Ma che “bella pensata” ha avuto il ministro Piantedosi. Rispedire nei Paesi d’origine il maggior numero di migranti subsahariani arrivati in Tunisia per evitare che possano imbarcarsi per tentare la traversata verso l’Europa. È questo il nuovo obiettivo dell’accordo raggiunto ieri a Tunisi tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il suo omologo Kamel Fekih. Che dire, tra securisti ci s’intende.
Securisti in servizio permanente
“L’approccio della sicurezza ha mostrato i suoi limiti nell’affrontare il fenomeno della migrazione irregolare”: così, danno conto le agenzie stampa, il presidente tunisino Kais Saied incontrando ieri al Palazzo di Cartagine il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. “Il numero delle vittime aumenta di giorno in giorno”, ha ricordato, aggiungendo che “le reti criminali di scafisti stanno approfittando dell’insicurezza che porta i migranti a rischiare la vita per raggiungere l’altra sponda del Mediterraneo”.
Saied ha sottolineato la necessità di affrontare le cause profonde di questo fenomeno per sradicarlo, come parte di un nuovo approccio collettivo. In questo contesto ha proposto di tenere al più presto un incontro tra capi di stato e di governo o tra ministri dell’Interno dei Paesi colpiti dalla crisi migratoria, con l’obiettivo di concordare strumenti di cooperazione per affrontare le cause del fenomeno della migrazione irregolare. L’incontro tra Saied e Piantedosi “è stato anche l’occasione per discutere di cooperazione e amicizia tra i due paesi e popoli vicini”, si legge nel comunicato della presidenza tunisina.
Amicizie inquietanti
Scrive Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “Come se non avessero già arrecato sufficienti danni alla libertà d’espressione e come se non fosse necessario occuparsi della grave crisi economica in corso, le autorità tunisine hanno deciso di allargare l’indagine, aperta a febbraio, contro 17 persone per inesistenti accuse di“cospirazione”.
Questo mese gli indagati sono diventati 21, con l’aggiunta alla lista dell’avvocato per i diritti umani Ayachi Hammami – difensore di altri indagati – dell’avvocata e femminista Bochra Belhaj Hamida e di due oppositori politici: Nejib Chebbi e Noureddin Bhriri, quest’ultimo ex ministro della Giustizia.
Gli indagati, che il presidente Kais Saied ha pubblicamente definito “terroristi”, sono accusati di aver cospirato per portare un attacco contro lo stato e per fomentare la tensione sociale. Gli articoli del codice penale tirati in ballo sono ben dieci – tra cui il 72, che prevede la pena di morte per chi tenta di “cambiare la natura dello stato” – cui vanno aggiunti oltre dieci articoli della legge antiterrorismo del 2015.
Hammami è sottoposto a una separata indagine, ai sensi delle legge sui reati informatici, per aver rivolto critiche alle autorità.
Da quando, il 25 luglio 2021, ha sospeso il parlamento e avocato a sé poteri di emergenza, il presidente Saied ha emesso decreti che minacciano la libertà d’espressione e l’indipendenza del potere giudiziario e, soprattutto, ha fatto approvare una nuovaCostituzione che contiene numerose disposizioni pericolose per i diritti umani”.
Così Noury.
Dichiarazione congiunta delle organizzazioni della società civile di ricerca e soccorso in mare e delle reti di solidarietà verso le persone migranti
Alla luce dell’attuale trasformazione autoritaria dello Stato tunisino1 e dell’estrema violenza e persecuzione della popolazione nera, delle persone in movimento, degli oppositori politici e degli attori della società civile, noi, le organizzazioni firmatarie, rilasciamo questa dichiarazione per ricordare che la Tunisia non è né un paese di origine sicuro né un paese terzo sicuro e pertanto non può essere considerato un luogo sicuro di sbarco (Place of Safety, Pos) per le persone soccorse in mare. Esortiamo le autorità dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri a revocare i loro accordi con le autorità tunisine, volti al controllo delle migrazioni, ed esprimiamo la nostra solidarietà alle persone coinvolte.
