Droni turchi contro postazioni della Wagner. La minaccia di un blocco petrolifero. Tutti contro tutti. E’ il caos libico. Che Roma fa finta di non vedere.
Tutti contro tutti
Scrive Emanuele Rossi in una documentata analisi su formiche.net: “Una fonte del ministero della Difesa libico ha rivelato ad Arab 21 che droni appartenenti al Governo di unità nazionale (Gnu) hanno bombardato siti del gruppo russo presso la base di Kharouba nell’est del Paese. Si tratta dell’aeroporto militare noto come al Khadim, centro della protezione aerea che unità russe, emiratine ed egiziane avevano fornito al tentativo di conquista di Tripoli che il capo miliziano di Bengasi, Khalifa Haftar, aveva lanciato tra aprile 2019 e ottobre 2020.
La circostanza è sorprendente, anche se le notizie non sono ufficialmente confermate: anzi, dalla Cirenaica arrivano già smentite. La fonte di Arabi 21 — un sito piuttosto seguito, basato a Londra — sostiene che siano stati usati dei velivoli senza pilota da attacco al suolo di fabbricazione turca. Nello specifico gli Akinci, ricevuti dal governo libico tramite l’accordo di cooperazione militare siglato con Ankara (lo stesso che ha permesso al precedente governo di Tripoli di respingere l’assalto di Haftar).
La base di al Khadim, a est di al Marj, è una delle postazioni logistiche utilizzate dal gruppo mercenario russo che la scorsa settimana ha sfidato il potere putiniano. L’infrastruttura è molto controllata dalle intelligence occidentali, innanzitutto dalla Cia. Quando nei mesi scorsi il capo dell’agenzia, William Burns, era andato in missione in Libia aveva incontrato sia il premier Abdelhamid Dabaiba che Haftar con il tentativo di trovare il modo di estromettere la Wagner dal Paese — a cominciare da al Khadim.[…]Dall’Est libico sono arrivate varie smentite sul presunto bombardamento. Fonti spiegano che la situazione non è chiara, ma quanto accade significa che ci sono interessi nel complicare il quadro attuale. Se l’attacco fosse stato realmente condotto, allora significherebbe che il cessate il fuoco tra le forze haftariane e quelle tripolitane potrebbe guastarsi — a meno che effettivamente Haftar non sia d’accordo di lasciar colpire le postazioni russe. Se non fosse avvenuto, resta comunque che qualcuno sembra interessato ad alterare gli equilibri attraverso la diffusione di informazioni false.
Non sarebbe sorprendente. “Nonostante il ritiro di alcuni gruppi armati, compresi le milizie della Wagner e i mercenari della Siria, nel futuro imminente nulla suggerisce che la Libia sarà libera da influenze straniere”, ha dichiarato nei giorni scorsi Stefano Turchetto, comandante dell’operazione “Irini” in audizione al Parlamento europeo per aggiornare gli eurodeputati sugli sviluppi della missione lanciata per contrastare il traffico di armi da e verso la Libia. Ossia: ingerenze e potenziali destabilizzazioni sono possibili anche da altre forze politico-militari oltre alla Wagner.
È inoltre possibile che in questo momento ci sia il tentativo di approfittare della fase caotica attorno al futuro della società di Prigozhin per regolare qualche conto. Wagner in Libia, e più in generale in Africa, è considerata una presenza destabilizzante, ma al punto di dover essere colpita in una fase di incertezza? “La situazione è molto delicata perché queste notizie, che siano vere o false, sono comunque un fattore destabilizzante”, risponde Karim Mezran, senior fellow all’Atlantic Council e tra i massimi esperti del puzzle libico. “Il rischio — aggiunge — è che attori interni e potenze regionali cerchino di approfittare dell’apparente caos attorno ai contractor militari russi per guadagnare presa e posizioni. Ma questo apre a scenari preoccupanti, perché la possibilità di botta e risposta che avviino il ritorno dei combattimenti, in Libia, c’è sempre”.
Il bilanciamento delle forze straniere nel Paese, siano esse turche, della Wagner o delle milizie del Sudan, del Ciad e del Niger, ha rappresentato un fattore di tenuta dello stesso cessate il fuoco raggiunto il 20 ottobre del 2020. Matteo Bressan, docente di Studi Strategici presso Lumsa Master School e analista del Nato Defense College Foundation ricorda che più volte, nei suoi reiterati tentativi, l’inviato speciale dell’Onu e capo missione Unsmil, Abdulaye Bathily, ha evidenziato come il ritiro di tutte queste forze straniere sia essenziale nel processo di stabilizzazione libica.
