La guerra, un anno dopo. La pace in marcia. Globalist è dalla parte dei “marciatori”. Senza se e senza ma. E ne rilancia gli appelli.
“Tra pochi giorni, il 24 febbraio, entreremo nel secondo anno di guerra in Ucraina senza che ci sia ancora un serio impegno internazionale per fermarla. 365 giorni di omicidi, infanticidi, femminicidi, feriti, mutilati, sfollati, rifugiati, sofferenze, disperazione, distruzioni e macerie,…
In occasione di questo tragico anniversario, nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, si svolgerà una edizione speciale della Marcia PerugiAssisi contro tutte le guerre che continuano a devastare la famiglia umana e il pianeta, nel silenzio e nell’inazione generale.
Nel buio e nel freddo della notte, i partecipanti marceranno da Perugia ad Assisi portando, ciascuno, il volto di una delle vittime, una fiaccola e la domanda incessante di pace, in solidarietà con tutte le vittime innocenti della guerra.
“Nella notte della guerra -scrivono i promotori della PerugiAssisi – non possiamo dormire sonni tranquilli! Rinnoviamo, dunque, il grido di don Tonino Bello e diciamo: In piedi costruttori di pace!”
Prima della partenza prevista alle ore 24.00 di giovedì 23 febbraio, i partecipanti si ritroveranno a Perugia alle ore 21.00, nella Sala dei Notari del Palazzo dei Priori, per un incontro di riflessione e proposta.
Lo stesso giorno, ad Assisi, presso la sede del Comune, alle ore 10.00, si svolgerà un incontro di studio e formazione dedicato all’informazione in tempo di guerra, organizzato da Articolo 21.
Facendo proprio l’appello di Papa Francesco, il Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi ha elaborato una dettagliata proposta politica per ottenere l’immediato Cessate-il-fuoco in Ucraina: “Ecco cosa può fare la politica!”
“Abbiamo bisogno di interrogare la politica – scrivono i promotori della PerugiAssisi – e aprire un confronto aperto, pubblico, che stimoli l’impegno fattivo di tutti coloro che hanno la responsabilità e la facoltà di impedire l’irreparabile!
Con queste iniziative prende avvio la tre giorni di mobilitazione di Europe for Peace contro la guerra per chiedere un negoziato di pace”.
L’appello
“Il prossimo 24 febbraio entreremo nel secondo anno di guerra in Ucraina (*) senza che ci sia ancora un serio impegno internazionale per fermarla. 365 giorni di omicidi, infanticidi, femminicidi, feriti, mutilati, sfollati, rifugiati, sofferenze, disperazione, distruzioni, macerie,…
In occasione di questo tragico anniversario, sentiamo il dovere di organizzare una nuova manifestazione per la pace, in solidarietà con le vittime innocenti di questa e di tutte le altre tragiche guerre che continuano a devastare la famiglia umana e il pianeta (**).
Nei primi minuti del 24 febbraio, nel buio e nel freddo della notte, marceremo da Perugia ad Assisi portando, ciascuno, il volto di una delle vittime, una fiaccola e la domanda incessante di pace.
La guerra è una follia! un crimine! uno scandalo! Guai alla rassegnazione! Guai a farne un’abitudine!
Nella notte della guerra non possiamo dormire sonni tranquilli! Rinnoviamo, dunque, il grido di don Tonino Bello e diciamo: “In piedi costruttori di pace!”
Nella notte fredda e scura che stiamo attraversando, ciascuno di noi, nel suo piccolo, è chiamato a fare come i “lampadieri” che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all’indietro, appoggiata sulla spalla, con il lume in cima. Camminando nella notte, il “lampadiere” vede poco davanti a sé, ma consente a tutti i viaggiatori di camminare più sicuri.
Nessuno sa quanto durerà la notte della guerra. Ma tutti sanno che la sua continuazione ci farà molto male perché viviamo nel tempo in cui tutto è interconnesso: guerra, aumento del costo della vita, recessione, impoverimento, disastri climatici,… Per questo è sempre più urgente che i responsabili della politica internazionale facciano ogni sforzo per fermare i combattimenti e ricostruire le condizioni della pace. Per questo non possiamo stancarci di chiedere e, soprattutto, fare pace.