Attacchi razzisti contro le persone di colore e repressione della società civile tunisina
Negli ultimi mesi si è intensificata2 la repressione contro gli oppositori politici, la società civile e le minoranze in Tunisia. Diverse organizzazioni tunisine e internazionali per la tutela dei diritti umani hanno espresso preoccupazione per “l’indebolimento dell’indipendenza della magistratura, gli arresti di critici e oppositori politici, i processi militari contro i civili, la continua repressione della libertà di espressione e le minacce contro la società civile”.
Parallelamente, catalizzato dal discorso razzista e discriminatorio contro i migranti provenienti dall’Africa subsahariana pronunciato dal presidente tunisino Kais Saied il 21 febbraio, il razzismo contro le persone nere, già esistente in Tunisia, si è intensificato portando a un peggioramento della situazione soprattutto per coloro che provengono dai Paesi dell’Africa centrale e occidentale. Un gran numero di persone della diaspora africana residenti a Sfax, Sousse e nella capitale Tunisi ha subito atti di violenza, trovandosi senza alloggio, senza cibo e privati del diritto alla salute e al trasporto pubblico. Gli africani neri non subiscono solo i pogrom da parte di gruppi di persone armate, ma anche forme di violenza istituzionale. Vengono schedati per motivi razziali, arrestati e detenuti arbitrariamente dalle forze di sicurezza. Alcuni sono stati oggetto di sparizioni forzate6. Per quasi un mese, circa 250 persone rimaste senza casa, tra cui alcuni bambini, hanno organizzato un sit-in davanti all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom) e all’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), chiedendo la loro immediata evacuazione in quanto in pericolo di vita. L’11 Aprile 2023, la protesta è stata sgomberata violentemente dalle forze di sicurezza, che hanno attaccato la folla con gas lacrimogeni per disperdere le persone, causando gravi lesioni. Circa 80 persone sono state arrestate. Tra questi, alcuni hanno riferito di aver subito torture e maltrattamenti8.
Questi sviluppi si verificano in un momento in cui la situazione socio-economica della Tunisia peggiora continuamente: il tasso di disoccupazione è del 15% e il tasso di inflazione del 10%. Il Paese manca di beni di prima necessità e, a causa della siccità, l’uso dell’acqua è limitato.
La Tunisia non è un luogo sicuro di sbarco!
Molti elementi erano già sufficienti per contestare la sicurezza della Tunisia per i suoi stessi cittadini, affermando che non è un Paese di origine sicuro9. Ciò nonostante, le espulsioni da parte dell’Italia dei cittadini tunisini che non hanno accesso alla protezione internazionale è in aumento. Dopo gli ultimi sviluppi, appare ancora più urgente affermare che la situazione è estremamente grave e pericolosa per le persone nere e straniere, tanto che anche la sicurezza della Tunisia come Paese terzo appare profondamente compromessa.
Questo insieme di fattori mette le persone migranti nere e le voci di opposizione in una posizione di vulnerabilità. Non essendo al sicuro in Tunisia, le persone migranti dell’Africa subsahariana cercano di uscire da un Paese che è sempre più pericoloso per loro. Di conseguenza, non dovrebbe essere permesso lo sbarco in Tunisia delle persone intercettate in mare, durante il tentativo di fuggire dal Paese. Secondo la Convenzione SAR (Search And Rescue), un soccorso è definito come “una operazione volta a soccorrere le persone in pericolo, provvedere alle loro prime necessità mediche o di altro tipo e condurle presso un luogo sicuro di sbarco”. Nella risoluzione MSC 167(78) dell’Organizzazione Marittima Internazionale, un luogo sicuro di sbarco è ulteriormente definito come “un luogo in cui la sicurezza e la vita dei sopravvissuti non è più minacciata e in cui le loro necessità fondamentali (come cibo, riparo e necessità mediche) possono essere soddisfatte
La Tunisia non ha un sistema nazionale di asilo, e le persone soccorse in mare, tunisine e non, sono altamente esposte al rischio di subire violazioni dei diritti umani, detenzione e respingimenti forzati.