“Questo è un presupposto che viene ancora prima di accertare cosa sia realmente accaduto nella base aerea di Al Khadim. Al tempo stesso, dobbiamo anche tenere a mente che nessun attore esterno ha interesse a fare il primo passo, avvantaggiando così gli altri competitor. Inoltre, indipendentemente da quelle che saranno le sorti della Wagner e i suoi rapporti con gli apparati di sicurezza della Russia, l’impronta di Mosca in Africa continuerà ad essere un vettore imprescindibile di politica estera”.
Bressan sottolinea che questa è una costante della politica del Cremlino che continua ad allarmare non poco gli Stati Uniti — con il comando regionale del Pentagono, AfriCom, molto attivo anche sulla Libia — e che “ha visto la Wagner protagonista di campagne di disinformazione nei confronti della Francia funzionali a penetrare sempre di più nel continente africano, esportando il suo modello di controinsurrezione. Non è quindi un caso che pochi giorni fa il Ministro degli Esteri [Sergei] Lavrovabbia ribadito la prosecuzione delle attività degli istruttori russi (senza nominare la Wagner) in Mali e nella Repubblica Centrafricana, così come la preparazione del prossimo Russia-Africa Summit previsto per la fine di luglio”.
Lo spettro del blocco dell’oro nero
Da un documentato report di Agenzia Nova: “Torna in Libia lo spettro del blocco del petrolio, principale fonte di sostentamento dello Stato nordafricano. Le autorità dell’est del Paese, infatti, hanno minacciato di fermare i pozzi della Mezzaluna petrolifera, area ricca di idrocarburi a ridosso del Golfo della Sirte, per protesta contro l’ovest, accusato di trattenere i fondi. Un braccio di ferro che rischia di avere un impatto sui prezzi del paniere Opec e sull’Italia, che nel solo mese di aprile ha acquistato ben 6 milioni di barili di prezioso greggio libico leggero (secondo fornitore dopo l’Azerbaigian). Intanto, gli Stati Uniti, tramite l’inviato speciale e ambasciatore Richard Norland, hanno esortato “gli attori politici libici ad abbandonare le minacce di una chiusura petrolifera che sarebbe altamente distruttiva per l’economia della Libia e danneggerebbe tutti i libici”. Parole che però non sono piaciute a 76 membri della Camera dei rappresentanti, il foro legislativo basato nell’est del Paese, che in una dichiarazione hanno accusato Norland di essersi “schierato” con l’ovest e di aver “interferito negli affari interni” libici. In una dichiarazione rilanciata dall’emittente televisiva “Libya al Hadath”, affiliata al network saudita “Al Arabiya”, i parlamentari libici hanno espresso il proprio sostegno alla volontà espressa dal cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn), l’esecutivo libico non riconosciuto dall’Onu e con sede nell’est del Paese, di sequestrare i proventi petroliferi per “difendere le risorse dei libici, porre fine alla corruzione dilagante nello Stato, culminata con il sequestro amministrativo delle entrate petrolifere”. Bisogna ricordare che dal febbraio 2022 la Libia è divisa in due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Adulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica. Quest’ultimo, sostenuto dal parlamento dell’est, ha minacciato di bloccare le esportazioni di idrocarburi se non sarà garantita un’equa distribuzione dei proventi della National Oil Corporation (Noc), la compagnia nazionale per gli idrocarburi. Quest’ultima, peraltro, ha i fondi per il 2023 che sono ancora bloccati dalla Banca centrale libica con sede a Tripoli.
