Niger, la guerra dell'uranio

La giunta golpista del Niger ha dichiarato che risponderà immediatamente a qualsiasi “aggressione o tentativo di aggressione” da parte dei Paesi dell’Africa occidentale:

Niger, la guerra dell'uranio
Proteste anti-francesi nel Niger
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Agosto 2023 - 19.51


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Aggiornamenti dal “Sahelistan”.

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La situazione in Niger è sempre più calda. Il giorno dopo una nuova manifestazione di sostenitori del golpe, tornati in piazza a migliaia nel giorno dell’anniversario dell’indipendenza dalla Francia, la giunta golpista del Niger ha dichiarato che risponderà immediatamente a qualsiasi “aggressione o tentativo di aggressione” da parte dei Paesi dell’Africa occidentale: “Qualsiasi aggressione o tentativo di aggressione contro lo Stato del Niger vedrà una risposta immediata e senza preavviso da parte delle forze di difesa e sicurezza nigerine su uno dei membri ad eccezione dei Paesi amici (Burkina Faso e Mali)” ha affermato uno dei golpisti. Il riferimento è alla scadenza dell’ultimatum imposto dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) per ripristinare l’ordine nel Paese, fissata al prossimo 6 agosto. Poche ore dopo la dichiarazione, i delegati dell’Ecowas hanno lasciato la capitale Niamey senza incontrare il generale Abdourahaman Tchiani, leader dei golpisti, né il presidente Mohammed Bazoum, in carica dal marzo 2021 e attualmente sotto la custodia dei militari all’interno del palazzo presidenziale dopo il colpo di Stato militare annunciato lo scorso 26 luglio.

Secondo Bazoum, che ha rilasciato una dichiarazione pubblica al Washington Post, dicendo di “scrivere come ostaggio”, il colpo di Stato potrebbe avere conseguenze “devastanti” per il mondo e portare l’intera regione del Sahel sotto “l’influenza” della Russia attraverso i mercenari del gruppo Wagner. Il presidente deposto ha ribadito che “il Niger è sotto attacco da parte di una giunta militare che sta cercando di rovesciare la nostra democrazia, e io sono solo uno delle centinaia di cittadini arbitrariamente e illegalmente imprigionati”.

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“I golpisti affermano falsamente di aver agito per proteggere la sicurezza del Niger. Affermano che la nostra guerra contro i terroristi jihadisti sta fallendo e che il mio governo economico e sociale, comprese le partnership con gli Stati Uniti e l’Europa, ha danneggiato il nostro Paese”, ha aggiunto. Lanciando infine un appello: “Chiedo al governo americano e all’intera comunità internazionale di contribuire a ripristinare l’ordine costituzionale”.

Intanto, mentre negli scorsi giorni Italia e Francia hanno deciso di evacuare i propri cittadini presenti in Niger e mentre la comunità internazionale tentava di aumentare le pressioni per il ripristino del governo democraticamente eletto, nella serata del 3 agosto la giunta golpista ha esautorato i mandati dei propri ambasciatori in quattro Paesi con un annuncio in diretta alla tv nazionale. “Le funzioni degli ambasciatori straordinari e plenipotenziari della Repubblica del Niger” presso Francia, Nigeria, Togo e Stati Uniti “sono terminate”, ha dichiarato uno dei golpisti. Annullati inoltre gli accordi militari con Parigi. “Di fronte all’atteggiamento disattento della Francia e alla sua reazione alla situazione il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria ha deciso di rottamare gli accordi di cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa con questo Stato”, hanno annunciato i golpisti dopo aver criticato alcuni accordi tra Niamey e Parigi sullo “stazionamento” delle truppe del distaccamento francese e sullo “status” dei soldati presenti nell’ambito della lotta al jihadismo.

Sganciarsi dalla Francia, un consiglio alla premier

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A motivarlo, in un’accurata analisi, è Fabrizio Gatti, direttore editoriale per gli approfondimenti di Today.

“La settimana in cui Giorgia Meloni riporta con successo l’Italia sulla scena internazionale (dal vertice sul Mediterraneo a Roma alla visita negli Stati Uniti) – annota Gatti – il colpo di Stato in Niger complica i piani del governo italiano. Ma, nonostante le difficoltà, è estremamente importante mantenere buoni rapporti con la nuova giunta militare. Anche in alternativa a Unione Europea e Francia, che pagano i gravi errori commessi. Vediamo quali sono.

Da anni il Niger fornisce oltre un terzo dell’uranio con cui la Francia produce la sua elettricità: grosso modo un terzo delle città, delle industrie e di tutta l’economia francese è alimentata dal sottosuolo nigerino. Ma ancora oggi soltanto il 18 per cento della popolazione nigerina ha accesso all’energia elettrica (fonte Banca mondiale). Nel 2005 era appena il 7 per cento.

