Il deserto della morte. Sei cadaveri non identificati appartenenti a migranti illegali africani sono stati trovati nel deserto libico, al confine con la Tunisia: lo ha reso noto su Facebook il ministero dell’Interno di Tripoli.
Il 29 luglio, “nonostante le alte temperature nel Paese”, le pattuglie che perlustrano l’area che si estende da Dhahrat Al-Khas Point a Taweel Taher Point, hanno scoperto sei cadaveri non identificati appartenenti a migranti irregolari di nazionalità africana”.
“Uno si trovava vicino all’area di Al-Assa, due a Dahrat Al-Khas e tre nell’area di Al-Jbeibina, vicino alla linea del confine con lo Stato tunisino”, si legge nella nota.
Decine di migranti subsahariani hanno lanciato appelli per essere soccorsi in una zona del deserto tra la Libia e la Tunisia dove da alcune settimane le autorità tunisine li hanno deportati lasciandoli senza niente. “Stiamo morendo, stiamo morendo di minuto in minuto”, ha detto un uomo nigeriano di 43 che ha voluto essere indicato solo con il suo nome, George. “Per favore, vi imploro, portateci via da qui, venite e salvateci da questo posto”.
Il 25 luglio il ministro dell’interno libico ha dichiarato che sono stati trovati i cadaveri di cinque migranti africani vicino al confine con la Tunisia. E secondo le guardie di frontiera, i migranti e gli operatori delle ong questo gruppo di quasi 140 migranti subsahariani è solo l’ultimo di una serie di persone deportate dalla Tunisia ai confini con la Libia o l’Algeria.
“Non sappiamo dove ci troviamo. Siamo senza cibo e senza acqua”, ha continuato George parlando da dietro le reti e il filo spinato che delimitano un campo per migranti a 30 metri dal posto di frontiera di Ras Jedir, sulla costa. L’uomo ha detto di aver lavorato come barbiere per un anno a mezzo nella città tunisina di Sfax, dove ha lasciato la moglie con un figlio piccolo: “La polizia tunisina ci ha puntato contro le armi e ha detto che siamo terroristi”.
Abbandonati nel nulla
Una volta lasciati alla frontiera, le autorità libiche impediscono ai migranti di entrare nel territorio, tenendoli bloccati nel nulla, negli stessi giorni in cui il Nordafrica e il Mediterraneo sono colpiti da un caldo estremo.
Un’altra migrante, che fornisce solo il suo nome, Fatima, 36 anni, proveniente dal Niger, racconta che i militari tunisini “ci hanno tolto tutto”, inclusi i telefoni, prima di lasciarli lì. Alcuni mostrano piccoli pezzi di carta con messaggi scritti a mano, uno chiede aiuto all’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), in un altro si legge: “Siamo esseri umani”.
All’inizio di luglio, centinaia di migranti dell’Africa subsahariana sono stati deportati da Sfax in seguito as attacchi razzisti compiuti contro di loro in seguito alla morte di un tunisino avvenuta in uno scontro tra abitanti e migranti.
Nel suo punto più vicino all’Italia, nei pressi di Sfax, la Tunisia dista solo 130 chilometri via mare dall’isola di Lampedusa, e dalle sue coste partono decine di migranti e profughi che cercano di arrivare in Europa affrontando pericolosi traversate su imbarcazioni di fortuna.
Mubarak Adam Mohamad, 24, spiega di essere fuggito dalla guerra in Sudan verso la Libia prima di raggiungere la Tunisia: “Mi ha arrestato la polizia di Sfax e poi mi hanno portato qui con la forza”, racconta lanciando un appello “alle organizzazioni locali e internazionali” perché vengano a salvarli.
L’associazione umanitaria Medici del mondo ha chiesto alle autorità tunisine di facilitare l’accesso dei soccorsi: “Queste persone si trovano in una situazione di estrema vulnerabilità”, dichiara un comunicato. L’ong
Human Rights Watch afferma che nel mese di luglio almeno 1.200 persone dell’Africa subsahariana sono state “espulse o traferite con la forza dalle forze di sicurezza tunisine” nel deserto al confine con la Libia e l’Algeria.