Intanto, il ministro del Petrolio e del gas del governo di unità nazionale della Libia, Mohamed Aoun, ha espresso la sua preoccupazione per i ripetuti inviti a bloccare la produzione di petrolio nel Paese, affermando che “la popolazione sarà la prima ad essere colpita se ciò accadrà, sia attraverso la perdita di clienti importatori di petrolio, sia a causa del blocco della produzione delle centrali elettriche, il che significa che la situazione sarà negativa”. Aoun ha avvertito, in una dichiarazione ripresa quotidiano “Asharq al Awsat”, delle ripercussioni negative della chiusura di qualsiasi porto o giacimento, definendoli “gravi, visto che la Libia sta producendo oggi grandi quantità di petrolio che sfiorano 1,2 milioni barili al giorno, oltre alla produzione di 2,7 miliardi di piedi cubi di gas al giorno, di cui 300 milioni vengono esportati giornalmente”. Aoun ha anche chiarito che il ripetersi della minaccia di bloccare la produzione del petrolio espone la possibilità di una perdita irreversibile dei clienti importatori, a causa del loro timore di instabilità nelle forniture e della capacità della Libia di adempiere ai contratti. Inoltre, ha proseguito Aoun, un eventuale dichiarazione dello stato di forza maggiore costringerà gli importatori alla ricerca di alternative, nonostante il perdurare della crisi energetica globale a seguito dell’attuale conflitto in Ucraina.
In Libia si sono verificati diversi blocchi petroliferi dopo la rivoluzione del 2011 che ha deposto il colonnello Muammar Gheddafi. L’oro nero libico, molto prezioso perché a basso contenuto di zolfo, è stato sovente usato come strumento di pressione per ottenere guadagni politici o economici da parte delle milizie, politici e perfino criminali comuni. L’ultimo blocco in ordine di tempo è stato rimosso circa un anno fa grazie alla nomina di un nuovo presidente della Noc, Farhat Bengdara, frutto di un compromesso tra l’est e l’ovest. Un nuovo stop ai pozzi ora priverebbe lo Stato libico di introiti e valuta estera, danneggerebbe le infrastrutture petrolifere compromesse da anni di incuria, causerebbe gravi danni ambientali e diffusi blackout nel Paese, e minerebbe gli sforzi del Paese verso la riunificazione e le elezioni”.
Il miraggio della stabilizzazione
Annota Eric Molle per Agc news: “Nel corso della settimana appena trascorsa, i due eventi principali in Libia, colmi entrambi di significato, sono stati i festeggiamenti dell’Aid al Adha e il possibile sviluppo di una nuova crisi relativo alle attività petrolifere. Entrambi i casi sono l’esempio della crisi politica ed economica che colpisce la Libia nel disinteresse della comunità internazionale e dei paesi vicini in generale.
Nel primo caso non solo sono stati identificati i soliti eccessi nei prezzi poi calmierati dai doni dei governi che sono più propaganda che soluzione, come avviene anche in altri ambiti. Nel secondo invece si esprime tutta l’inutilità di un processo politico in cui credevano solo i più ingenui ed esplosa con il fallimento del comitato 6+6. Lo status quo che si era venuto a creare, non per le negoziazioni politiche ma per il voluto accordo tra il clan Dabaiba e il clan Haftar, non sta reggendo i colpi del mancato accordo politico e soprattutto le denunce dei giorni scorsi dell’Autorità di Controllo Amministrativo che hanno indicato chiaramente lo sperpero di risorse pubbliche da parte del Gnu. Il governo di Abdulhamid Dabaiba non solo ha continuato lo scenario corruttivo, di malversazione e appropriazione indebita già denunciato negli anni precedenti, bensì non ha fatto nulla per cambiare rotta peggiorando di fatto la situazione. Quindi era attesa la decisione emessa dal Gns di Hammad, su spinta della famiglia Haftar, di bloccare le attività petrolifere e di chiedere una reale suddivisione delle entrate relative.
Di fondo si tratta di una storica richiesta delle Laaf e lo è stata anche per il Gns di Fathi Bashagha, ed era quindi attesa. Per ora il blocco non è stato ancora intimato e realizzato, ma potrebbe diventare chiaramente uno strumento di pressione decisiva su Dabaiba perché non solo ne limiterebbe la capacità di spesa/sperpero e causerebbe interruzioni di produzione e erogazione di energia elettrica. La questione elettrica è sempre stata un suo cavallo di battaglia e la principale rivolta che lo ha fatto realmente vacillare fu proprio per la mancanza di energia elettrica durante l’estate scorsa, quindi l’est ha in gran parte il coltello dalla parte del manico questa volta e bisognerà vedere come si evolverà la situazione considerando che il presidente della Noc, Farhat bin Qadara, ha promesso dimissioni, nonostante sia emanazione della famiglia Haftar e degli Emirati Arabi Uniti e rappresenti con il direttore della società elettrica al Mashai forse l’unico amministratore degno di nota. Non è escluso che per tale motivo bin Qadara possa essere in odore di nuovo capo del governo per traghettare il paese verso le elezioni, avendo egli la fiducia di entrambi clan che lo hanno messo fino ad ora a capo della Noc.
