La Turchia al voto deve scegliere tra sultanato o democrazia: Erdogan trema

La rielezione a Presidente stavolta per Erdogan non è affatto scontata. Domenica 14 maggio 2023. La Turchia al voto. Globalist ci ritorna con il racconto-analisi di due giornaliste italiane, Marta Ottaviani e Futura D’Aprile

La Turchia al voto deve scegliere tra sultanato o democrazia: Erdogan trema
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Maggio 2023 - 19.13


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Una data da cerchiare in rosso. Un passaggio storico per la Turchia. Il “sultano” rischia grosso. La sua rielezione a Presidente stavolta non è affatto scontata. Domenica 14 maggio 2023. La Turchia al voto. Globalist ci ritorna con il racconto-analisi di due giornaliste italiane, Marta Ottaviani e Futura D’Aprile, che la realtà turca conoscono come pochi altri in Italia e In Europa

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Democrazia contro sultanato

Scrive Marta Ottaviani pe Milano Finanza: “«Recep Tayyip Erdogan non perderà mai. Ci scommetto la mia licenza da taxista». Alì ha un tono così convinto e un affetto per ilpresidente turco così devoto che lo potrebbe fare per davvero. Il 14 maggio la Mezzaluna vota per elezioni che molti considerano storiche. Per la prima volta, il Capo dello Stato non ha i numeri per vincere matematicamente. Anzi, a sentire chi non vede l’ora di cambiare registro, lasconfitta è quasi sicura. Questo, in un Paese normale e non dove un solo uomo ha il controllo su tutto. Quindi non in Turchia. 

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«Questa volta ha contro tutti – spiega Berk Esen, professore di scienza politica all’Università Sabancidi Istanbul -, per la prima volta è lui a rincorrere l’avversario e non viceversa. Erdogan non è abituato a una situazione del genere e questo gli sta causando non pochi problemi». A tentare quella che molti reputano un’impresa impossibile c’è Kemal Kilicdaroglu, candidato di una coalizione con sei partiti molto diversi l’uno dall’altro, ma con un obiettivo comune: Erdogan se ne deve andare. 

Economia e nazionalismo

Ci sono poi due novità rispetto alle precedenti elezioni. La prima è che stavolta l’economia, da sempre fiore all’occhiello della politica del presidente, potrebbe farlo perdere. La seconda è che Kilicdaroglu potrà contare anche sull’appoggio esterno dei curdi, che da solo vale il 10% circa dei voti. Un bel regalo, che il Gandhi della politica turca, come lo chiamano nel Paese, se vincerà, dovrà ricambiare. 

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Intanto, però, bisogna pensare a domenica, quando oltre 60 milioni di turchi andranno al voto per decidere il nuovoparlamento. Per il capo dello Stato con ogni probabilità si dovrà aspettare il 28 maggio, quando ci sarà il ballottaggio, anche se tutti si stanno impegnando per chiudere la partita già il 14. 

Il presidente sta puntando tutta la sua campagna elettorale sui risultati conseguiti in oltre venti anni di potere e non perde occasione di ricordare che qualunque sfidante contro di lui ha sempre perso. Con Kilicdaroglu sembra essere particolarmente incancrenito ed è arrivato ad accusarlo di aver stretto rapporti con ilPkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, per raccogliere voti. Insomma, dove non si può usare l’economia, si punta sul nazionalismo. 

Inflazione e terremoto

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Di certo chiunque vinca avrà davanti una situazione interna difficile, resa ancora più critica dai terremoti dello scorso 6 febbraio, che hanno provocato oltre 50mila morti e oltre 100 miliardi di dollari di danni. A questo vanno aggiunte le mance elettorali elargite dal numero uno di Ankara pur di vincere, un’inflazione stabilmente sopra il 50% da mesi (con punte dell’80% lo scorso autunno) e una valuta nazionale svalutata del 60% rispetto a euro e dollaro. 

La “Cina vicina”, come Erdogan ha sempre chiamato la Turchia davanti agli investitori, ha qualche problema, anche di trasparenza. «L’inflazione in Turchia è ben più alta delle statistiche ufficiali – spiega Husniye Güngör, caporedattrice di Ekonomi Gazetesi, la principale testata economico-finanziaria del Paese. Secondo ENAgroup, un’iniziativa indipendente di indagine sull’inflazione fondata da accademici molto stimati, ad aprile abbiamo raggiunto il 105,9% su base annuale».  

L’eterodossia sui tassi

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Ad alimentare l’inflazione turca ci sono itassi di interesse, che il presidente Erdogan sta tenendo volutamente bassi. Una politica definita «non ortodossa» dagli economisti e sulla quale lo sfidante Kilicdaroglu, che ha uno solido background economico, vuole vederci chiaro tanto da dichiarare che, se dovesse vincere, uno dei primi provvedimenti sarà ordinare un’indagine alla Borsa di Istanbul per capire se ci siano state delle speculazioni e soprattutto chi se ne sia avvantaggiato, anche se nell’opposizione puntano il dito contro il cerchio magico che ruota attorno al presidente. 