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La costruzione di infrastrutture negli ultimi quindici anni è infatti strettamente legata, come accade in gran parte delle ex colonie europee in Africa, agli investimenti cinesi. Una storia esemplare riguarda l’attraversamento nella capitale Niamey del grande fiume Niger, che dà il nome al Paese. In oltre un secolo di presenza francese, dalla seconda metà dell’Ottocento, esisteva fino al 2011 soltanto un ponte a due corsie, talmente strette da essere percorribili lentamente: il Pont Kennedy, finanziato dagli Stati Uniti e aperto nel 1970.

Negli ultimi undici anni Pechino ha invece pagato e costruito due moderni viadotti. Nel 2012 è stato inaugurato il ponte dell’Amicizia Cina-Niger. E nel 2021 il maestoso Pont Seyni Kountché, quattro corsie percorribili anche dai grandi camion.

La Francia come partner

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Nell’immaginario popolare l’idea che le democrazie europee abbiano sottratto risorse naturali, e il regime cinese abbia invece migliorato l’economia nigerina, ha quindi il suo fondamento. E accanto alla Cina, negli anni si sono aggiunte negli investimenti Turchia e India. Una strada che anche la Russia è pronta a percorrere, a cominciare dall’invio di forniture alimentari. Questo avrà sicuramente un peso nel consenso al golpe del 26 luglio messo a segno dall’anonimo generale Abdourahamane Tchiani.

Da fonti nigerine consultate da Today.it a Niamey, il colpo di Stato sarebbe comunque una questione interna tra la lobby dell’ex presidente Mahamadou Issoufou, 71 anni, ingegnere minerario un tempo molto vicino alla Francia, e il suo delfino e successore, Mohamed Bazoum, 63 anni. La deposizione del presidente Bazoum, che risulta tuttora agli arresti nella sua residenza, non sarebbe stata quindi organizzata dalla Russia e dalla famigerata compagnia di mercenari russofoni Wagner, non presente ufficialmente (finora) in Niger.

Il gran numero di bandiere russe – apparse durante le manifestazioni davanti al Parlamento e, in parte, all’ambasciata francese – è un segnale preoccupante. Qualcuno quelle bandiere le ha effettivamente distribuite ai manifestanti. Ma, forse, è per ora soltanto un avvertimento dell’intelligence nigerina agli alleati occidentali.

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Il segnale più importante arriva invece dalla tv. Poche ore dopo il golpe, un Airbus da trasporto militare francese ha forzato la chiusura dello spazio aereo decisa dalla giunta militare ed è atterrato a Niamey. Nel successivo comunicato di protesta letto in televisione, il colonnello maggiore Abdramane Amadou, portavoce dell’autoproclamato Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria, si riferisce a Parigi con l’espressione di “partner francesi”. Un messaggio chiaro: il Niger vuole restare, almeno per ora, partner della Francia.

Il generale a scuola in Italia

Da anni il Paese è terra di conquista per i terroristi di Al Qaeda, Boko Haram, ma anche di predoni e criminali comuni. Così come lo sono i vicini Mali e Burkina Faso, dove la parentesi democratica (mal)guidata dall’Europa si è conclusa rispettivamente con i golpe del 2021 e 2022. Ma sotto la presidenza di Mohamed Bazoum, in carica dall’aprile di due anni fa, la situazione in Niger è perfino peggiorata. E da allora la minaccia non riguarda più soltanto i cittadini stranieri che escono da Niamey: assalti armati, rapimenti, omicidi, combattimenti improvvisi con l’esercito regolare colpiscono ogni mese la vita di migliaia di nigerini. Il Paese – venticinque milioni di abitanti tra la Libia e la Nigeria – è anche il crocevia delle principali rotte del Sahara che portano cocaina dal Sud America e migranti verso l’Europa. Migliaia di chilometri di dune e sabbia da sempre al di fuori di ogni controllo.

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La mancanza di sicurezza è la giustificazione al golpe fornita dal generale Tchiani, 62 anni, comandante della guardia presidenziale che si è autoproclamato alla guida del Paese. Ma dietro di lui nella capitale danno per certa la presenza del generale Salifou Modi, il carismatico ex capo di stato maggiore delle forze armate che, senza dissensi, hanno subito riconosciuto la nuova giunta militare. Sia Tchiani sia Modi sono ufficiali molto vicini al precedente presidente Issoufou, che li aveva nominati. Per Tchiani era imminente la sostituzione. Modi era invece stato già rimosso senza preavviso da Bazoum in aprile.

Un mese prima del suo avvicendamento, Modi era andato in Mali per avviare una cooperazione antiterrorismo con il regime filo russo di Bamako. Al suo posto è stato nominato il generale Abdou Sidikou Issa, addestrato nelle scuole militari in Francia e in Italia. Con l’annunciata rimozione di Tchiani, l’ex presidente Issoufou e il suo fidato generale Modi avrebbero quindi perso qualsiasi controllo diretto sul presidente Bazoum. Così il generale Tchiani si è mosso per primo e ha destituito Bazoum.