Alla metà di luglio, la Mezzaluna rossa tunisina ha dichiarato di aver soccorso almeno 630 migranti portati dopo il 3 luglio a Ras Jedir, al nord di Al Assah. Attraverso l’organizzazione umanitaria, i libici hanno fatto arrivare un po’ di cibo e di acqua che i migranti dividono tra loro.
Pescatori-pirati
“Sono diversi i pescherecci che depredano, con veri e propri blocchi navali, i barchini carichi di migranti. Pirati che portano via quelli che sono i beni più preziosi, cioé il motore della carretta che resta alla deriva, ma anche contanti e cellulari, quindi quello che serve per chiedere aiuto e soccorso”. Lo ha detto il procuratore capo facente funzioni ad Agrigento Salvatore Vella durante la conferenza stampa per il fermo di 4 tunisini, comandante ed equipaggio di un peschereccio tunisino. I fermati sono stati trovati in possesso di due motori rubati ai barchini, 5 cellulari e del denaro e sul peschereccio non c’era nè pesce, nè reti per la pesca.
“E’ difficoltoso, da un punto di vista di polizia giudiziaria, sia per il numero di sbarchi e di migranti che arrivano a Lampedusa, lavorare sull’isola. E questo perché la priorità è l’alleggerimento dell’hotspot – ha aggiunto il procuratore Vella – Mancano gli interpreti, sull’isola abbiamo i migliori investigatori, ma se non abbiamo interpreti non riusciamo a sentire e capire i migranti. Ma mancano anche i mediatori culturali, indispensabili per agganciare ogni possibile sfaccettatura dei racconti. E’ stata un’attività corale che – ha concluso – ha coinvolto guardia costiera, perché tutto nasce come evento Sar di 3 barchini, poi è intervenuta la guardia di finanza e poi c’è stato l’intervento della squadra mobile”.
Fermato da due pescherecci, che gli hanno tagliato la rotta sia a poppa che a prua, impedendogli di scappare, per rubare prima il motore e poi successivamente cellulari e soldi. Ad accertarlo, documentandolo anche con riprese video, sono state le investigazioni della sezione operativa navale della guardia di finanza di Lampedusa, i militari della Guardia costiera di Lampedusa, la Squadra Mobile, tutti coordinati dal procuratore reggente di Agrigento Salvatore Vella.
“No alla criminalizzazione dell’intera marineria tunisina, ma ci sono diversi pescherecci che si sono dedicati a queste attività illegali – ha spiegato il procuratore Vella – . Stiamo ragionando di un reato (pirateria) che, in Italia, ha un’unica sentenza su un episodio che è avvenuto al largo della Somalia diverso tempo fa. Quindi stiamo creando giurisprudenza, abbiamo avuto un’interlocuzione proficua con il gip perché si pone il problema di capire in cosa consista la pirateria in mare. Il nostro gip, Iacopo Mazzullo, ha riconosciuto l’attività di pirateria nella sottrazione del motore, fatto con violenza e minacciando con coltelli i migranti. Invece la consegna di cellulari e denaro sono avvenuti come una sorta di contrattazione, cioè l’equipaggio del peschereccio tunisino che ha base a Monastir, quindi distante da Sfax, – ha ricostruito Vella – ha chiesto la consegna di cellulari e denaro in cambio di un traino per farli avvicinare a Lampedusa. Traino che diventava fondamentale visto che il barchino non aveva più il motore, quindi li ha costretti a consegnare denaro e contanti. Dopo che hanno ricevuto denaro e cellulari, che sono stati ritrovati a bordo del motopesca, li ha trainati per un alcuni minuti e poi li ha abbandonati. Il gip di Agrigento ha qualificato questa condotta (relativa al furto di denaro e cellulari ndr.) come estorsione aggravata, reato sul quale noi non avremmo la giurisdizione perché è avvenuto tutto in acque internazionali”.
