, di Hezbollah libanese. Ma se Bashar al-Assad è ancora in sella è anche perché l’Occidente – l’Europa e gli Stati Uniti in primis – non hanno agito quando dovevano – e qui è enorme la responsabilità della presidenza Obama -, sostenendo la resistenza non qaedista al regime. L’Occidente ha pensato poi di recuperare credibilità con lo strumento delle sanzioni. 

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Le sanzioni, una verità storica.

E qui occorre la stessa chiarezza, e nettezza, avuta sul clan Assad. Le sanzioni non fanno crollare regimi. Le sanzioni puniscono i popoli. Soprattutto in Medio Oriente. E’ accaduto con l’Iraq di Saddam Hussein. Ora con la Siria di Bashar al-Assad. 

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Un ripensamento a metà.

Lo documenta il Post: “Giovedì il dipartimento del Tesoro statunitense ha deciso di sospendere per sei mesi una delle numerose sanzioni internazionali imposte da anni alla Siria per spingere il presidente autoritario Bashar al-Assad a risolvere pacificamente la guerra civile, in corso da oltre un decennio. Lo scopo della sospensione è facilitare l’arrivo di aiuti alla popolazione colpita dal gravissimo terremoto avvenuto nella notte tra domenica e lunedì: ha causato la morte di almeno 28mila persone, di cui 3.500 in Siria, ma è una stima provvisoria, perché sono crollati interi edifici e ci sono ancora migliaia di dispersi sotto le macerie.

Le sanzioni americane prevedevano già delle eccezioni per gli aiuti umanitari, ma ora sarà più facile organizzarli. Infatti il dipartimento del Tesoro ha deciso di consentire che tutte le transazioni economiche legate alle iniziative umanitarie non debbano essere approvate da uno specifico ufficio, l’Office of Foreign Assets Control (Ofac), prima di essere eseguite: eventualmente devono essere giustificate solo in seguito in caso di richiesta dell’Ofac.

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In pratica significa che le organizzazioni che si stanno occupando degli aiuti e gli enti e le società interessati a donare denaro alle zone colpite non dovranno dimostrare all’Ofac di non stare violando le sanzioni prima di inviare il proprio sostegno.

I problemi legati al terremoto sono particolarmente complicati in Siria, già devastata dalla lunga guerra civile. Il sisma ha colpito in particolare il nordovest del paese, nella regione controllata dai ribelli che si oppongono al regime di Assad. Ora questa parte della Siria, dove centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza casa, è difficilmente raggiungibile dato che i percorsi usati negli ultimi anni per aggirare i controlli del governo centrale passavano dal sud della Turchia, attualmente molto danneggiato dal terremoto.

Assad aveva chiesto di poter gestire tutti gli aiuti umanitari diretti in Siria, compresi quelli per il nordovest occupato dai ribelli, e si temeva che avrebbe potuto usarli come arma di ricatto. Venerdì sera i media di stato siriani hanno detto che il governo ha dato il via libera per fare arrivare gli aiuti da tutte le parti del paese. La decisione potrebbe facilitare l’arrivo di aiuti, ma secondo Martin Griffiths, capo dell’ufficio per gli aiuti umanitari e per le emergenze dell’Onu, la notizia va presa con cautela perché per il momento non è stata data l’autorizzazione al trasporto di aiuti nei territori dei ribelli da oltre frontiera, ma solo dal resto del paese.

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Attualmente l’unica via di accesso autorizzata dall’estero alla regione di Idlib, controllata dai ribelli, passa dal valico Bab al Hawa tra Siria e Turchia. Gli aiuti dell’Onu arrivano attraverso quel passaggio oppure da Damasco, la capitale siriana. Le Nazioni Unite hanno chiesto alla Siria e ai suoi alleati (tra cui la Russia) di permettere il passaggio anche attraverso un altro punto del confine turco, la frontiera di Bab al Salameh, e attraverso l’Iraq verso le zone controllate dai curdi.

Per quanto riguarda la sospensione di una delle sanzioni da parte degli Stati Uniti, per ora non è chiaro quanto sarà efficace perché le società che gestiscono le transazioni potrebbero comunque rallentarle per paura di violare le altre, che restano in vigore e che né il governo americano né i paesi dell’Unione Europea sembrano al momento intenzionati a rimuovere”.

Apocalisse umanitaria.

