Nella Tunisia dell’autocrate razzista che deporta migranti nel deserto al confine con la Libia fregandosene se muoiono di stenti, la Tunisia del presidente che ha cancellato ogni traccia della “rivoluzione dei gelsomini”, che ha sciolto i partiti, imprigionato gli oppositori, militarizzato il paese, nella Tunisia di Kais Saied, è scoppiata la “guerra del pane”.
La “guerra del pane”
Da un lancio di agenzia: “La scarsità di farina si fa sentire in Tunisia. I rincari dei cereali hanno portato il Paese a una crisi definita “guerra del pane” dallo stesso presidente Kais Saled, che ha puntato il dito contro i forni ‘moderni’, quelli che non sono sussidiati dallo Stato, accusati di speculare fino a sottrarre la farina sovvenzionata destinata alle panetterie ‘classiche’. In Tunisia, spiega il Sole 24 Ore, vige un rigido monopolio sulla farina, acquistata dallo Stato e poi distribuita alle panetterie sovvenzionate e convenzionate. Le panetterie ‘moderne’ acquistano una farina solo in parte sovvenzionata, a prezzi maggiori e senza l’obbligo di produrre solo una tipologia di pane e a venderla a un prezzo fisso (come invece accade per le panetterie ‘classiche’). Vista la scarsità di farina e le presunte pratiche scorrette dei forni moderni, come l’utilizzo nella produzione di dolci per aumentare i margini, il Governo ha vietato la fornitura di farina sovvenzionata proprio alle panetterie moderne, provocando lo stop alla produzione di 1.500 forni e disagi in tutto il Paese. Oltretutto, il governo ha rimosso senza motivazioni il presidente dell’Ufficio cereali e ha ordinato l’arresto di Mohammed Bouanen, presidente del sindacato proprietari di panetterie dell’Unione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato. Resta il fatto che la crisi durerà a lungo, dato che la disponibilità di farina resterà limitata e il governo continuerà a limitare l’import, essendo lo Stato fortemente indebitato e sull’orlo del default.
Il funzionamento
“La vendita del pane in Tunisia – spiega un documentato report de il Post – è strettamente regolata da un sistema di sovvenzioni istituito nel 1974 per evitare l’eccessiva inflazione sui beni di prima necessità. Nelle panetterie “tradizionali” la baguette costa 190 millesimi di dinaro tunisino, corrispondente a poco più di 5 centesimi di euro. Lo stato fornisce a queste panetterie la farina a prezzi sovvenzionati e garantisce, almeno sulla carta, una compensazione economica per mantenere i prezzi così bassi: in realtà da un anno queste compensazioni non arrivano.
Accanto a queste panetterie sovvenzionate dello stato sono nate dal 2011 le panetterie “moderne”, che comprano una farina definita “speciale”, parzialmente sovvenzionata e tre volte più cara: i loro prodotti non hanno prezzi fissati rigidamente dallo stato, sono più vari (pane senza sale, pane integrale) e comprendono anche dolci, torte, gastronomia. I due diversi tipi di panetteria fanno riferimento a sindacati e associazioni di categoria differenti.
Dopo la pandemia e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia lo stato tunisino ha faticato sempre di più a rifornirsi di beni di prima necessità, fra cui il grano duro. Alla base di questo problema ci sono questioni internazionali, come il problema del grano ucraino, ma soprattutto questioni interne, con le riserve e le possibilità economiche dello stato sempre più limitate e dipendenti da un intervento del Fondo monetario internazionale.
La farina a disposizione per la distribuzione nelle panetterie è diventata quindi molto limitata: le baguette sono diventate più piccole, i fornai si sono ritrovati a finire già nelle prime ore del mattino il limitato quantitativo di pane che riescono a produrre. La situazione ha accomunato i due tipi di panetterie e scarseggiano tutti i generi di prima necessità sovvenzionati e forniti dallo stato: ogni genere di farina, semola, riso, olio vegetale, zucchero, caffè, pasta.
Di fronte a proteste crescenti a e una manifestazione di piazza organizzata dalle associazioni delle panetterie “moderne” per protestare contro la scarsità di farina a disposizione, la reazione del presidente Saied è stata quella di accusare i gestori di queste panetterie di speculazione e di volersi accaparrare la farina che sarebbe destinata alla vendita largamente sovvenzionata. Saied ha quindi accusato le panetterie moderne di essere un “cartello” e ha deciso che non verranno rifornite di farina fino a nuovo ordine, dicendo che avrebbero potuto continuare e vendere «torte e gelati».
