"Libyagate": lo scoop di Scavo confermato dall'Onu

Aveva svelato il “Libyagate”, svelando la connessione nel martoriato paese nordafricano il traffico di esseri umani e quello per la droga, il petrolio e le armi.

"Libyagate": lo scoop di Scavo confermato dall'Onu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Agosto 2023 - 15.00


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Aveva svelato il “Libyagate”, svelando la connessione nel martoriato paese nordafricano il traffico di esseri umani e quello per la droga, il petrolio e le armi. Basterebbe questo per fare di Nello Scavo il più solido, autorevole, punto di riferimento per chiunque volesse vederci chiaro sulle nefandezze che avvengono in Libia, con tanto di connivenze esterne. Ora, Scavo torna su Avvenire su uno sviluppo di grande significanza del “Libyagate”.

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L’Onu conferma

Scrive Scavo: “Per la prima volta le Nazioni Unite confermano la diretta connessione in Libia fra il traffico di esseri umani e quello per la droga, il petrolio e le armi. A convalidare l’esistenza del “Lybiagate”  è il segretario generale Antonio Guterres, che ha consegnato poche ore fa al Consiglio di sicurezza un nuovo report. 

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A partire da maggio, il governo di unità nazionale ha lanciato diverse operazioni che avevano come obiettivo “il traffico illecito di droga, armi, carburante e migranti nelle città lungo la strada costiera occidentale, soprattutto a Zawiyah – spiega Guterres – e nelle aree circostanti, con il rischio di un’escalation”. A Zawiyah continua a spadroneggiare la milizia al Nasr, i cui leader sono tutti sottoposti a sanzioni internazionali. 

Tra essi alcuni sarebbero indagati anche in Italia per reati connessi al traffico di esseri umani e violazioni dei diritti umani, come aveva spiegato nei giorni scorsi ad Avvenire il procuratore di Agrigento, Salvatore Villa.

 L’operazione ordinata da Tripoli, tuttavia, non sarebbe stata messa a segno per ripristinare la legalità. Alcuni esponenti hanno descritto i raid come “politicamente motivati, sostenendo – precisa il segretario generale – che hanno preso di mira solo gruppi non allineati con il primo ministro Abdulhamid Dbeibah”. In altre parole, un nuovo capitolo della faida interna al sistema di potere, nel quale guardie e ladri sono spesso due facce della stessa medaglia. 

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Nelle 17 pagine di dossier consegnato a New York, Guterres ribadisce la “grave preoccupazione per il traffico di migranti e rifugiati e per la tratta di esseri umani attraverso la Libia e per la situazione in cui versano i migranti e i rifugiati, tra cui la detenzione arbitraria, i maltrattamenti e l’esposizione alla violenza sessuale e di genere”. 

Le operazioni della cosiddetta guardia costiera libica sono parte del sistema. Se da una parte “i migranti e i rifugiati sbarcati nei porti libici a cui hanno accesso le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite hanno ricevuto aiuti di emergenza di base”, dall’altro “la maggior parte dei migranti – ribadisce il dossier – sono stati successivamente trasferiti in centri di detenzione ai quali le Nazioni Unite hanno accesso limitato”. Quel poco che si riesce a sapere non consente di avere dubbi, perciò è chiesto “di compiere passi verso la chiusura dei centri di detenzione per migranti e alleviare con urgenza le sofferenze”, permettendo “un accesso umanitario pieno, sicuro e senza ostacoli”. Parole che suonano come un ennesimo rimprovero alle autorità libiche, che spalleggiate dai Paesi Europei continuano a farsi beffe degli operatori umanitari trattati come testimoni scomodi. 

Da nascondere c’è il trattamento riservato ai bambini. Nessuna pietà neanche per i più piccoli. “Le Nazioni Unite – denuncia Guterres – hanno continuato a osservare la detenzione prolungata di bambini migranti senza alcun processo giudiziario, in violazione degli obblighi del Paese in materia di diritti umani. I bambini migranti detenuti sono stati rilasciati solo se avevano soluzioni durature garantite, ovvero il ritorno umanitario volontario facilitato dall’Oim, il loro reinsediamento o l’evacuazione in un Paese terzo, facilitato dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani”. In tutti gli altri casi, anche i più piccoli restano nei campi di prigionia, esposti anche al rischio di abusi sessuali. “L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha verificato 24 casi di rapimento di bambini originari del Sudan, dove erano stati registrati come richiedenti asilo e successivamente trafficati verso la Libia”, rivela Guterres. A quel punto i funzionari Onu hanno cercato di monitorare il flusso, scoprendo “che questi bambini sono stati sottoposti a ulteriori violazioni dei diritti umani in Libia, compreso il lavoro forzato nei campi militari senza retribuzione”. Piccoli schiavi delle milizie, sotto gli occhi delle istituzioni centrali e dei loro alleati in Europa. Silenti anche davanti agli abusi della legge contro le donne: “Alla fine di aprile l’Agenzia per la sicurezza interna – lamenta il rapporto del segretario Onu – ha introdotto una procedura restrittiva discriminatoria per motivi di genere, in base alla quale le donne libiche che viaggiano da sole e partono dagli aeroporti della regione occidentale sono tenute a fornire informazioni sulle ragioni per cui si recano all’estero senza un accompagnatore maschile”.

