1053. Sono le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno. Una cifra probabilmente in difetto. Perché il “Mar della Morte” ha inghiottito altre persone delle quali non sapremo mai nulla.
L’allarme di Frontex
Secondo Frontex i passaggi irregolari delle frontiere verso l’Unione Europea attraverso il Mediterraneo centrale sono quadruplicati nei primi quattro mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022, raggiungendo il livello più alto da quando l’agenzia ha iniziato a raccogliere informazioni nel 2009. I dati pubblicati il 5 maggio dal Ministero dell’Interno italiano raccontano di 42.449 arrivi in Italia dall’inizio dell’anno. Ai primi di maggio a Lampedusa sono sbarcate quasi duemila persone in meno di tre giorni. Un totale di 1053 persone risultano morte o disperse nel Mediterraneo dall’inizio di quest’anno.
L’accusa all’UE di finanziare gli abusi in Libia.
Il 12 maggio Medici senza Froniere (Msf) ha rilasciato una dichiarazione che ribadisce la complicità europea negli abusi in Libia. Secondo l’organizzazione nel 2022 circa 23.600 persone sono state intercettate dalla Guardia costiera libica, finanziata dall’Unione Europea, e rimpatriate con forza in Libia. Ma in Libia, secondo l’ultimo dossier delle Nazioni Unite, le persone migranti corrono il rischio costante di essere detenute arbitrariamente e sottoposte a torture e trattamenti inumani che si configurano come crimini contro l’umanità.
Il racconto di chi è stato detenuto in Libia
. Asha ha diciassette anni ed è stata salvata dalla nave Ocean Viking gestita dall’organizzazione Sos Mediterranee il 1° aprile. Abbandonata a nove anni durante la guerra civile somala, poi soccorsa da uno zio violento, Asha è riuscita a scappare da sola da Mogadiscio per sottrarsi a un matrimonio forzato con un parente di 83 anni. Durante la fuga è stata detenuta per tre anni in Libia, dove ha subito torture delle quali porta ancora i segni sul corpo. Secondo l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim) nel periodo tra il 7 e il 13 maggio 2023, 89 persone migranti sono state intercettate e rimpatriate in Libia. Il numero totale delle persone rimandate sulla sponda sud del Mediterraneo ha superato quota cinquemila.
Il lavoro di soccorso delle Ong
Nel frattempo, nonostante i costanti tentativi di criminalizzare le operazioni di salvataggio in mare, le organizzazioni non governative continuano a soccorrere i naufraghi nel Mediterraneo centrale. La Geo Barents, la nave gestita da Medici senza Frontiere, ha soccorso il 16 maggio ventisei persone in difficoltà in acque internazionali al largo della Libia. Tra i profughi c’erano una donna incinta e otto bambini. Il 17 maggio la nave di Bansky, la Louis Michel, ha soccorso settantuno persone su un gommone sovraffollato e inidoneo alla navigazione.
Respingimenti sul confine tra Italia e Francia
Non solo Mediterraneo. Le autorità francesi hanno dispiegato una serie di droni per monitorare il confine perché – hanno dichiarato – è materialmente impossibile impedire alle persone di attraversare il confine in modo irregolare senza l’ausilio dei droni. Parigi sostiene che circa 12.607 persone sono state fermate sul confine italo-francese dall’inizio di quest’anno, segnando un aumento del 40 per cento rispetto al 2022. I numeri ufficiali del governo francese sono però smentiti dalle associazioni che assistono i profughi alla frontiera. Per le Ong invece non c’è stato, in questi mesi, nessun aumento significativo delle persone in transito. Medici senza Frontieredenuncia i respingimenti all’altezza di Ventimiglia. Secondo Sergio Di Dato, responsabile della clinica mobile che assiste i migranti sul confine tra Francia e Italia, in media ogni giorno 20/25 persone vengono respinte dalla Francia verso l’Italia e si teme che questo numero possa aumentare dopo il dispiegamento di altri 150 poliziotti alla frontiera. Di Dato ha aggiunto che la situazione è molto complicata a Ventimiglia, dove alcune persone respinte sono accudite dalle associazioni che operano sul territorio, ma altre invece finiscono in campi improvvisati senza acqua né latrine, in mezzo ai topi.
Il caos libico
Globalist lo ha raccontato in più articoli. Oggi ci ritorniamo con un report molto documentato di Alberto Galvi per Notizie Geopolitiche: “La Camera dei Rappresentanti di Tobruk – ha votato lo scorso 16 maggio per sospendere e indagare il primo ministro Fathi Bashagha del governo parallelo con sede a Sirte, accusandolo di non aver raggiunto gli obiettivi previsti. L’altro governo libico ha sede a Tripoli, ed è guidato dal primo ministro Abdul Hamid al-Dbeibah. La Libia è divisa tra due governi rivali, ciascuno sostenuto da patroni internazionali e numerose milizie armate sul campo, ed il paese è ancora oggi dilaniato, seppure con minore intensità, dal conflitto civile iniziato nel 2011.