Sotto accusa c’è anche la Merkez Bankasi, la Banca Centraleturca, che dal 2016 a oggi ha cambiato quattro governatori e che adesso è guidata da Sahap Kavcioglu, che nel suo curriculum vanta anche un’accusa di plagio della tesi di dottorato. 

Un magro Ramadan

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Il disagio si tocca con mano e maggio è stata una vera e propria cartina al tornasole. Durante il mese sacro delRamadan i consumi sono crollati rispetto gli anni precedenti sia per quanto riguarda la partecipazione alle iftar (le cene che spezzano il digiuno a fine giornata, ndr) sia per quanto riguarda gli spostamenti nei tre giorni di festa che concludono il periodo di purificazione. Secondo un sondaggio condotto da Ipsos, il 69% degli intervistati si è accontentato di frugali cene in casa, mentre il 59% ha ammesso di non poter invitare amici per momenti di convivialità. Il presidente sa che questa volta rischia. E per questo corre ai ripari. L’ultimo regalo, nonché incentivo a rivotarlo, è arrivato domenica scorsa, in occasione del suo «comizio del secolo», dove ha annunciato l’aumento del 45% dellapaga base e le pensionidi 2000 lire turche, al cambio attuale circa 100 euro. 

Prezzi fuori controllo

 «Il costo della vitaè raddoppiato – racconta Serkan, che a Istanbul gestisce un negozio con tutti gli articoli che possono servire ai turisti – i negozi in zone turistiche ne hanno risentito meno, ma gli altri hanno visto calare in modo considerevole il proprio giro di affari». 

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C’è poi, drammatico, il problema dell’aumento del costo del cibo. A febbraio, rispetto all’anno precedente, il pesce e la carne sono aumentati di oltre il 100%. La frutta e la verdura del 156% e del 279%. Proprio il caro vita è al centro della campagna elettorale di Kilicdaroglu, che nei giorni scorsi ha diffuso su Youtube un video in cui parlava dell’aumento delprezzo delle cipolle, spiegando come sommando tutti gli incrementi il ceto medio non abbia fatto altro che impoverirsi. 

«Se lo votano sono matti – chiosa secco Alì il tassista, parlando dello sfidante -. Ha fatto più cose Erdogan in vent’anni che tutti gli altri nei restanti 80. Ci ha dato strade, metropolitane, aeroporti. Se perde torniamo all’epoca in cui in Turchia i governi duravano mesi». Limoni e cipolle contro infrastrutture, quindi, con gli occhi al 29 ottobre, quando la Turchia festeggerà il primo secolo di vita ed Erdogan vuole essere il protagonista assoluto del momento. Gli ultimi sondaggi però danno Kilicdaroglu in vantaggio di meno di due punti ma nemmeno lui arriva al 50% che serve per guidare il Paese. Certo, se dovesse farcela, allora Erdogan avrà perso a causa di quello che è stato il suo cavallo di battaglia per oltre 20 anni. 

Cinque anni per ripartire

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«L’Alleanza per la Nazione (la coalizione guidata da Kilicdaroglu ndr), sembra avere un programma convincente», conclude Husniye Güngör. Il team economico ha lavorato a lungo. Una ripresa completa dell’economia può richiedere tempo, fino a cinque anni con un approccio realistico. Credo che se vincerà le elezioni e ci sarà un accordo politico potrebbero arrivare nuovi investimenti. Alcuni economisti riferiscono che è la prima volta che i gestori di fondi li chiamano per avere la loro opinione sulle elezioni, e questo significa che l’interesse per il paese è alto. Il clima positivo creato dal nuovo scenario politico costituirà la base per un’ulteriore ripresa economica nel medio periodo». 

La forza di Erdogan

Fra il dire e il fare però c’è di mezzo Recep Tayyip Erdogan, e chi lo conosce bene sa che non si arrende facilmente. A preoccupare alcuni analisti c’è il forte clima di contrapposizione che si sta venendo a creare nel paese e il fatto che l’elettorato che sostiene il presidente è sempre più radicalizzato e crede nell’idea di Turchia a cui ha dato vita in questi anni. Erdogan ha poi il controllo praticamente assoluto dell’esercito e delle forze di sicurezza. Se il risultato non dovesse essere chiaro e ci fossero proteste, il Paese rischia forti momenti di tensione. Il motto elettorale di Kilicdaroglu è «Sana söz», ossia «la parola a te», riferito all’elettore. Sperando che basti”. 