Comitato Promotore Marcia PerugiAssisi
(*) Il 24 febbraio è l’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. La guerra in quel paese è in realtà iniziata nel 2014 e continua quindi da 9 anni.
(**) Ucraina, Siria, Yemen, Libia, Iraq, Palestina, Etiopia, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Kurdistan, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Camerun, Burkina Faso, Sahel, Mali, Costa d’Avorio, Niger, Nigeria, Costa D’Avorio, Mozambico, Sahara Occidentale, Afghanistan, Colombia, … la guerra è dappertutto e la facciamo anche contro i poveri, il clima, le donne, i rifugiati,..
Un anno di guerra è troppo!
Da Sbilanciamoci e Rete italiana pace e disarmo (Ripd).
“Cresce di giorno in giorno la mobilitazione della società civile italiana ed europea a sostegno di percorsi reali di Pace per l’Ucraina, a partire dal cessate il fuoco per arrivare ad un vero dialogo con negoziati di pace. L’iniziativa coordinata da Europe for Peace, dopo mesi di azioni condivise per la Pace, vivrà un momento di culmine nei numerosi eventi di piazza convocati nel primo anniversario dell’invasione russa del 24 Febbraio 2022: una violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale che chiede giustizia immediata.
Sono già 50 le città con iniziative confermate in Italia (tra cui Roma, Milano, Torino, Napoli, Bari, Palermo, Cagliari, Firenze, Bologna…). Ma anche in tutta Europa le iniziative sono numerose: oltre 20 appuntamenti in Germania (tra cui Berlino, Francoforte, Amburgo) e Spagna (tra cui Barcellona, Madrid, Siviglia) e Portogallo. Più di 15 gli eventi confermati anche in Francia (compresa Parigi) e mobilitazioni programmate anche a Londra, Bruxelles e Vienna.
Tutte le iniziative si inseriscono nel solco delle richieste di Pace già condivise in occasione della grande Manifestazione Nazionale di Roma con oltre 100.000 partecipanti dello scorso Novembre: “Le guerre e le armi puntano alla vittoria sul nemico ma non portano alla pace: tendono a diventare permanenti e a causare solo nuove sofferenze per le popolazioni. Bisogna invece far vincere la pace, ripristinare il diritto violato, garantire la sicurezza condivisa. Non esiste guerra giusta, solo la pace è giusta. La guerra la fanno gli eserciti, la pace la fanno i popoli”.
La pace è la vittoria di cui abbiamo bisogno, e per questo abbiamo bisogno al più presto di un cessate il fuoco, di un negoziato, di misure concrete verso il disarmo nucleare.
Nel nostro Paese le iniziative collettive prenderanno il via con la Marcia per la Pace notturna straordinaria da Perugia ad Assisi la sera di giovedì 23 febbraio, culminando simbolicamente a Roma nel pomeriggio di sabato 25 febbraio con l’evento promosso dalla coalizione nazionale: una fiaccolata di Pace che si concluderà al Campidoglio.
Una riflessione da condividere.
Da un lancio dell’agenzia Dire del 25 gennaio scorso: “Si può discutere se sia efficace o meno inviare armi all’Ucraina per sostenere la resistenza, ma per noi resta chiaro un punto: non è vera la tesi dei governi occidentali secondo cui dare più armamenti a Kiev significa accelerare la fine di questo conflitto. Al contrario, come i fatti dimostrano, lo sta prolungando, con costi inimmaginabili per i civili e profitti enormi per le aziende produttrici di armi”. Ne è convinto Francesco Vignarca, il coordinatore campagne della Rete italiana pace e disarmo. Il commento all’agenzia Dire giunge in coincidenza di varie date importanti: tra un mese ricorrerà il primo anniversario dello scoppio del conflitto in Ucraina, una data anticipata da nuovi impegni assunti nel vertice del gruppo di contatto per l’Ucraina a guida Usa che si è svolto venerdì scorso alla base tedesca di Ramstein.