Veri propositi
Rimarca Lara Tomasetta su TPI: “Pare chiaro che dietro la volontà di combattere i trafficanti di esseri umani evidenziata nel memorandum, ancora una volta l’Unione europea intenda velatamente offuscare i propri reali obiettivi, ovvero fermare i migranti. Inoltre, nonostante gli annosi tentativi di focalizzare le politiche sull’eliminazione dei trafficanti, i migranti continuano a utilizzare le rotte Mediterranee per raggiungere l’Europa. A conferma del fatto che invece di piegarsi ad accordi di breve periodo e di dubbio rispetto dei diritti umani, sarebbe più utile e lungimirante lavorare sulle cause delle migrazioni, tra cui il cambiamento climatico, le erosioni dei diritti civili, e le persecuzioni di oppositori politici nei Paesi di provenienza, e ancor più i conflitti e la crisi alimentare.
Senza garanzie
Nonostante gli obiettivi di stabilità e sviluppo, questo accordo pare più che altro rafforzare il potere assoluto del presidente tunisino. Un leader che dopo aver eliminato gran parte dei suoi rivali politici e imposto una costituzione che rimuove ogni controllo sulla sua autorità, non pare però avere le capacità di risolvere i problemi economici del Paese. Ma i governanti europei paiono puntare su di lui, sacrificando l’imposizione di qualsiasi condizionalità sull’altare del controllo dei migranti. Inoltre, nello specifico non pare esserci alcuna garanzia che i fondi dell’Unione europea finanzino adeguatamente le forze di sicurezza e la guardia costiera.
È sconcertante registrare che nello stesso periodo in cui la Tunisia e l’Unione europea si apprestavano a firmare questo accordo, le autorità della nazione nordafricana abbiano lasciato centinaia di persone, bambini compresi, intrappolate alle frontiere desertiche del Paese, inizialmente prive di acqua, cibo o riparo.
Se dal punto di vista politico i recenti sviluppi costituiscono dunque dei passi avanti, il contenuto del memorandum suscita invece più di un dubbio, a partire dalla mancanza di forme concrete di salvaguardia contro le violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità tunisine contro i migranti. Anzi, la legittimazione politica che il presidente Saïed trae dalla firma di un accordo di questo genere potrebbe anche rassicurarlo sulla possibilità di proseguire con questa condotta. Rafforzando i poteri del presidente tunisino Kaïs Saïed e indebolendo lo stato di diritto nel Paese, un tale accordo pone le basi per rafforzare i trafficanti e incentivare la migrazione illegale piuttosto che frenarla. Inoltre, con il rafforzarsi di un’ulteriore dittatura in Nord Africa, l’Italia e l’Europa tacitamente ne avallano la deriva sempre più autocratica, allontanando la regione dallo stato di diritto e costruendo partenariati con leader fragili, inaffidabili e non sottoposti ad alcun controllo democratico. Non occorre certo ricordare quanto accaduto – e ancora accade – in Libia, un Paese senza stabilità e insicuro per migranti e cittadini per comprendere gli effetti di un tale approccio politico.
Tutti scontenti
La firma dell’accordo ha scatenato le reazioni di più parti politiche in Italia. Il segretario di +Europa Riccardo Magi definisce «un errore» quello di «pagare un regime, come quello della Tunisia, che non dà alcuna garanzia del rispetto dei diritti umani. Il risultato – spiega Magi – sarà che noi copriremo di soldi Tunisi, che per tenersi i migranti i primi mesi commetterà le peggiori violazioni dei diritti e della dignità delle persone, per poi tra qualche mese ritrovarci al punto di partenza, con gli sbarchi che non si fermeranno, i centri di accoglienza pieni e centinaia di persone che oltre a fuggire dal loro paese d’origine saranno costretti a scappare anche dalle carceri tunisine».