L’ex ministro degli Interni Bashagha, che è stato eletto primo ministro nel febbraio 2022, ha cercato di insediare il suo governo nella capitale lo scorso maggio, arrivando a Tripoli con alcuni dei suoi ministri, ma è stato messo alle porte, cosa che ha portato a scontri tra le milizie.
Bashagha ha poi rilasciato lo scorso 16 maggio una dichiarazione al Parlamento di Tobruk annunciando che avrebbe trasferito le sue funzioni al vice primo ministro Ali Qatrani. Non sono stati forniti ulteriori dettagli in merito. La situazione di stallo tra al-Dbeibah e Bashagha va avanti da mesi, con la potente fazione orientale della Libia schierata con quest’ultimo e guidata dal comandante militare Khalifa Haftar.
Haftar, che negli ultimi mesi si è tolto la divisa per indossare l’abito del politico, da più parti considerato a torto o a ragione di essere stato al soldo di Washington poiché, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, venne poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove rimase fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi. Ha passaporto statunitense, e negli Usa abitava a Langley, a un chilometro dalla sede della Cia.
Haftar ha incontrato di recente la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, e l’indebolimento della figura di Bashagha farebbe immaginare una mossa diplomatica finalizzata a raggiungere la sospirata unità nazionale della Libia, necessaria per l’Italia sia per gli investimenti che per il controllo dei flussi migratori.
Tunisia, un appello da rilanciare
Sostenuto da oltre 40 organizzazioni e 160 personalità un appello promosso dall’associazione Beity per chiedere alle autorità tunisine la regolarizzazione delle persone subsahariane presenti nel paese che vivono una situazione di irregolarità.
Tunisi, 3 maggio 2023 – “A tutte e tutti i «clandestini nel Mediterraneo» tra i migranti e le migranti subsahariani/e partiti/e soli/e o con dei bambini, talvolta con dei neonati, su delle imbarcazioni di fortuna per raggiungere – pagando a volte con la vita – la riva settentrionale del Mare Nostrum, porgiamo le nostre scuse per tutte le umiliazioni causate.
Costretti alla partenza dagli abusi e dagli attacchi razzisti scatenati dal discorso provocatorio del Presidente, molti sono naufragati in mare e hanno visto le loro speranze schiantarsi contro i muri dell’incomprensione o inghiottite nel limbo del silenzio e della solitudine. Abbiamo avuto modo di stringere amicizie con alcune donne sfinite e svuotate dal lungo viaggio verso la Tunisia, la traversata del deserto, gli imprevisti sulle rotte, gli inseguimenti, le repressioni e le intimidazioni, le violenze, gli abusi collettivi, la tratta e lo sfruttamento.
Nel nostro percorso comune, siamo riusciti a riaccendere il desiderio per la vita, rianimare la speranza, rafforzare la volontà di battersi, ritrovare il cammino della dignità. Ma purtroppo tutto questo non è che un triste ricordo oggi: camere vuote affollate dalle vostre ombre, i vostri vestiti impilati con cura, le vostre foto di famiglia appese sui muri, le vostre valigie e le vostre borse ordinate negli armadi come ad indicare la fine del viaggio. Non avremo mai lacrime sufficienti per piangervi e rimpiangere la vostra assenza.
Come non ribellarsi alla mancanza di alternative alle politiche di esternalizzazione e di «fronte interno» di un’Europa che si ferma sulle sue stesse frontiere? Come non denunciare la marginalizzazione del nostro paese ripiegato su sé stesso e nella sua crisi identitaria? Come accettare «il rinvio dei migranti nel loro paese» dimenticando o fingendo di dimenticare che la Tunisia da ormai tanto tempo non è più solamente una terra di transito ma una terra di destinazione, un’ancora per la vita e un progetto per il futuro? Come ammettere che le persone vengono rimandate verso luoghi da cui sono scappate a causa di guerre, carestie e disoccupazione? Nel nome di cosa, di quale giustizia, di quali diritti?
Alla società civile, alle forze del paese, a tutte le persone per cui l’umanità ha ancora un senso, lanciamo questo appello per promuovere ed esigere collettivamente dalle autorità tunisine di agire con urgenza nella regolarizzazione generale delle persone migranti subsahariane in stato di irregolarità, misure a cui i nostri stessi paesi si sono opposti in passato nei paesi europei destinazione della nostra stessa diaspora.
Per questo motivo, proponiamo le seguenti misure:
- Ratificare la convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti dei migranti e delle loro famiglie
- Concedere il permesso di soggiorno a tutte le persone migranti subsahariane irregolari che soggiornino in Tunisia per periodi di ragionevole durata secondo gli standard internazionali e accettare, se necessario, contratti di locazione verbali.
- Stabilire con chiarezza la lista definitiva dei documenti necessari ai servizi amministrativi competenti e fissare delle tempistiche di risposta e di notifica ragionevoli.
- Ridurre e alleggerire i processi burocratici e le procedure di regolarizzazione e dell’ottenimento del permesso di soggiorno.