In particolare, il Pentagono ha annunciato oltre 2,3 miliardi di dollari in nuovi armamenti, mentre Berlino ha promesso che ne stanzierà un miliardo. Il governo ucraino ha però fatto appello ai carri armati, a cui ha risposto la Polonia promettendo i Leopard 2, di fabbricazione tedesca. Una mossa che non ha incontrato l’entusiasmo della Germania che, tuttavia, ha garantito che “non si opporrà” alle scelte di Varsavia. Il 22 gennaio, ricorda Vignarca, ricorreva anche il secondo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (Tpnw), la prima norma internazionale che dichiara illegali le armi atomiche, a cui però l’Italia non ha aderito assieme a Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, nonché tutti gli altri membri Nato ad eccezione dei Paesi Bassi. Il rischio dell’uso di armi nucleari “è concreto”, avverte Vignarca, “e probabilmente sarà al centro della denuncia degli scienziati del Doumsday clock”, ‘l’orologio dell’apocalisse’ che oggi alle 16 ora italiana, come ogni anno, riveleranno quanti minuti mancano simbolicamente alla fine dell’umanità”.
L’interventismo militare si è dimostrato ovunque fallimentare.
Annota Giuliano Marconi nel suo articolo contenuto in I pacifisti e l’Ucraina” prezioso ebook edito da Sbilanciamoci!“Non c’è pace e stabilità in Medio Orientedopo le guerre d’Israele, dopo due guerre contro l’Iraq, dopo la distruzione della Siria. Non si sono assicurati all’Afghanistan democrazia e diritti umani dopo vent’anni di occupazione da parte degli Stati Uniti e degli alleati della Nato. Più vicino a noi, nei Balcani, non si è costruita la pace dopo l’intervento della Nato in Kosovo. La Bosniaè sempre a rischio di secessione.
Queste lezioni valgono anche per l’Ucraina. Pensare di fermare la guerra “vincendola”, inviando altre armi, significa soltanto prolungarla. Trasformare l’Ucraina in una sorta di Afghanistan ed esporre la popolazione ad altresofferenze. L’Occidente si lava ipocritamente la coscienza con l’invio delle armi, mentre continua a finanziare Putin acquistandogli il gas.
Dalla guerra in Ucraina si può uscire solo con una soluzione politica.
È necessario un negoziato non solo tra russi e ucraini, ma che coinvolga anche Unione europea e Nazioni Unite. Alcuni punti sono stati messi in evidenza dalla bozza riservata di un possibile accordo, divulgata dal Financial Times il 15 marzo 2022. Si prevede il ritiro delle trupperusse, il riconoscimento della sovranità e dell’indipendenza di una Ucraina neutrale, che non ospiti basi militari e sistemi d’arma stranieri, che riconosca lo status speciale delle regioni di Donetsk e Luhansk e affidi ad un referendumsotto la sorveglianza dell’Osce la sorte della Crimea. Servirebbe poi un contingente Onu di peacekeeping che dovrebbe posizionarsi nelle aree calde di frontiera.
Agli occidentali che vedono questo come un rischio per l’integrità dell’Ucraina ricordiamo cosa hanno fatto con il Kosovo, sostenendo e legittimando la sua separazione de facto dalla Serbia. Quello che è importante è che ogni soluzione sia condivisa, nel rispetto della volontà popolare, nel rispetto della democrazia, dei diritti umani e delle minoranze. È in questa direzione che vanno indirizzati gli sforzi della politica e della diplomazia. È su questa strada che l’Europa e l’Italia possono contribuire a fermare la guerra.
Le presunte incoerenze dei pacifisti
Nelle iniziative dei pacifisti italiani, nei loro documenti, si è condannata l’aggressione russa. Si è ribadita la contrarietà all’espansione della Natoall’Est. Si è chiesto un ruolo di pace delle Nazioni Unite, si è fatto appello alla nonviolenza e si è condannato l’invio delle armi nelle zone di guerra.
Alcuni opinionisti hanno utilizzato l’argomento dell’invio delle armi per criticare le presunte incoerenze dei pacifisti. Hanno evocato in modo strumentale la guerra di Spagnae la lotta di liberazione in Vietnam per sostenere che bisogna sempre mandare le armi a quelli per cui parteggiamo. Ancora una volta la logica delle armi fa dimenticare le ragioni della politica.
Durante la guerra del Vietnam – ricordava Aldo Natoli, allora dirigente del Pci – negli incontri con i dirigenti di Hanoi le richieste erano: «Non mandateci armi, ma intensificate le manifestazioni per la pace, questo ci serve di più». E quando ci fu laguerra di Spagna, il Servizio civile internazionale organizzò nel nord del Paese campi profughi e aiutò la popolazione civile. Ma non mandò armi. E, ancora, i pacifisti non hanno mai chiesto di mandare armi ai vietcong o ai palestinesi. Hanno messo in campo tutti gli strumenti della pressione politica per ottenere giustizia e fine delle guerre. Lo stesso è avvenuto di fronte alle guerre dei Balcani, con carovane di pace e pratiche di solidarietà.