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Il terremoto che ha colpito la Siria (oltre alla Turchia) potrebbe aver lasciato senza casa fino a 5,3 milioni di siriani. Lo rende noto l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati. L’organizzazione sta facendo arrivare gli aiuti nelle zone più devastate del Paese, concentrandosi sul fornire ripari e beni di prima necessità, oltre a tende, teli di plastica, coperte termiche, stuoie per dormire e abbigliamento invernale per le persone nei centri collettivi. Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tedros Adhanom Ghebreyesus che da venerdì è in missione ad Aleppo in Siria, nelle zone colpite dal terremoto che ha investito la Turchia, ha chiesto più aiuti.  “Ho incontrato Abdou e sua nonna, che hanno perso la casa nel terremoto. Ora vivono in una moschea ad Aleppo, come molti altri che hanno perso la casa – ha scritto su Twitter Ghebreyesus -. Sono lieto di vedere che una clinica mobile è già operativa per fornire cure essenziali in questo momento traumatico. Sono necessari più aiuti”.

Testimonianze dalle macerie.

Ne scrive Giorgio Paolucci su Avvenire: “Condomini crollati con dentro gli abitanti, morti ovunque, circa duemila edifici pericolanti, nulla ad Aleppo è più sicuro. E’ il drammatico racconto di monsignor Joseph Tobji, vescovo maronita della seconda città siriana più popolosa dopo la capitale Damasco, ridotta ormai ad un cumulo di macerie, tirata giù da potenti scosse di terremoto che hanno portato morte e distruzione anche in altre parti della Siria fino ad arrivare in Turchia, ed il presule non nasconde la disperazione: “I palazzi erano stati già danneggiati dalle bombe della guerra, ora il terremoto ha fatto il resto”. Chi è riuscito a mettersi in salvo ora fatica a trovare chi si possa prendere cura di lui. Gli aiuti ci sono, ma solo lenti, spesso non bastano. “Tutte le chiese hanno aperto centri di accoglienza e anche nella nostra cattedrale sono ospitate diverse famiglie”, racconta il vescovo che, in episcopio, la sua casa, dà conforto e cibo a settanta persone. Ma la sua preoccupazione è anche un’altra: “Ora ci sono diverse organizzazioni che cercano di alleviare le nostre sofferenze, ma non so cosa accadrà una volta che le persone vorranno tornare nei loro appartamenti distrutti: dove potranno essere accolti? Davvero in molti dormono nelle strade o in macchina. E’ il caos”. Grazie anche a nazioni vicine come Iraq, Iran ed Emirati Arabi, la macchina dei soccorsi sta lentamente intervenendo nelle zone più colpite ma, secondo monsignor Tobji, non sarà sufficiente, perché “a pesare ci sono le sanzioni che già hanno messo in ginocchio tutta la popolazione. Qui già prima del terremoto mancava tutto: dal gas all’elettricità, contingentata a due ore al giorno”. Un dramma nella tragedia, se si tiene in considerazione che le temperature, in questo periodo, scendono anche a – 4 gradi e per la gente sfollata nelle strade il rischio di morte per il gelo aumenta esponenzialmente. “E’ così, manca anche il cibo, perfino il latte per i bambini, perché tutto è sanzionato” conclude, amareggiato, il vescovo maronita di Aleppo, città siriana uccisa due volte: prima dalla guerra ora dal terremoto”.

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Negli occhi di Jamila.

Di grande impatto è il racconto a firma Federico Piana per Vatican News: “Negli occhi di Jamila c’è il terrore e la disperazione di chi non trova un posto dove posare il cuore. L’anno scorso, a 92 anni suonati, era sfollata a Latakia con la famiglia dopo essere scappata da Idlib, dove dettano legge i ribelli dial-Nusra, uno dei gruppi armati jihadisti che combattono contro Assad, responsabili di violenze e vessazioni nei confronti dei cristiani che abitano quella regione. 

La notte del terremoto si è precipitata in strada con la famiglia, ma visto che la casa dove vivevano aveva retto alle scosse erano rientrati. Ieri hanno dovuto lasciarla perché è stata dichiarata pericolante e così Jamila ha trovato rifugio nel convento francescano insieme ad altre 200 persone. 

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È lì che l’ha incontrata Giacomo Pizzi, volontario dell’associazione Pro Terra Sancta che in questi giorni è all’opera nei luoghi dove i francescani sono presenti, ad Aleppo e a Latakia, e dove hanno trovato rifugio 4.000 persone.

«Oltre agli edifici crollati, molti sono stati evacuati perché dichiarati inagibili – racconta – Abbiamo conosciuto situazioni drammatiche come quella di Jamila e di altre persone, che per la seconda volta in poco tempo hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni. Sfollati a causa della guerra e ora nuovamente sfollati». Come è accaduto a un gruppo di famiglie palestinesi discendenti dei profughi post-1948 che vivevano in un insediamento alla periferia meridionale di Latakia, dove il terremoto ha colpito duramente. Esistenze già precarie, che ora si misurano con nuove fragilità. 

