Tunisia, cartoline dall'inferno: "Mi danno la caccia, ho visto la morte negli occhi"

Il razzismo non conosce frontiere, e soprattutto colore. Ma quello verso i neri è praticamente universale. La Tunisia non fa eccezione anche perché il Paese è invaso dagli immigrati subsahariani

Tunisia, cartoline dall'inferno: "Mi danno la caccia, ho visto la morte negli occhi"
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1 Luglio 2023 - 18.28


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La paura negli occhi di chi dopo essere fuggito da un inferno, si ritrova a doversi difendere da una caccia all’uomo. 

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Cartoline dalla Tunisia dove impera la caccia all’uomo nero

A raccontarlo è un bel reportage di SkyTg24 di Jacopo Arbarello.

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“Il razzismo non conosce frontiere, e soprattutto colore. Ma quello verso i neri è praticamente universale. La Tunisia non fa eccezione anche perché il Paese è invaso dagli immigrati subsahariani che vogliono raggiungere l’Europa. Abbiamo chiesto a Ibrahim, che è arrivato a Sfax dopo essere partito dalla Guinea Conacry due anni fa, se sia difficile avere la pelle nera in Tunisia e questo è quello che ci ha risposto: “Ci causa molti problemi. Noi stessi ci chiediamo molto perché Dio ci abbia dato questo colore perché siamo denigrati in tutti i Paesi arabofoni”.

Il discorso, che può essere definito razzista, del presidente tunisino Kais Saied sulla sostituzione etnica, a febbraio, ha aggiunto benzina sul fuoco: “L’afflusso di un grande numero di migranti irregolari subsahariani in Tunisia è un piano criminale preparato dall’inizio di questo secolo per cambiare la composizione demografica della Tunisia, alterando le radici arabe e musulmane”. Dopo queste parole del presidente, nel Paese, e soprattutto a Sud, si è scatenata un’onda di attacchi contro gli immigrati subsahariani, e una fuga di chi ha potuto, verso l’Europa e verso i propri Paesi d’origine.

La paura e le conseguenze di questi attacchi sono ancora negli occhi di chi li ha subiti. Un altro ragazzo della Guinea ci racconta quello che ha vissuto: “Dopo le polemiche sul discorso del presidente ho perso il lavoro e fino ad oggi non l’ho più trovato. È difficile per noi che abbiamo la pelle nera”. Un muratore che incontriamo a Zarzis invece spiega come a febbraio sia dovuto scappare da Tunisi, la capitale, fino all’estremo Sud perché il proprietario di casa li ha messi alla porta e non avevano più un’abitazione. Infine Aisha, che fa la venditrice ambulante davanti alla Medina di Sfax, si lamenta della polizia: “Noi veniamo qui per provare a fare qualche soldo, ma la polizia ci dà la caccia continuamente, c’è molto razzismo”.

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Ma non sono solo gli ultimi, quelli che arrivano a piedi dal deserto, ad aver sofferto e patito, ad aver provato il terrore degli attacchi razzisti sono stati anche gli africani con regolare permesso di soggiorno come ci racconta il responsabile dell’associazione degli studenti africani, che ci fa anche vedere le foto di chi ha subito violenza a colpi di coltello e anche di spada. Poi Wester Mombo, direttore dell’Associazione degli studenti e degli stagisti africani in Tunisia, ci spiega come sono stati vissuti quei giorni e ci fa anche vedere le foto delle aggressioni: “Le persone non si sentono sicure, hanno molta paura. Dopo il discorso del presidente abbiamo vissuto una carneficina totale, una grande confusione, nel senso che anche quando camminavi per strada la gente ti urlava: nero, africano! È stato un discorso che ha portato molto odio nei cuori di molti, anche se poi hanno voluto rettificare il tiro. Ma noi abbiamo aperto anche degli sportelli psichiatrici per aiutare i nostri studenti a gestire il trauma che hanno vissuto”.

Il razzismo ha tante forme, e in Tunisia quello verso gli africani subsahariani sembra ormai averle assunte quasi tutte. Ibrahim ad esempio ci spiega che adesso a Sfax per un migrante africano è quasi impossibile prendere l’autobus, perché gli autisti si rifiutano di far loro il biglietto. Traorè invece, che viene dal Mali, trae le sue conclusioni: “Sono o non sono condannato? Sono condannato. E allora se trovo qualcuno che mi fa attraversare il Mediterraneo perché No? Partirò, mi prenderò questo rischio, perché tanto anche qui in Tunisia rischio tutti i giorni, appena esci di casa gli arabi possono aggredirti in qualsiasi momento, con i coltelli e anche in gruppo. È difficile anche solo procurarsi da mangiare. Ogni giorno ti chiedi se tornerai a casa sano e salvo”.

Aiutare l’autocrate? I tanti e motivati “No”.