- Estendere la validità dei permessi di soggiorno in funzione della durata degli studi e dei contratti di lavoro
- Integrare le persone interessate, incluse quelle più vulnerabili, nel sistema di assistenza pubblica, di sicurezza sociale e di lotta contro le violenze intersezionali di genere, razza, sesso, classe e altre.
- Offrire accesso equo all’impiego consci che l’immigrazione, tramite apporti multipli e investimenti rappresenta un valore aggiunto allo sviluppo economico, sociale e culturale del paese.
- Adottare una legislazione sull’immigrazione e sull’integrazione che si basi sui diritti umani, le pari opportunità, la non-discriminazione e la dignità di tutti senza esclusione.
Rammentiamo alle autorità pubbliche e alla collettività tunisina il rispetto dei diritti umani e il loro dovere di ospitalità e di protezione dei non cittadini. È ormai ora che la Tunisia sia all’altezza della sua gloriosa storia: una terra africana di accoglienza e di diversità”.
Questa è la Tunisia da sostenere. Non quella securista, razzista e autoritaria dell’autocrate Kais Saied.
Il j’accuse di Amnesty International
Amnesty International ha sollecitato le autorità tunisine a mettere subito fine all’ondata di attacchi contro i migranti neri africani iniziata nei primi giorni di febbraio e aumentata dopo le parole razziste e xenofobe pronunciate dal presidente Kais Saied il 21 febbraio.
Quel giorno, durante una riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale, il presidente Said aveva fatto commenti d’odio e discriminatori, favorendo così la violenza contro i neri africani: folle di facinorosi erano scese in strada aggredendo migranti, studenti e richiedenti asilo, decine dei quali erano poi stati arrestati dalla polizia e successivamente espulsi.
Secondo il presidente Saied, “orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana” erano arrivati in Tunisia, “con la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati”: una situazione “innaturale”, parte di un disegno criminale per “cambiare la composizione demografica” e fare della Tunisia “un altro stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico”.
“Il presidente Saied deve ritrattare le sue parole e ordinare indagini per dare il chiaro segnale che la violenza razzista contro i neri africani non sarà tollerata. Deve smetterla di cercare capri espiatori per i problemi economici e politici del paese. La comunità dei migranti neri africani ha il terrore di subire arresti arbitrari o espulsioni sommarie”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
“Fino ad oggi le autorità tunisine hanno minimizzato se non negato completamente quanto è accaduto. Ora devono indagare sulle violenze della polizia contro i migranti neri africani, porre subito fine alle espulsioni e impedire ulteriori attacchi razzisti da parte di gruppi violenti o agenti dello stato”, ha aggiunto Morayef.
Dopo due settimane di negazione dei fatti e le proteste internazionali suscitate dalle parole del presidente Saied, il 5 marzo le autorità tunisine hanno annunciato “nuove misure” per favorire sia la residenza legale dei migranti che le procedure di rimpatrio “per coloro che vorranno lasciare volontariamente il paese”. Tuttavia, le violenze sono proseguite.
Amnesty International ha intervistato 20 persone attualmente a Tunisi: cinque richiedenti asilo e 15 migranti irregolari provenienti da vari stati dell’Africa subsahariana. Tutti hanno denunciato di essere stati aggrediti da folle violente e che in almeno tre mesi la polizia, pur presente, è rimasta a guardare.
Avvocati senza frontiere, un’organizzazione non governativa che fornisce aiuto legale ai richiedenti asilo e ai migranti, ha dichiarato che dall’inizio di febbraio almeno 840 migranti, studenti e richiedenti asilo neri africani sono stati arrestati in varie città della Tunisia.
Tutte le testimonianze sono state concordi nell’affermare che, dopo il discorso del presidente Saied, uomini armati di bastoni e coltelli hanno compiuto aggressioni in strada e assaltato abitazioni private. In otto casi, migranti e richiedenti asilo neri africani sono stati cacciati dalle loro abitazioni e i loro beni personali sono stati rubati o distrutti. Altri sono stati sfrattati dai proprietari dopo che erano circolate minacce che chiunque ospitasse o impiegasse “migranti illegali” sarebbe stato punito.
Amnesty International ha esaminato video e immagini dall’interno del centro di detenzione di Ouardia, a Tunisi, che mostrano agenti picchiare migranti. In un video, gli agenti trascinano un nero africano per una rampa di scale.
Negli ultimi giorni centinaia di neri africani sono stati minacciati affinché tornassero negli stati di origine. Il 1° marzo è stato rimpatriato un gruppo di guineani, il 4 marzo sono stati espulsi almeno 300 maliani e ivoriani in quelle che sono state definite “evacuazioni volontarie”.
Negli ultimi mesi i mezzi d’informazioni tradizionali e le piattaforme social hanno alimentato campagne contro i neri africani. Esponenti del Partito nazionalista tunisino, che denuncia “la grande sostituzione” demografica, sono regolarmente intervistati e promuovono le loro tesi online senza alcuna reazione da parte delle autorità.