Se Putin si prende l’uranio

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“Il golpe non è stato fatto dai filorussi – conferma una fonte nigerina che conosce gli uomini al potere a Niamey – ma se come in Mali e in Burkina Faso l’Europa si fa da parte, arriveranno i filorussi”. La ritorsione dell’Unione Europea e, almeno a parole, della Francia di sospendere ogni forma di aiuto e di collaborazione con il Niger, creerebbe il vuoto che Mosca è pronta a colmare con i suoi mercenari. E con gli aiuti alimentari.

Sarebbe l’ennesimo suicidio della strategia europea in Africa che ci priverebbe di un fedelissimo alleato e consegnerebbe alla Cina e alla Russia una pedina in più nel lento accerchiamento dell’Occidente. La severa condanna europea non ha infatti cambiato gli eventi, né ha fermato lo sbarco della Wagner in Mali. Lo stesso potrebbe accadere nel Niger ricco di uranio: nel 2022 sono state estratte 2.020 tonnellate, secondo i dati dell’Associazione nucleare mondiale, e il Paese ha una ulteriore disponibilità di circa 2.500 tonnellate l’anno nel nuovo giacimento di Imouraren. Sono quantità che, unite alla produzione russa di 2.508 tonnellate l’anno, permetterebbero a Vladimir Putin di controllare un terzo delle forniture al mondo, dietro a Kazakistan (21mila tonnellate) e Canada (7.351). Un possibile allarme per la stabilità dei prezzi dell’energia e per tutti i governi occidentali che intendono sostituire l’elettricità da combustibili fossili con nuove centrali nucleari.

L’eventualità sarebbe disastrosa per la Francia e la sua economia. E porterebbe molto probabilmente a un intervento armato di Parigi. Prima che tutto questo accada, l’Italia può ancora contare sull’ottima rete di relazioni costruita nel tempo dagli ambasciatori in Niger, Marco Prencipe ed Emilia Gatto. E mantenere aperti, nonostante tutto, quei canali diplomatici e solidali che oggi Bruxelles minaccia di chiudere. Altrimenti  – conclude Gatati – prepariamoci al peggio: con ondate di sbarchi verso l’Italia e gli inevitabili, nuovi aumenti del prezzo dell’energia per il prossimo inverno”.

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Il fallout dell’uranio 

Ne resoconta un dettagliato report di Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale). “Non accenna a placarsi il caos in Niger. A più di una settimana dal golpe, il generale Abdourahamane Tchiani ha definito le sanzioni imposte dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) “illegali, ingiuste e disumane”. Intanto, l’unità d’intenti dell’Ecowas si è rapidamente frammentata: mentre inizialmente sembrava che tutti i leader dell’Africa occidentale condannassero il cambio di regime, Mali, Burkina Faso e Guinea hanno radicalmente rivisto la loro posizione, minacciando ritorsioni in caso di un intervento militare esterno in Niger. 

Com’è naturale, le crescenti tensioni stanno creando una forte apprensione in Europa, soprattutto in Francia. Non solo perché il golpe a Niamey mette a repentaglio gli interessi e il tradizionale ruolo di Parigi nella regione, ma anche per l’importanza che le forniture di uranio nigerine ricoprono per i reattori nucleari d’oltralpe.  

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Pesi medi e pesi massimi  

Nel 2022 il Niger era il settimo Paese al mondo per la produzione di uranio, posizione che corrisponde a circa il 10% della produzione mondiale. Ma il suo ruolo aumenta molto se si considera che Niamey fornisce alla Francia il 15% circa del suo fabbisogno di uranio, oltre che il 25% delle importazioni totali dell’Ue. 

Un piazzamento che acquista ulteriore significato se si pensa che Parigi, tramite la sua multinazionale del nucleare Orano (ex Areva), proprio in territorio nigerino possiede tre siti d’estrazione dell’uranio. 

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Eppure, anche qualora la giunta militare di Tchiani procedesse con lo stop all’export del suo uranio annunciato nei giorni scorsi, il nucleare europeo non dovrebbe risentirne immediatamente. 

L’uranio dà, l’uranio toglie  

Funzionari e analisti sottolineano infatti che le riserve strategiche di uranio francesi sarebbero sufficienti a coprire i consumi dei prossimi due anni, dando così tempo a Parigi e Bruxelles per virare su fornitori alternativi. Malgrado ciò, quella dell’uranio è una partita che si gioca a tutto campo. Per la Russia, per esempio. Tra i pochi settori dell’economia russa non toccati dalle sanzioni europee c’è anche quello dell’energia atomica, forniture d’uranio incluse. Eventuali limitazioni sull’accesso europeo all’uranio nigerino non farebbero che rafforzare la convinzione che le sanzioni europee non arriverebbero mai a toccare l’industria nucleare russa, che il Cremlino continua a sfruttare per proiettare la propria influenza all’estero. Stretta tra la tensione con Mosca e quella coi golpisti nigerini, l’Europa ha una bella gatta da pelare”.   

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