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Di grande interesse è il report per affariitaliani.it a firma Akram Ezzamouri e Miriam Zenobi, che dà conto del confronto a più voci in un seminario di spessore. 

“A fronte delle crescenti preoccupazioni per la stabilità finanziaria della Tunisia e dell’aumento dellepartenze di migranti verso l’Europa, le istituzioni dell’Unione europea (Ue) e gli Stati membri faticano a definire nuove forme di cooperazione, condizionalità o assistenza da adottare nelle relazioni con le autorità tunisine. Davanti alla difficile situazione di dover coinvolgere la Tunisia senza sostenere ulteriori tendenze di consolidamento autoritario, i principali Stati membri hanno manifestato il loro appoggio a un pacchetto di sostegno economico di emergenza del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Sebbene il recente impegno rifletta la costante preoccupazione dell’Ue per la gestione dei flussi migratori, la politica europea non può perdere di vista il regresso democratico in corso nel Paese dal 2021 e la necessità di riforme strutturali socio-economiche e politiche.

In tale contesto, l’Istituto Affari Internazionali ha organizzato un seminario online dal titolo “Re-Framing EU-Tunisia Relations” per discutere le dinamiche presenti e future delle relazioni UE-Tunisia, esplorare possibili soluzioni di lungo termine e offrire una panoramica completa delle sfide politiche, economiche e di governance che affronta la Tunisia, ridefinendo al contempo le narrazioni europee sul Paese. L’incontro ha ospitato Tarek Megerisi, Senior Policy Fellow presso lo European Council on Foreign Relations; Alissa Pavia, Associate Director per il Nord Africa presso l’Atlantic Council; eRiccardo Fabiani, Direttore del progetto Nord Africa presso il Crisis Group. 

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Il presunto dilemma dell’Ue tra stabilità e democrazia

L’approccio dell’Ue sembra fondarsi sulla convinzione che sia imperativo e urgente stabilizzare la situazionein Tunisia, anche a rischio di compromettere la transizione democratica che il Paese aveva intrapreso. In quest’ottica, la scelta di affidarsi al Presidente Kais Saied è dettata dal presupposto che la sua leadership possa contribuire alla stabilizzazione del Paese tanto dal punto di vista economico-finanziario quanto nell’impegno a contrastare il fenomeno migratorio verso l’Europa.

Tuttavia, come sottolineato da Tarek Megerisi, questa prospettiva non prende in considerazione che la politica di Saied sembra essere incentrata unicamente sulla sua missione messianica volta a correggere la rivoluzione. Sebbene affermi di voler ripristinare la democrazia e dare voce alla volontà del popolo, le sue stesse azioni dimostrano un allarmante disprezzo per i principi democratici, rifiutando sistematicamente le libertà fondamentali e lo stato di diritto quando si oppongono alla sua agenda. Nonostante il suo progetto abbia inizialmente attratto il sostegno della popolazione, alla fine si è rivoltato contro di essa, compresi coloro che un tempo erano i suoi più stretti alleati, impegnandosi in una vasta campagna di arresti a tappeto contro oppositori politici, giudici, giornalisti e rappresentanti della società civile.

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In definitiva, Saied non ha le competenze necessarie per gestire efficacemente lo Stato. Lassenza di un progetto politico chiaro spiega le decisioni politiche erratiche basate su cospirazioni piuttosto che su chiare strategie di risoluzione dei problemi del Paese, rendendo le sue azioni estremamente imprevedibili.

La fiducia dell’Ue in Saied come garante della stabilità in Tunisia appare quindi mal riposta. La mancanza di competenza, l’assenza di un’agenda politica coerente, l’incessante caccia alle streghe atta a colpire il dissenso e trovare un capro espiatorio per i problemi del Paese, e il calo del sostegno popolare al Presidente suggeriscono che affidarsi all’attuale traiettoria di Saied significa scommettere su un aumento dei disordini e dell’imprevedibilità.

Il mito dell’accordo FMI come panacea

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Alissa Pavia evidenzia come i problemi economici della Tunisia, aggravati dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, includano un deficit di bilancio vertiginoso, un’inflazionedilagante e una grave carenza di beni di prima necessità, come cibo e carburante.

Nel contesto dell’attuale crisi economica tunisina, l’Italia mostra forte convinzione che un piano di aiuti finanziari possa da solo stabilizzare il Paese, frenare la migrazione e affrontare i principali problemi socio-economici. Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela una maggiore complessità della situazione.

Nel 2022 il governo tunisino e il Fondo Monetario Internazionale hanno annunciato di aver raggiunto un accordo preliminare per un prestito– il terzo in 10 anni – di 1.9 miliardi di dollariper sostenere l’economia del Paese. Tuttavia, come sottolineato da Riccardo Fabiani, l’imprevedibilità del Presidente Kais Saied, epitomizzata dal suo inaspettato rifiuto di accettare le condizioni del FMI, aggiunge costi politici e sociali a qualsiasi potenziale accordo.