Le richieste inascoltate dei pacifisti
Nell’Europa del dopo-guerra fredda i pacifisti, anche con esperienze come la Helsinki Citizen Assembly, hanno chiesto il superamento della Nato accanto alla fine delPatto di Varsavia, per costruire una nuova casa comune europea inclusiva, all’insegna dellasicurezza comune, della cooperazione, del disarmo nucleare e convenzionale. Richieste tutte rimaste inascoltate.
I pacifisti avevano messo in guardia contro i rischi di nuove guerre – inaugurate dai conflitti nell’ex-Jugoslavia – segnate dal nazionalismo, da rivalità etniche e religiose, da derive autoritarie, dall’impoverimento economico e dall’assenza di prospettive politiche.
Che fare, adesso?
Che fare, adesso? È fallito il disegno della Nato di diventare, dopo il 1989, l’asse dominante dell’ordine mondiale. Russia e Cina non ci stanno e l’espansione della Nato in Europa può significare solo guerre. Con questo approccio stiamo rischiando un nuovo scontro tra blocchi, con la strategia degli Stati Uniti che spinge Russia e Cina ad avvicinarsi, in una improbabile e instabile alleanza.
Sul fronte del Pacifico l’idea di fare una sorta di Nato asiatica, il cosiddetto Quad – Quadrilateral Security Dialogue, , con Usa, Giappone, India e Australia – per accerchiare Russia e Cina è un altro grave errore di Washington, una provocazione verso la Cina. La geopolitica delle alleanze militari .
Per l’Europa bisogna allora tornare all’idea degli anni Ottanta di Olof Palmee Willy Brandt di un sistema di sicurezza comune, con una fascia di Paesi neutrali tra Nato e Russia – ci sono già Finlandia, Svezia e Austria –, con l’eliminazione delle armi nuclearidall’Atlantico agli Urali – per tornare a un obiettivo pacifista dell’epoca – e delle basi militari straniere, con un rigido controllo degli armamenti per evitare una nuova corsa al riarmo basata sulle tecnologie digitali e il contenimento delle spese militari e del commercio di armi. Tutto il contrario di un’Unione europea che diventa potenza militare, come si sta decidendo ora a Bruxelles.
Serve una nuova conferenza di Helsinki per un nuovo ordine policentrico.
Andrebbe preparata e convocata una nuova conferenza di Helsinki– dopo quella del 1975 – che vari un sistema di sicurezza comune basato sul ruolo dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, mentre a livello globale la riforma delle Nazioni Unite diventa improrogabile per mettere in campo politiche e strumenti di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace.
Serve insomma un nuovo assetto delle relazioni internazionalifondato non sull’idea di una progressiva omologazione delle altre aree del mondo ai principi e sistemi dell’Occidente, ma sull’emergere di un ordine policentrico, con il declino del potere americano, una maggior autonomia dell’Europa, l’emergere del ruolo globale della Cina e dell’importanza dell’Asia, l’integrazione di altre aree del mondo. È necessario riconoscere la profonda diversità, irriducibile, dei sistemi politici esistenti. Quelli che non ci piacciono – dove manca la democrazia, la libertà, l’uguaglianza – dovranno evolvere sulle base delle proprie dinamiche interne, agevolate da un clima internazionale di pace e sicurezza reciproca e di cooperazione economica e sociale.
Né il socialismo, né la democrazia si difendono sulla punta di una baionetta. Ed è la via più tortuosa e difficile quella più realistica e praticabile: la costruzione di un ordine internazionale policentrico e plurale, fondato sulla pace e la sicurezza comune, in cui il cammino della democrazia e dei diritti umani possa riprendere”.
Così Marcon. Chi la pensa così è un “filo Putin”? A ritenerlo possono essere gli strateghi da salotto mediatico, i direttori dei giornali che calzano l’elmetto, gli ultras dell’armiamoci e partite. Noi siamo dall’altra parte della barricata. Con Marcon e le tante e i tanti come lui. E ce ne facciamo vanto.