Lo sbarco in Tunisia dei naufraghi e delle persone intercettate in mare viola il diritto internazionale in materia di diritti umani e il diritto del mare.
Fermare la complicità dell’Europa nelle morti alle frontiere
Per oltre un decennio, l’UE e i suoi Stati membri hanno sostenuto politicamente, finanziato ed equipaggiato lo Stato tunisino affinché sorvegliasse i propri confini e contenesse la migrazione verso l’Europa. L’obiettivo è chiaro: impedire l’arrivo dei migranti in Europa, ad ogni costo.
Ciò si realizza attraverso diversi accordi finalizzati alla “gestione congiunta dei fenomeni migratori”, alla sorveglianza delle frontiere e al rimpatrio dei cittadini tunisini. Tra il 2016 e il 2020, sono stati stanziati per la Tunisia oltre 37 milioni di euro attraverso il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, per favorire la “gestione dei flussi migratori e delle frontiere”. Altri milioni di euro sono in arrivo. Inoltre, l’UE supporta la Tunisia attraverso “l’addestramento delle forze di polizia, la fornitura di attrezzature per la raccolta e la gestione dei dati, il supporto tecnico, l’equipaggiamento e la manutenzione delle imbarcazioni per il pattugliamento delle coste e altri strumenti per il tracciamento e il monitoraggio dei movimenti“. Purtroppo, nessun cambiamento nelle politiche europee è all’orizzonte. Proprio nel novembre 2022, nel suo recente Piano d’azione per il Mediterraneo centrale, la Commissione europea ha menzionato il suo obiettivo di “rafforzare le capacità della Tunisia […] di prevenire le partenze irregolari [e] sostenere una gestione più efficace delle frontiere e della migrazione“.
In questo modo, l’UE supporta anche la Guardia costiera tunisina, un attore le cui violazioni dei diritti umani contro le persone in movimento sono ben documentate. Negli ultimi anni, il numero di intercettazioni e di respingimenti da parte della Guardia costiera tunisina verso la Tunisia è aumentato enormemente. Solo nel primo trimestre del 2023, a 14.963 persone è stato impedito di lasciare la Tunisia via mare e sono state violentemente riportate indietro contro la loro volontà per conto dell’UE. Già nel dicembre 2022, più di cinquanta associazioni avevano denunciato la violenza della Guardia Costiera tunisina: “Aggressioni verso le persone con bastoni, spari di colpi in aria o in direzione del motore, attacchi con coltelli, manovre pericolose per tentare di affondare le imbarcazioni, richieste denaro in cambio del soccorso…”. Questi attacchi si sono intensificati negli ultimi mesi, prendendo di mira sia persone migranti tunisine che non tunisine. Inoltre, è stato recentemente documentato come la Guardia costiera tunisina sottragga i motori alle imbarcazioni che tentano di fuggire dal Paese, lasciando le persone a bordo alla deriva, provocandone la morte..
Le organizzazioni firmatarie ricordano che la Tunisia non è un Paese di origine sicuro per i cittadini tunisini. Inoltre, non può considerarsi un luogo sicuro di sbarco per le persone provenienti dall’Africa subsahariana, né per i cittadini tunisini e né per gli altri stranieri in fuga dal Paese. Chiediamo alle autorità dell’Unione Europea e ai suoi Stati membri di interrompere il supporto tecnico e finanziario nei confronti della Guardia costiera tunisina, nonché la cooperazione volta al controllo delle migrazioni dalla Tunisia, garantendo canali di movimento sicuri per tutte e tutti”.
