Pochi hanno riferito del recente ricevimento al Cremlino, quando Putin si è rivolto ad un gruppo di nuovi ambasciatori a Mosca, quasi nessuno dei quali europeo. Secondo l’autorevole Foreign Affairs al termine della sua allocuzione nessuno ha applaudito. Sono, di tutta evidenze, le conseguenze non delle sanzioni economiche contro la Russia, ma del mandato di cattura emesso dal Tribunale Penale Internazionale contro di lui. Il crimine per cui è ricercato è orribile: aver fatto deportare in Russia molti minori ucraini, azione su cui il Tribunale è certo di avere prove sicure.
Nessun provvedimento è stato preso dal medesimo tribunale contro Bashar al-Assad, i cui apparati di sicurezza sono stati già condannati da diversi tribunali europei per crimini contro l’umanità. Anche all’Onu sapranno che Assad e il suo regime hanno usato, certamente in una circostanza, armi chimiche contro il loro popolo, ordinato esecuzioni di massa, sparizioni, sequestri e la deportazione di milioni di siriani.
Ora Washington assicura che non condivide il parere dei suoi alleati arabi che oggi hanno deciso di riammettere Assad nella Lega Araba, nonostante diffusi mal di pancia. Chi lo deciso ha combattuto per anni Assad inviando i suoi sgherri, in modo da far deragliare il treno della rivoluzione siriana. Molti in Europa, compreso il nostro ministro degli esteri, però vedono con favore un cammino verso la normalizzazione con il presidente Assad. Di lui però è difficile non dire che sia un criminale di guerra. Ma se l’Onu sa inquisire Putin e non Assad o il mondo si è capovolto o qualcosa non va.
Diviene difficile allora usare i termini opportuni, dovuti, per leadership arabe che non rispettando i loro concittadini non si capisce perché dovrebbero rispettare i siriani. In Egitto, in Iraq, in Giordania, nelle monarchie arabe del Golfo, il rispetto per i propri compatrioti non si è mai visto: si può capire che non si veda il rispetto per i siriani. Ma che il rispetto per un popolo non si veda al palazzo di vetro è diverso, molto diverso. Soprattutto se lo stesso palazzo di vetro poi riesce a dimostrare di voler cercare il rispetto dei bambini in Ucraina e la condanna di chi li ha deportati.
La notizia della riammissione di Assad nell’inutile salotto buono della famiglia araba – la cui casa sembra ovunque in macerie- non sposta granché: le corone che contano hanno già preso a dialogare con l’uomo forte di Damasco, quella è la vera vittoria di Assad.
I capitoli che non si toccheranno perché lui non vuole toccarli – rientro dei profughi in patria e smantellamento delle strutture clandestine che fanno della Siria un narcostato di dimensioni mondiali grazie al celebre captagon- saranno il tira e molla del domani su cui ora lui è certamente più forte.
Le sanzioni non sono riuscite a piegarlo, come non hanno piegato Putin. Ma non aver neanche tentato nel suo caso di ricorrere all’arma del Tribunale Penale Internazionale è la scelta che difficilmente può consentire ai responsabili di questa scelta di scrollarsi di dosso la responsabilità di questo frangente, umiliante per tutti.