La misura non ha ovviamente risolto il problema (la disponibilità di farina e di pane è comunque rimasta scarsa), ma ha in parte deviato l’attenzione dell’opinione pubblica, creando una contrapposizione fra i due tipi di panetterie.
Il sistema di sovvenzioni e di distribuzione da parte dello stato era già problematico prima di quest’ultima grande crisi economica ed è uno dei punti su cui il Fondo monetario internazionale chiede un intervento strutturale prima di concedere gli aiuti da 1,9 miliardi di dollari, bloccati dall’ottobre del 2022: gli interventi richiesti non sono solo economici, ma anche di ripristino di garanzie democratiche, messe in crisi dalla svolta autoritaria di Saied.
Una misura che modifichi il prezzo calmierato del pane sarebbe però molto impopolare e non è quindi contemplata dal governo populista di Saied. Il solo annuncio di un aumento dei prezzi dei cereali e quindi del pane nel dicembre del 1983 aveva causato la cosiddetta “rivolta del pane” del gennaio del 1984, quando le forti proteste di piazza avevano costretto l’allora presidente Habib Bourguiba a ritirare la misura”.
L’autocrate si inalbera
Così l’Ansa: “Presiedendo una riunione al palazzo del governo alla presenza del primo ministro Ahmed Hachani, del ministro dell’Interno Kamel Feki, della ministra delle Finanze Sihem Nemsia Boughdiri e del ministro degli Affari sociali Malek Zahi, il presidente tunisino Kais Saied ha tuonato ancora una volta contro gli speculatori e i corrotti, insistendo “per preservare l’unità dello Stato e garantire il coordinamento tra tutte le sue istituzioni”. Lo si legge in un comunicato della presidenza in cui viene sottolineato come Saied abbia avvertito che “la crisi della carenza di pane non deve ripetersi.
Lo stesso vale per altri prodotti”, aggiungendo che “alcune parti stanno progettando di creare altre crisi nel Paese”. “Lo Stato colpirà tutti gli speculatori e lavorerà instancabilmente per ripulire l’amministrazione”, ha detto Saied che al termine della riunione si è recato nella medina e poi in Avenue Habib Bourguiba, dove ha parlato con alcuni cittadini e visitato alcune panetterie”.
Il doppio circuito delle panetterie
A spiegarne il meccanismo è Negrizia: “Esistono nel paese due circuiti per la panificazione: del primo fanno parte 3.737 panetterie che beneficiano di farina sovvenzionata fornita dallo stato e dove la baguette costa 190 millesimi di dinaro tunisino, corrispondente a circa 7 centesimi di euro.
Accanto a queste panetterie sovvenzionate sono nate nel 2011 le panetterie “moderne” (oggi circa 1.500-2mila) che comprano una farina definita “speciale”, parzialmente sovvenzionata, e tre volte più cara: i loro prodotti non hanno prezzi fissati rigidamente dallo stato, sono più vari (pane senza sale, pane integrale) e comprendono anche dolci, torte, gastronomia.
I due diversi tipi di panetteria fanno riferimento a sindacati e associazioni di categoria differenti. Questo secondo circuito dall’inizio di questo mese ha perso il diritto a una quota limitata di farina sovvenzionata.
Pane per ricchi e pane per poveri
Infatti, il 27 luglio il presidente Saied ha annunciato l’interruzione dell’approvvigionamento di farine sovvenzionate ai panifici moderni o “non classificati”, accusati di mescolare queste ultime ai loro impasti per poi produrre dolci e vari tipi di pane, oltre alla baguette popolare, ottenendo così più margini sulle vendite. «In Tunisia accade così che c’è un pane per i ricchi e uno per i poveri», il pensiero espresso dal presidente.
Una scelta che ha portato il 90% dei panifici moderni a chiudere causando la disoccupazione di oltre 20mila dipendenti, secondo il loro sindacato.
Che ha annunciato la ripresa dei sit-in di protesta, programmati ma poi sospesi lo scorso 8 agosto, con una manifestazione lunedì 21 agosto davanti alla sede del ministero del Commercio della capitale.