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Così l’ottimo Scavo.

Guerra totale

Da un report di Massimo Maugeri per Agi: “Almeno 55 persone sono state uccise e 146 sono rimaste ferite in violenti scontri tra due gruppi armati nella periferia sud-orientale di Tripoli. Lo riferisce un responsabile del Centro medico di emergenza citato dalla tv libica al-Ahrar

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Martedì gli scontri hanno portato alla sospensione dei voli e all’evacuazione degli aerei nell’unico aeroporto civile della capitale. I combattimenti hanno contrapposto la “Brigata 444” alla “Forza Al-Radaa” in diverse aree della periferia orientale di Tripoli, ha detto all’Afp un funzionario del ministero dell’Interno che ha chiesto l’anonimato.

Si tratta dei due gruppi tra i più influenti a Tripoli, dove siede uno dei due governi che si contendono il potere in un Paese minato, dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, da divisioni alimentate dal proliferare di gruppi armati e alleanze mutevoli. “Le tensioni sono iniziate” con l’annuncio dell'”arresto da parte dial-Radaa del leader della Brigata 444″, ha detto l’ufficiale, aggiungendo che “le forze sono ancora mobilitate e l’accesso all’aeroporto di Mitiga è stato chiuso”.

Manul, la missione Onu in Libia, ha affermato in un comunicato di “seguire con preoccupazione” questi eventi e “il loro impatto sui civili”, chiedendo “immediata de-escalation”, “dialogo” e “preservando i progressi compiuti in termini di sicurezza negli ultimi anni”. Secondo i media locali, lunedì sera sono stati schierati blindati e pickup armati in diverse zone a est e a sud di Tripoli dopo l’arresto del capo della Brigata 444,Mahmoud Hamza, all’aeroporto di Mitiga, situato in un’area controllata da al-Radaa Forza.

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Colpi di arma da fuoco, in particolare armi pesanti, sono esplosi ad Ain Zara (a sud-est di Tripoli) prima di diffondersi in altre zone vicino all’aeroporto e all’Università di Tripoli. Le autorità di Mitiga hanno sospeso il traffico e dirottato i voli verso Misurata, 200 km più a est, evacuando anche gli aerei parcheggiati sulla pista. La Brigata 444 dipende dal Ministero della Difesa ed è considerata il più disciplinato dei gruppi armati della Libia occidentale.

Controlla in particolare la periferia sud di Tripoli ma anche le città di Tarhouna e Bani Walid, mettendo in sicurezza le strade che collegano la capitale al sud del Paese. La Force al-Radaa è una potente milizia che funge da polizia a Tripoli e arresta sia jihadisti che criminali comuni. Si presenta comeun organismo di sicurezza indipendente dai ministeri dell’interno e della difesa e controlla il centro e l’est di Tripoli, la base aerea di Mitiga, l’aeroporto civile e un carcere. A fine maggio gli scontri tra i due gruppi, anche in strade affollate del centro di Tripoli, avevano provocato lievi feriti. A luglio e agosto 2022, gli scontri tra al-Radaa e altri gruppi armati hanno causato circa 50 morti a Tripoli. 

Secondo il ministero della Sanità libico durante gli scontri gli abitanti di Tripoli sono rimasti intrappolati nelle loro case e per loro era “impossibile sfuggire alle violenze”. I feriti sarebbero più di cento. Il ministero ha chiesto alle parti rivali di permettere alle ambulanze e alle squadre di soccorso di poter passare tra le vie della città per dare assistenza a chi rimaneva colpito.

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Secondo il media AddressLibya “a causa della situazione critica della sicurezza, le compagnie aeree hanno trasferito i loro aeromobili dall’aeroporto Mitiga di Tripoli a quello di Misurata”. I voli diretti tra Italia e Libia dovrebbero riprendere proprio tra qualche settimana, dopo essere rimasti sospesi per oltre dieci anni”.

Caos armato

Ne scrive Alessandra Fabbretti, di Agenzia Dire, in un report sul Manifesto: “I testimoni hanno raccontato di quartieri preda dei colpi d’artiglieria e così le autorità hanno disposto la chiusura «per ragioni di sicurezza» dell’Università di Tripoli e dell’aeroporto di Mitiga.

