Razov, quello che scambiava messaggi al miele con il putiniano Salvini. Quello che ha guidato l’ambasciata russa a Roma che spesso e volentieri si è lasciare andare a considerazioni volgari.
Cambio della guardia in vista all’ambasciata russa a Roma. Dopo dieci anni andrà via Sergey Razov, e al suo posto subentrerà Alexei Paramonov, che conosce bene l’Italia avendo ricoperto l’incarico di console a Milano.
Manca ancora l’ufficialità: la sede di via Gaeta si è limitata a riferire che «ad oggi non è stato pubblicato sul sito del Cremlino nessun decreto», ma l’avvicendamento dovrebbe essere ufficializzato la prossima settimana. Nel frattempo, ci si interroga su quali saranno le implicazioni per i rapporti bilaterali, ormai ai minimi termini dopo l’invasione russa dell’Ucraina: sulla carta arriva una figura considerata moderata, rispetto a un falco che ha ingaggiato un aspro duello con le autorità e i media italiani, spezzando il filo della tradizionale amicizia tra i due Paesi.
Sergey Razov, 70 anni, alla guida della sede di Roma dal 2013, ha sempre detto di «amare l’Italia», ma questo non gli ha impedito di calarsi perfettamente nella parte del duro dopo l’invasione dell’Ucraina.
Ha accusato il governo Draghi e i giornali di «russofobia», «disinformazione» (a cui è seguita una querela alla Stampa, poi caduta nel vuoto), e persino di «ingratitudine» per aver dimenticato gli aiuti di Mosca durante la pandemia. Ottenendo in cambio le proteste della Farnesina, che lo ha convocato per tre volte in sei mesi. Con l’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, i toni del diplomatico russo non sono cambiati. Ed è arrivato ad accusare l’Italia di «essere parte del conflitto» per la sua fornitura di armi a Kiev. Con il corredo di una campagna di provocazioni via social a cui sono seguiti accesi botta e risposta con il ministro della Difesa Guido Crosetto.
Al posto di Razov arriverà un altro diplomatico di lungo corso e con un’ottima conoscenza dell’Italia e della lingua. Il 61enne Paramonov, attuale direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, ha stretto buoni rapporti con il tessuto economico italiano da console a Milano dal 2008 al 2013, e ha ricevuto due onorificenze nel 2018 e nel 2020 (sebbene diversi partiti abbiano poi chiesto fossero revocate). Questi elementi potrebbero contribuire a rendere più distesa la comunicazione con Roma.
Paramonov inoltre ha già mostrato il suo volto più dialogante accogliendo con favore gli sforzi di mediazione del Vaticano sull’Ucraina e confermando il canale aperto e riservato tra Mosca e la Santa Sede. Tanto che nei mesi scorsi era stato in predicato di diventare ambasciatore russo Oltretevere.
Altri segnali, di segno opposto, non consentono invece di abbandonarsi a facili ottimismi. Anche il moderato Paramonov, dopo l’inizio della guerra, ha utilizzato un linguaggio dai toni ultimativi nei confronti di Roma: «Le sanzioni non sono una nostra scelta. Non vorremmo che la logica del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, che ha dichiarato la totale guerra finanziaria ed economica alla Russia, trovasse seguaci in Italia e provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili», affermava il prossimo emissario del Cremlino un anno fa.