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Una data storica

Il perché lo spiega su Valigia Blu Futura D’Aprile: “Il 14 maggio 2023 è una data storica per la Turchia moderna sotto diversi punti di vista. Nel 2023 ricorre il centenario della Repubblica turca, nata dalle ceneri dell’Impero ottomano dietro spinta del generale Mustafa Kemal Atatürk (letteralmente padre dei turchi) e il 14 maggio i cittadini sono chiamati ad eleggere il Parlamento e il loro prossimo presidente. Il giorno scelto per le elezioni non è casuale. Il 14 maggio 1950 il Demokrat Parti, di orientamento conservatore, vinse  per la prima volta le elezioni sconfiggendo il Chp, il partito repubblicano fondato dallo stesso Atatürk. Dieci anni più tardi però il suo leader, Adnan Menderes, fu impiccato per ordine del Tribunale speciale istituito a seguito del colpo di Stato organizzato nel 1960 dal generale Cemal Gursel, mettendo fine al governo di stampo conservatore e aprendo la strada a ulteriori interventi militari nella fragile democrazia turca. 

Nei piani del presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan, il 14 maggio 2023 il popolo turco tornerà a dire “basta” agli ideali laici dei kemalisti e a sostenere ancora una volta chi, come lui, si è invece fatto portavoce di quei valori religiosi e conservatori che Menderes aveva portato per la prima volta al governo 73 anni prima. Il sogno del leader del partito Giustizia e sviluppo (Akp), però, potrebbe non realizzarsi. 

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A sfidare Erdoğan per la carica di presidente sono ufficialmente tre candidati, ma solo uno ha davvero una possibilità di vittoria: Kemal Kılıçdaroğlu. Segretario del partito repubblicano (Chp) dal 2010, Kılıçdaroğlu è il rappresentante del cosiddetto Tavolo dei sei, una coalizione di partiti che vanno dal centro-sinistra alla destra conservatrice unitisi per sconfiggere finalmente Erdoğan, ininterrottamente al potere dal 2003. Il leader del Chp si è distinto nel corso della campagna elettorale per i toni pacati e per la modestia dello stile di vita, in contrasto con la retorica divisiva e lo sfarzo che invece caratterizzano i discorsi e la quotidianità di Erdoğan. La scelta di puntare su Kılıçdaroğlu però non è stata semplice. La sua figura è stata spesso criticata all’interno della coalizione per la mancanza di carisma e anche per l’appartenenza alla minoranza religiosa degli aleviti, perseguitata in Turchia. Kılıçdaroğlu però ha saputo sfruttare a suo favore quest’ultimo aspetto puntando su una retorica inclusiva e accattivandosi la simpatia delle minoranze del paese, mentre ha risolto il problema del carisma indicando come suoi eventuali vice-presidenti i sindaci di Istanbul e Ankara – Ekrem İmamoğlu e Mansur Yavaş – due figure di spicco del suo stesso partito. Il leader del Chp può anche contare sul sostegno dell’Hdp, la formazione filo-curda che si presenterà sotto il simbolo della Sinistra Verde (Ysp) per aggirare il rischio chiusura per vie legali che incombe su di essa. L’Hdp, secondo i sondaggi, dovrebbe ottenere almeno il 10% delle preferenze, giocando così un ruolo decisivo per il futuro del paese. 

Arrivare a un accordo con questa formazione politica non è stato facile. Il Chp, in quanto partito di ispirazione kemalista, quindi laico e nazionalista, ha storicamente messo da parte le richieste delle minoranze del paese e in particolare quelle dei curdi. Kılıçdaroğlu invece ha riconosciuto l’importanza della questione curda e promesso che questa sarà risolta dal Parlamento e non più affrontata come un problema unicamente di sicurezza. Un approccio ben diverso rispetto a quello promosso dal 2015 in poi dal presidente uscente, che continua a puntare sulla criminalizzazione dei curdi e sulla repressione di ogni forma di opposizione. 

Approcci diversi – e retoriche diverse – comportano anche idee molto contrastanti di paese. Sotto la guida di Erdoğan in Turchia è emersa una nuova classe borghese conservatrice e nazionalista, proveniente per lo più dall’entroterra anatolico e precedentemente marginalizzata, mentre si è assistito a una limitazione costante dei diritti e a un aumento della repressione del dissenso. Il numero di giornalisti, avvocati, attivisti, politici dell’opposizione, ma anche di attori, professori finiti in carcere o sotto processo è aumentato…”.

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Un auspicio, non una certezza

“Ci aspettiamo che le elezioni in Turchia siano democratiche e trasparenti. E’ anche importante che la pluralità dei media sia garantita e che a tutti i candidati sia garantita adeguata visibilità”. Lo ha detto il portavoce del Servizio di Azione Esterna dell’Ue, Peter Stano nel corso del briefing quotidiano con la stampa. “Ci aspettiamo che siano rispettati gli standard democratici per cui la Turchia si è impegnata e che tutti i partiti rispettino lo stato di diritto e la volontà del popolo turco”, ha aggiunto.

Domenica e poi si vedrà.

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