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Proprio qui è scattata la scintilla degli scontri, dopo che la Forza Rada – corpo indipendente che controlla centro ed est della capitale, hub aeroportuale compreso – ha arrestato il colonnello a capo della Brigata, Mahmoud Hamza, giunto a Mitiga per imbarcarsi su un volo per Misurata, dove lo attendeva un evento pubblico. La Brigata 444, che risponde invece al ministero della Difesa, è responsabile del sud di Tripoli fino a Bani Waled, distante circa 200 chilometri, e con la Forza Rada è la milizia più influente nell’area.

Stando ad Al-Ahrar Tv, la normalità è tornata solo ieri mattina, ma già martedì sera una fonte interna al Governo di Unità nazionale (Gun) confermava che il primo ministro Dbeibeh aveva raggiunto un accordo per il cessate il fuoco con le parti: Rada acconsentiva a consegnare Hamza a una fazione terza neutrale e la Brigata a deporre le armi. Subito dopo Dbeibeh ha visitato Ain Zara, una delle zone maggiormente interessate dalle violenze, per «vedere di persona l’entità dei danni» sul popoloso sobborgo, quindi ha ordinato un’indagine per quantificare «risarcimenti per i residenti».

Ad accompagnarlo, il ministro dell’Interno Imed Trabelsi, che ha disposto il dispiegamento di forze in città per garantire il rispetto del cessate il fuoco. Il vice premier Ramadan Abu Jinnah intanto in un post su Facebook avvertiva che il Gun non «tollera nessuna escalation» e ribadiva lo slogan «No to war».

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Sebbene infattientrambi i gruppi siano vicini al premier, l’esecutivo di Tripoli sa quanto sia fragile la relativa stabilità in cui versa oggi il Paese, quella stessa invocata dalla Missione d’appoggio delle Nazioni unite in Libia (Manul), che durante i combattimenti esortava a una de-escalation anche per svolgere le tanto agognate elezioni generali che dovrebbero ricomporre la Libia spaccata in due: l’ovest del Gnu riconosciuto dall’Onu e l’est in mano al colonnello Khalifa Haftar.

Sullo sfondo, una miriade di gruppi armati, bande criminali e fazioni che si contendono territori e risorse, come effetto della guerra del 2011 che ha portato alla fine del regime di Gheddafi. Dal cessate il fuoco raggiunto nel 2020 tra il Gnu e Haftar, dal Palazzo di vetro si sono sforzati di riportare i libici alle urne, appuntamento atteso dal 2014 e che suggellerebbe la legittimità del processo politico.

Tuttavia, la lenta ripresa dell’economia – e la galassia di mutevoli alleanze che comporta – sarebbe il principale ostacolo al progetto. L’intesa dell’ottobre 2020 ha favorito il rilancio della produzione e delle esportazioni di petrolio, i cui proventi vengono spartiti tra Tripoli e Bengazi e i loro affiliati armati.

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Ciò ha dato così tanto ossigeno all’economia che il Fondo monetario internazionale ha calcolato al 17,3% la crescita del Pil per l’anno in corso. Un’effervescenza che pochi giorni fa ha portato a una decisione storica: per la prima volta, l’imprenditoria libica potrà investire nella National Oil Corporation (Noc) anche per quanto riguarda la produzione. Finora, ai privati la partecipazione era limitata a trivellazioni, trasporto e logistica.

È presto per capire quali interessi muovano le fazioni di Tripoli, ma come osservano vari analisti, la Libia continua a essere in mano a chi può difendere i propri interessi con le armi. E questo lascia poco spazio alla volontà degli elettori”.

Ammissione tardiva

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Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha commentato quanto sta accadendo affermando che “il governo segue con attenzione la situazione a Tripoli” e ha fatto sapere di aver parlato con la ministra degli Esteri libica Najla Elmangoush. “La priorità dell’Italia resta la stabilizzazione della Libia, senza violenza né interferenze, e avviare un percorso verso elezioni democratiche”, ha aggiunto il titolare della Farnesina. E fin qui siamo alle dichiarazioni di prammatica, insipide, fotocopia.

Ma il clou del Tajani pensiero sulla Libia si è dipanato ieri. E’ stato un errore gravissimo lasciare ammazzare Gheddafi, non sarà stato il campione della democrazia, ma finito lui, è arrivata in Libia e in Africa l’instabilità” politica dell’area. Così il vicepremier e ministro degli Esteri intervistato da Alessandro Sallusti alla Versiliana di Marina di Pietrasanta.

Chi ha deciso e perché di ammazzare il Colonnello, su questo il ripensante ministro non proferisce parola. Non ci sorprende. 

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