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Fabiani suggerisce che, se è vero che le condizionalità del FMI potrebbero avere un impatto negativo sproporzionato sulla popolazione, uno scenario di no-deal non porterebbe necessariamente a un collasso completo simile alla situazione in Libano. In effetti, l’economia tunisina ha un’esposizione limitata ai flussi finanziari internazionali e la maggior parte del debito estero è detenuto da organizzazioni multilaterali o da creditori internazionali, il che riduce il rischio di un collasso bancario.

Per quanto impegnativa, quella che potrebbe emergere da uno scenario di no-deal sarebbe una situazione gestibile, potenzialmente supportata da finanziamenti di emergenza e misure di liquidità durante i negoziati di ristrutturazione, sostiene Fabiani. La ristrutturazione del debito, che potrebbe comportare uno sconto sul debito estero della Tunisia, volendo, può anche incentivare dei comportamenti desiderati da parte di Saied, come lo smantellamento dei gruppi di vigilantes e la tutela delle minoranze. In definitiva, secondo Fabiani, l’Europa e la comunità internazionale devono essere preparate a tutti i possibili esiti e pronte a offrire assistenza in un coordinamento rafforzato, al fine di colmare interessi diversi e allo stesso tempo trovare collaborazioni con i principali attori regionali nella gestione della crisi.

La falsa preoccupazione della presunta minaccia russa e cinese

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Si è diffusa la convinzione che il mancato salvataggio della Tunisia avvicinerà il Paese alla Cinae alla Russia. Tuttavia, le considerazioni emerse nell’incontro suggeriscono che, nonostante i tentativi del Presidente Saied di corteggiare sia Pechino che Mosca, il fascino di un impegno sostanziale da parte di queste capitali rimane discutibile.

Secondo Megerisi, ad esempio, l’attuale contesto globale suggerisce che la Russia è impegnata in altre questioni più urgenti. Per quanto riguarda la Cina, il suo approccio agli investimenti si basa principalmente sulla garanzia di rimborso e sull’assicurazione di beni di valore come garanzia. Attualmente, le difficoltà finanziarie della Tunisia non sono in linea con le preferenze di investimento della Cina, che ha quindi chiarito pubblicamente che l’accordo con il FMI è l’unica via d’uscita dal rischio di default di Tunisi.

D’altra parte, come osserva Pavia, i Paesi occidentali, in particolare l’UE, dovrebbero essere più preoccupati per il potenziale fallimento della transizione democratica della Tunisia. Avendo investito in modo significativo negli sforzi di democratizzazione del Paese, dovrebbero evitare che un fallimento della transizione comprometta la loro narrazione internazionale secondo cui le democrazie nascenti possono avere successo con un sostegno adeguato.

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Scenari futuri incerti e riforme necessarie

Secondo i relatori, gli scenari futuri per la Tunisia sono incerti. Sebbene si tenda a immaginare implosioni catastrofiche e proteste esplosive, potrebbe manifestarsi un esito più modesto ma ugualmente impattante. Il peggioramento dell’economia e l’incapacità del Presidente Saied di affrontare le pressanti questioni socio-economiche potrebbero portare a una maggiore pressione da parte dei tunisiniper una soluzione, ha affermato Megerisi. Tuttavia, la mancanza di un’opposizione politicaè un problema che può limitare le opportunità di un cambiamento significativo, poiché ostacola l’emergere di traiettorie alternative.

Alla luce dei recenti sviluppi, è fondamentale rivalutare l’approccio transazionale dell’UEvolto a comprare il favore del vicino mediterraneo per impedire ai migranti di raggiungere le coste italiane. Pavia richiama, infatti, l’attenzione su come la condotta altalenante di Saied e le dichiarazioni allarmanti che collegano i migranti subsahariani alla teoria della sostituzione etnica abbiano puntualmente intensificato le partenzeverso l’Italia. Piuttosto che aiutare la Tunisia a trattenere i migranti, ha aggiunto, è fondamentale condannare tali affermazioni. Solo sostenendo la transizione democratica della Tunisia, l’UE può favorire un ambiente in cui le persone siano propense a rimanere nel lungo periodo.

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Invece di concentrarsi sulle attività di polizia e di controllo, è urgente rendersi conto che la mancanza di una visione politica per una riforma socio-economica di lungo termine e l’allontanamento dalla transizione democratica non solo peggioreranno le prospettive finanziarie della Tunisia, ma destabilizzeranno ulteriormente il Paese e aumenteranno i flussi migratori attraverso il Mediterraneo”.

Analisi puntuali, riflessioni allarmate, sollecitazioni a cambiare verso che provengono da persone preparate e di certo non estremiste. Andrebbero ascoltate. Ma da questo orecchio i securisti al governo a Roma (e non solo loro in Europa) non ci sentono proprio. E come dice il vecchio adagio “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. Vero presidente Meloni?

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