«I bisogni sono tanti: cibo, coperte, materassi, farmaci, gli aiuti faticano ad arrivare e le comunicazioni sono spesso interrotte. In alcuni quartieri le tubature sono saltate, esce acqua torbida e imbevibile. Tra le macerie i bambini cercano di recuperare metalli e oggetti che possano essere venduti. E sono evidenti le conseguenze delle sanzioni imposte da anni, che colpiscono il popolo e hanno reso sempre più difficile l’opera di ricostruzione dopo le devastazioni portate da 12 anni di guerra». 

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Padre Bahjat Karakach, francescano e parroco della chiesa latina di Aleppo, conferma: «La ricostruzione post-bellica non è mai iniziata: tutto è frenato dall’embargo che ci isola dal resto del mondo. Non ci sono investimenti, c’è molta corruzione, la gente continua a emigrare. La politica delle sanzioni non porta a nessuna soluzione». 

Ad Aleppo chiese e moschee sono diventate rifugio per migliaia di senzatetto. «Da noi accogliamo cristiani e musulmani, serviamo tre pasti al giorno – racconta il frate –. Nessuno vuole rientrare a casa nel timore di altre scosse e a causa della situazione di pericolo di molte abitazioni». 

Ad Aleppo Est l’associazione Pro Terra Sancta gestisce tre centri di accoglienza per orfani o bambini figli di madri stuprate quando la zona era occupata dai ribelli, ci sono vittime che non hanno neppure un nome. «In questi luoghi avevamo un migliaio di bambini che non riescono a ottenere un riconoscimento e non sono mai stati regolarizzati – spiega Bahjat –. Sono nati sotto i bombardamenti e ora alcuni di loro sono morti sotto il terremoto».

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Alla denuncia di padre Bahjat sui danni provocati dalle sanzioni si unisce quella dell’italiana suor Marta dal monastero trappista di Azer, ai confini con il Libano. 

«Le parole di conforto di tanti che sono vicini alla nostra gente, i gesti di aiuto fanno bene al cuore – dice suor Marta -. Riscaldano, nel freddo che domina in mezzo alle macerie. Ma le parole di cordoglio di tante istituzioni fanno reagire: dove eravate in questi anni, voi che avreste potuto fare una grande differenza, quando giorno dopo giorno la nostra gente è arrivata letteralmente a morire di fame? Certo, non solo le sanzioni hanno portato a questo. Ma anche le sanzioni, e pesantemente».

«Se le condizioni generali della gente non fossero state così disperate, oggi ci sarebbero più mezzi per scavare nelle macerie, e salvare ancora qualcuno. Ci sarebbero ospedali più attrezzati, farmacie fornite del fabbisogno, più case capaci di accogliere i rifugiati, più persone con lavoro e risorse per aiutare i propri fratelli – racconta la religiosa –. Ci voleva tutto questo per far aprire gli occhi sulla tragedia siriana, di cui nessuno parlava più da tempo? I morti li affidiamo a Dio e alla sua Misericordia. Ma i vivi hanno bisogno di una speranza tangibile e concreta che la vita si possa ricostruire. Per favore, alzate la vostra voce perché si tolgano subito le sanzioni. Che almeno la tragedia e la sofferenza di tanti morti che ancora sono sotto le macerie serva ad aiutare la speranza dei vivi».

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Un report di Amnesty International. Un impegno da sostenere.

“Disperata. Questa è la parola che meglio descrive la situazione umanitarianel nordovest della Siriafino al 6 febbraio 2023. 

Quel giorno un primo terremoto di magnitudo 7.8ha colpito la Turchia e la Siria, devastando luoghi e comunità già gravemente ferite da guerre e conflitti di lungo corso. La furia della terra non ha fatto distinzioni di sorta e ha raso al suolo case, strade, campi di rifugiati, e ucciso migliaia di persone.

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Un bilancio che si sta aggravando di ora in ora e che ha reso subito chiaro quanto sarebbe stato difficile far arrivare gli aiuti presto e a tutti

Ecco come si presentava la situazione umanitaria nel nord ovest della Siria prima di subire gli effetti di uno degli eventi naturali più catastrofici degli ultimi anni.

 Dopo 12 anni di guerra, questaregione è controllatain parte dal governo di Bashar al-Assad, in parte dall’opposizione, in parte dai consigli locali curdi affiliati all’Amministrazione autonoma del Nord e dell’Est della Siria (Aneas, chiamata anche Rojava). 

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