Dall’altra parte, Parlamento e Consiglio di Stato hanno abituato libici ed osservatori esterni a saper giocare le carte giuste al momento giusto quando percepiscono che stanno perdendo lo slancio per il momentum di mantenimento dello status quo che gli permette di rimanere al potere senza passare per le elezioni. In effetti, dopo aver esaurito le carte facendo fallire l’accordo del comitato 6+6, le discussioni con il Rappresentante delle Nazioni Unite, Abdoulaye Bathily, il processo elettorale, dopo aver rilanciato senza ottenere supporto la creazione di un nuovo governo che porti il paese ad elezioni, le due istituzioni rappresentative hanno dovuto tirare fuori dal cappello, con facilità e ottima tempistica bisogna ammetterlo, un cavallo di battaglia come le posizioni sovrane. In effetti, il Parlamento ah votato la nomina di membri e presidenti della Corte Costituzionale. Ovviamente il Consiglio di Stato, guidato principalmente dai propri membri legati ai Fratelli Musulmani, si è scagliato contro la decisione per infrazione dell’Accordo Politico Libico – Lpa di Skhirat (2015). Anche alcuni parlamentari hanno manifestato la propria contrarietà, ovviamente dopo aver votato. Così facendo però, le due istituzioni si sono garantite il teatrino della politica almeno per i mesi estivi e il mantenimento dello status quo, tanto il paese ha altre problematiche in questo momento da risolvere, in primis la crisi delle attività petrolifere.
Con queste premesse il premier Gns, Osama Hammad, ha discusso con il presidente della Noc, Farhat bin Qadara, del meccanismo per attuare la decisione del parlamento sulla distribuzione della ricchezza nazionale. L’ex portavoce del Consiglio presidenziale, Muhammad al Sallak, ha indicato che lo stato dovrebbe distribuire la ricchezza nazionale a tutte le regioni in conformità con la dichiarazione costituzionale.
Mercoledì scorso, Bayou ha confermato che il governo libico potrebbe dover riconfigurare il consiglio di amministrazione della Noc, se Farhat bin Qadara non riuscisse nelle sue funzioni. Il governo libico sarebbe in grado, per legge, di assegnare e nominare una guardia giudiziaria sui conti della Noc presso la Libyan Foreign Bank. Bayou ha aggiunto che nel caso in cui la guardia giudiziaria non fosse in grado di svolgere i suoi compiti, fermare la produzione e le esportazioni di petrolio diventerà l’ultima opzione fino a quando i conti non saranno in equilibrio. Inoltre, Bayou ha sottolineato che La Noc non può essere lasciata nella morsa di gruppi armati che obbediscono agli ordini di un governo non nazionale a Tripoli e le cose devono essere riportate alla normalità.
Secondo quanto riferito da un account locale, l’incontro tra Hammad e bin Qadara è stato il test più importante per il capo della Noc per i suoi sforzi e garanzie per il settore. La fase più importante sarà capire la posizione degli Haftar con Belqasim che vuole la sua testa, ma Saddam e addirittura il padre che lo sostengono. Di fatto Hammad è affamato di soldi per il suo governo e ha intavolato una discussione di meccanismo per la consegna del 27% delle entrate al Gns. Quindi sono iniziate a circolare voci sui social di possibili dimissioni di bin Qadara ribaltando la situazione. Un account locale cita fonte del Gnu secondo la quale il capo della Noc bin Qadara avrebbe presentato dimissioni dopo l’incontro con Hammad. Sarebbero in corso tentativi delle persone vicine a Dabaiba di dissuaderlo, ma sarebbe già pronto il suo rimpiazzo con l’ingegnere Hussein Saffar, già membro del Cda. Le dimissioni – conclude Molle – arriverebbero dopo la richiesta dei figli di Haftar di chiudere i giacimenti”.
E questo sarebbe un Paese pacificato! Ma chi vuol prendere in giro, presidente Meloni.