In tutto questo la vittima è sempre il cittadino. La “crisi del pane”, infatti, colpisce pesantemente i tunisini che già sono stanchi dell’aumento dell’inflazione e della povertà, che ora colpisce circa il 20% dei 12 milioni di abitanti del paese”.
Annota sul Manifesto Matteo Garavoglia, in un bel reportage da Tunisi: “Quando si parla di pane, la prima immagine che viene in mente sono gli scontri a cavallo tra il 1983 e 1984, quando a seguito di una richiesta del Fondo monetario internazionale (Fmi) per stabilizzare l’economia nazionale il governo annunciò l’aumento del prezzo del pane e di altri prodotti alimentari. Dalle zone più marginali le proteste arrivarono a Tunisi a inizio gennaio. Qualche giorno dopo il presidente della Repubblica Habib Bourguiba annunciò: «Tutti gli aumenti sono annullati. Dio benedica il popolo tunisino». Il bilancio finale fu tra i 70 e i 143 morti e migliaia di arresti. Una situazione che ricorda da vicino quello che sta succedendo oggi in Tunisia. Lo stesso Fmi è pronto ad aprire una linea di credito da 1,9 miliardi di dollari per rilanciare un’economia nazionale ormai al collasso. In cambio l’istituzione di Washington chiede importanti interventi tra cui l’eliminazione delle sovvenzioni sul pane. Una linea rossa che per il presidente della Repubblica Kais Saied non può essere superata nonostante la Tunisia rischi di dichiarare il default finanziario entro la fine del 2023”.
L’inferno in terra
Di seguito un passaggio di un toccante reportage da Tunisi di Francesca Ghirardelli su Avvenire: “L’inferno, intanto, si consuma alle frontiere. Sono almeno 25 i corpi di migranti morti recuperati sul confine libico dall’inizio delle deportazioni. Ma, secondo una fonte che non vuole essere citata, sono pessime le notizie in arrivo anche dai “centri” della Mezzaluna Rossa nazionale, «ente praticamente governativo, imposto per coordinare gli aiuti». Allestiti per “accogliere” i migranti recuperati al confine, alcuni centri sono aperti nelle scuole (da liberare a metà agosto), altri in hangar come quello di Tejra a Medenine, in condizioni “orribili”. Se non c’è pace per chi non ha nessuna chance di ottenere l’asilo, non va meglio ai 3.400 rifugiati già riconosciuti e ai 7.200 che hanno presentato richiesta.
La Tunisia, pur firmataria della Convenzione del 1951, non ha un sistema nazionale di asilo, e del rilascio dello status si occupa l’Unhcr. La card però non protegge dai respingimenti e Ong e agenzie Onu appaiono in affanno, con le mani legate. Cinque rifugi di Unhcr tra Tunisi e Medenine, 500 posti complessivi, i più vulnerabili alloggiati in transit hotel, poi distribuzioni di cibo e cash assistance.
Ma l’impressione è che l’emergenza umanitaria prodotta dal governo, fra narrativa violenta ed espulsioni, colga di sorpresa il già limitato sistema di aiuto e protezione Onu. Viene da chiedersi – conclude Ghirardelli – come possa l’Unione Europea, con il suo memorandum, pensare di raggiungere i propri obiettivi nel rispetto dei diritti umani, se le Nazioni Unite non ce la stanno facendo”.
Quella della brava inviata del quotidiano della Cei, è una domanda retorica. Nel senso che l’Unione Europa sa bene che con il suo memorandum è impossibile raggiungere i propri obiettivo nel rispetto dei diritti umani. Lo sanno bene a Bruxelles (UE) e ancor più a Roma. Semplicemente non gliene frega niente, ma proprio niente. L’importante è che sull’altra sponda del Mediterraneo ci siano autocrati o generali disposti, a suon di miliardi, a fare il lavoro sporco al posto nostro, con i respingimenti in mare, le deportazioni nel deserto, la caccia al nero subsahariano, la moltiplicazione dei centri di detenzione, veri e propri lager dove la quotidianità per migliaia di esseri umani sono la tortura, gli stupri, le violenze e gli abusi più abominevoli. Di tutto questo l’Europa ha contezza, ma considera questo strame di diritti e di vite umane “effetti collaterali” nella pratica dell’unico obiettivo che interessa: l’esternalizzazione delle frontiere.