Dello stesso tenore è anche la riflessione di Emergency che sottolinea come l’accordo sia stato «stipulato sulla pelle delle persone»: «Il copione applicato in Libia – spiega la ong – è destinato a ripetersi: anziché gestire la migrazione in modo strutturale e umano, l’Europa sceglie ancora di appaltare la gestione dei flussi migratori a un Paese insicuro e instabile». I parlamentari del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Politiche Ue di Camera e Senato sottolineano come l’accordo rischi «di essere inutile» e di «alimentare reati, visti i gravi crimini contro i migranti sub-sahariani commessi dalle forze dell’ordine tunisine e la repressione di ogni dissenso politico e civile nel Paese».
Come ricorda l‘associazione Baobab Experience, «il memorandum è arrivato nonostante tutto, con una Tunisia in piena campagna razzista e xenofoba ad opera dello stesso presidente Saïed. Nel mirino, i migranti subsahariani residenti in Tunisia o in transito verso l’Europa». Del resto, Saïed nega tutto: «Gestione dei migranti violenta? Fake News dalle ong». «Questo accordo mal ponderato, firmato nonostante le evidenti prove di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità tunisine, comporterà una pericolosa proliferazione di politiche migratorie già fallimentari e segnalerà l’accettazione da parte dell’Unione europea di un comportamento sempre più repressivo da parte del presidente e del governo di Tunisi», ricorda anche Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee.
Trasformare la Tunisia nella nuova Libia non è la soluzione alla questione migratoria, ciò rende l’Unione europea complice delle sofferenze che inevitabilmente ne deriveranno”.
Allarme Onu
Di grande interesse è un report di Nicola Comparato per Speciale Libia: “Grande la preoccupazione espressa all’Alto Commissariato per i Diritti Umani da parte dei Relatori Speciali delle Nazioni Unite in merito ai casi di prigionia e torture subite in Libia da rifugiati e migranti. Sparizioni forzate, fermi e rilasci in luoghi sconosciuti preoccupano decisamente il team di esperti delle Nazioni Unite, dato che in questa serie di tragiche situazioni non hanno possibilità di accesso nemmeno le organizzazioni umanitarie per operazioni di soccorso e protezione.
Tra i casi citati dal team è stato preso in grande considerazione quello riguardante i 120 migranti e rifugiati rilasciati dalla Direzione libica per la lotta alla migrazione illegale da un magazzino situato nella località di Tazirbu a febbraio di quest’anno e condotti successivamente in un luogo sconosciuto da cui in seguito si sono perse completamente le loro tracce.
Sono circa 700 le persone trattenute, torturate e rilasciate nella zona sud est della Libia negli ultimi due anni. Il team di esperti ha inoltre dichiarato che ad aumentare le loro preoccupazioni, oltre al rischio di torture, violenze sessuali e sparizioni forzate, è anche il ritardo delle autorità libiche nel rispondere alle domande delle Nazioni Unite in merito a tutti questi fatti riguardanti la violazione dei diritti umani ed il traffico di migranti. L’ipotesi più accreditata vede i rifugiati e i migranti prelevati al confine con il Sudan, venire trasferiti a Tazirbu e qui torturati e filmati.
I video poi sarebbero inviati alle famiglie per la richiesta di un riscatto. A rendere fondate queste supposizioni sarebbe la presenza di un cimitero situato a Tazirbu contenente i resti di una ventina di migranti vittime di torture. Oltre a tutto questo, a destare ulteriori preoccupazioni sarebbe l’eventuale rimpatrio dei migranti in Sudan da parte delle autorità libiche, causa ad effetto di nuove violazioni dei diritti umani e di favoreggiamento al traffico dei migranti sulla pelle delle stesse persone. Inoltre, l’efficacia delle indagini risulta molto limitata sui reati commessi dai cittadini libici, e questo fa pensare ad un vero e proprio caso di coinvolgimento e di complicità delle autorità libiche in merito a questa serie di situazioni che rallentano l’accesso alla giustizia per le vittime.
Attualmente non ci sono risposte su tali questioni da parte del governo libico, sollevate già a marzo di quest’anno nel rapporto al Consiglio per i diritti umani presentato dalla Missione indipendente d’inchiesta sulla Libia”.
Argomenti: Migranti