Un passo indietro nel tempo. Cinque aprile 2023. L’United Nations Committee on the Elimination of Racial Discrimination (Cerd) ha avviato la procedura di allarme rapido e di azione urgente e ha a esortato le massime autorità tunisine a condannare pubblicamente e prendere le distanze dall’incitamento all’odio razzista da parte di politici e personaggi pubblici e privati. Il Cerd – del quale la Tunisia è stato membro – si è detto allarmato per le dichiarazioni fatte dal presidente golpista della Tunisia, Kaïs Saied, secondo il quale «L’arrivo di orde di migranti clandestini dai Paesi africani subsahariani» farebbe parte di «Un piano criminale per cambiare la composizione del panorama demografico della Tunisia» e sarebbe fonte di «Violenze, crimini e atti inaccettabili». Parole che ricalcano quel che la destra italiana dice dei tunisini (e dei subsahariani) che per il Cerd «Vanno contro la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di Discriminazione razziale (“la Convenzione”), in particolare l’articolo 2 in cui gli Stati parti si impegnano a non intraprendere alcun atto o pratica di discriminazione razziale e a garantire che tutte le autorità pubbliche rispettino tale obbligo, e l’articolo 4 in base al quale gli Stati parti si impegnano a non consentire alle autorità pubbliche di incitare o incoraggiare la discriminazione razziale».
Di fronte alle violenze seguite alle dichiarazioni del Capo dello Stato tunisino, centinaia di migranti provenienti da Paesi come Costa d’Avorio, Mali, Guinea e Senegal hanno deciso di tornare nei loro Paesi d’origine o di fuggire verso l’Italia e l’Europa insieme ai giovani tunisini che scappano dalla miseria e dalla dittatura. Molti altri migranti e rifugiati subsahariani sono stati sgomberati con la forza dalle loro case o hanno perso il lavoro. Hanno quindi chiesto protezione e assistenza all’International Organization for Migration (Iom) e all’United Nations Refugee Agency (Unhcr). Anche il numero di detenzioni arbitrarie di migranti subsahariani è notevolmente aumentato in tutta la Tunisia dall’inizio di febbraio. Migranti e rifugiati continuano a essere detenuti, anche nel centro di detenzione amministrativa di Ouardia, dove alcuni sono detenuti illegalmente da più di 18 mesi.
La procedura di allarme rapido e di azione urgente del Cerd prende soprattutto in considerazione «Situazioni che potrebbero degenerare in conflitti al fine di intraprendere azioni preventive appropriate per evitare violazioni su vasta scala dei diritti umani ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale» e infatti il CERD è anche molto preoccupato per le segnalazioni di «Un aumento dell’incitamento all’odio razziale o xenofobo sui social media e su alcuni media nel Paese nei confronti di migranti di sesso maschile e femminile provenienti da Paesi dell’Africa subsahariana in Tunisia, inclusi incitamenti all’odio razzista da parte di cittadini e membri di alcuni Partiti politici, in particolare dopo le osservazioni del Capo dello Stato tunisino». Preoccupa anche che questa ondata di incitamento all’odio e di stigmatizzazione abbia portato ad «Atti di violenza e discriminazione razziale nei confronti di migranti provenienti da Paesi dell’Africa subsahariana e cittadini neri tunisini, comprese aggressioni fisiche e sgomberi dalle loro case e dai loro posti di lavoro» e le segnalazioni di arresti arbitrari di migranti provenienti da Paesi dell’Africa subsahariana, compresi donne, bambini e studenti, da parte di funzionari delle forze dell’ordine nell’ambito della campagna “Rafforzare il tessuto di sicurezza e ridurre il fenomeno della residenza illegale in Tunisia”. Il Cerd accusa le forze dell’ordine tunisine di non rispettare tutte le garanzie procedurali richieste, «In particolare l’obbligo di notificare i motivi dell’arresto, il diritto di essere assistiti da un avvocato o dal proprio consolato e l’obbligo di far firmare i documenti nella lingua a loro comprensibile». Inoltre, aumentano le segnalazioni di atti di intimidazione nei confronti di attivisti e difensori dei diritti umani che difendono la causa dei migranti subsahariani.
