La visita di Zuppi a Mosca ha il pregio di dimostrare l’assurdità di ogni contrapposizione ideologica. La finalità concreta era quella di ottenere segnali d’apertura sull’ipotesi, caldeggiata dal papa, di rilascio dei bambini deportati in Russia. Se ci si riuscisse sarebbe un bene per loro, per la Russia, per l’Ucraina. Se non ci riuscisse sarebbe una pessima notizia per la Russia, la sua appartenenza al mondo civile, per i bambini, per l’Ucraina, per ogni persona civile. Tenere aperti i canali di comunicazione dunque è indispensabile.
Ma più che di questo si legge di altro, troppe forme di strumentalizzazione “politica” sono possibili per non partire di qui, parlando della missione moscovita del cardinale Matteo Zuppi, inviato del papa. Innanzitutto le parole o le richieste di sostegno alla sua missione andrebbero spiegate: sostegno a cosa? Alla ricerca di un gesto umanitario o ad un piano di pace? Non esiste un piano, esiste un processo, quello di ascolto e richiesta di gesti umanitari che possano aiutare i fili a resistere, a diradare le nubi che rendono cupo il cielo europeo. Zuppi è un esploratore per conto del papa che non si arrende all’idea di uno scontro totale. A differenza di chi strumentalizza il papa non ha avuto difficoltà a indicare aggressore e aggredito. Non c’è relativismo nella posizione vaticana. Piuttosto c’è determinazione a insistere perché si accetti che è la diplomazia a poter prima o poi costruire, con il negoziato, la “pace giusta”. Ecco dunque il valore profondo della formula “ascolto e richiesta di gesti umanitari”. Per avviare un cammino occorre immaginarne i tragitti e quindi cercare di ricominciare a capirsi, a riconoscersi, a scorgere tramiti atti di umanità le possibili utilità su un terreno o su un altro. Non ce n’è solo uno. Esiste il territorio, esistono i diritti più elementari, esistono i quadri regionali di sicurezza e altro.
E’ un sentiero strettissimo quello che percorre il cardinale. L’ammutinamento dei mercenari della Wagner lo ha reso ancora più stretto. Putin ha subito una contestazione dall’unico spazio che ha lasciato, quello alla sua destra, ancora più bellicista di lui. Ovvio che debba rispondere occupandolo, negando intenzioni negoziali. A differenza di Zelenski non ha ricevuto l’inviato del papa, delegando a un suo consigliere l’incombenza. Zuppi ha potuto però ascoltare i suoi interlocutori, non secondari, e sorprende si contesti che abbia interloquito con una ricercata dalla giustizia internazionale, Maria Alekseyevna Lvova-Belova, dal 2021 la Commissaria presidenziale per i diritti dei bambini in Russia responsabile quindi dei bambini ucraini deportati verso la Russia. E’ un ricercato lo stesso Putin, incriminato per lo stesso reato. Questa è la Russia politica con la quale si deve parlare. Ma parlare non vuol dire convenire. Le parole di Lvova-Belova dopo il colloquio non dicono nulla, come nulla dice la durezza dell’ ineffabile portavoce presidenziale: “il dialogo proseguirà se necessario”. Mosca è così debole in queste ore da non poter dire ufficialmente parole sensate, annuncia dal primo luglio la cura degli omosessuali, in una spirale disperante di radicalità fondamentalista, come a farsi forza da sola.
Le rappresentazioni in bianco e nero sono sempre le più facili, ma anche le più deleterie. Questo viaggio non può essere valutato con i parametri del pro o del contro. Ma del lavoro per superare le resistenze. Che a Mosca non sono certamente poche.