Dopo aver ricordato alla Tunisia gli accordi internazionali che ha sottoscritto, il Cerd «Chiede alle autorità dello Stato parte di garantire l’effettivo rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani assunti dalla Tunisia e, in particolare, quelli della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale» e di alle autorità tunisine e al Presidente della Repubblica Saied di «Astenersi da qualsiasi discorso che contribuisca all’odio razzista e alla discriminazione razziale nei confronti dei migranti provenienti dai Paesi africani subsahariani, in Tunisia».
Chiede anche al presidente Saied e il suo governo di «Condannare pubblicamente e di prendere le distanze dall’incitamento all’odio razzista da parte di attori politici, personaggi pubblici e privati, dei media e di altri attori privati, nonché di adottare tutte le misure necessarie per prevenire e combattere ogni forma di discriminazione razziale, in particolare l’incitamento all’odio contro i neri africani, incitamento all’odio razziale, violenza xenofoba e attacchi razzisti rivolti in particolare agli africani subsahariani e ai cittadini neri tunisini, nonché misure mirate a: 1. Garantire la protezione immediata ed efficace dei migranti sul suo territorio, in particolare dei migranti provenienti da paesi dell’Africa subsahariana, nonché dei cittadini neri tunisini, contro qualsiasi violenza e incitamento all’odio di natura razzista e contro qualsiasi atto di discriminazione dei diritti garantito dalla Convenzione; 2. Porre immediatamente fine agli arresti e alle detenzioni collettive di questi migranti e rilasciare, senza indugio, coloro che sono detenuti arbitrariamente, in particolare donne e bambini; dare la possibilità a coloro che desiderano chiedere asilo; istituire un meccanismo nazionale per la determinazione dello status di rifugiato; e rispettare il principio di non respingimento; 3. Indagare sui casi di migranti che sono stati licenziati arbitrariamente dal lavoro o cacciati dall’alloggio e adottare misure per la loro riabilitazione; 4. Garantire la libertà di riunione e associazione, senza ostacoli, di attivisti e difensori dei diritti umani e migranti provenienti da Paesi dell’Africa subsahariana e proteggerli da qualsiasi intimidazione o rappresaglia; 5 Garantire che tutti i discorsi di incitamento all’odio e la violenza razzista, compresi i discorsi delle autorità pubbliche e degli attori politici, siano indagati in modo diligente e indipendente e che gli autori siano perseguiti e puniti, ove appropriato, e che le vittime e le loro famiglie siano risarcite; 6. Monitorare e combattere la diffusione di incitamento all’odio razzista, anche su Internet e sui social media; 7. Garantire l’effettiva applicazione della legge n. 2018-50 del 23 ottobre 2018, relativa all’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, in particolare le disposizioni relative all’incitamento all’odio e alla violenza basati sulla discriminazione razziale; 8. Istituire la commissione nazionale responsabile della lotta alla discriminazione razziale prevista dalla legge n. 2018-50 e dotarla delle risorse umane, tecniche e finanziarie necessarie per il suo corretto funzionamento, anche per indagare sui casi di violenza e incitamento all’odio razzista; 9. Facilitare la capacità delle vittime, compresi i migranti dei Paesi dell’Africa subsahariana e i cittadini neri tunisini, di denunciare incitamento all’odio razzista e crimini di odio, anche online; 10. Formare la polizia, i pubblici ministeri e i giudici sui metodi appropriati per rilevare e registrare i crimini di odio razzista e l’incitamento all’odio, anche su Internet e sui social media, formare i rappresentanti dei media per combattere efficacemente il razzismo e il pregiudizio razziale e rafforzare le campagne di sensibilizzazione pubblica con l’obiettivo di promuovere la tolleranza tra i gruppi e la consapevolezza della diversità della società tunisina».
L’United Nations Committee on the Elimination of Racial Discrimination conclude il suo atto di accusa invitando lo Stato Tunisino ad avviare urgentemente «Un dialogo nazionale inclusivo sulla questione del razzismo e della discriminazione razziale in Tunisia al fine di sviluppare un’efficace strategia nazionale per combattere il razzismo e la discriminazione razziale».
Di tutto questo il ministro Piantedosi non ha tenuto in minimo conto. Non ne avevamo dubbi.
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