Libia, il clan Haftar va all'attacco. E minaccia Ciad e Niger

Le unità dell'Esercito nazionale libico, (guidato dal generale dell'Est Khalifa Haftar), hanno lanciato un'operazione militare ampia e precisa nell'area del confine meridionale

Libia, il clan Haftar va all'attacco. E minaccia Ciad e Niger
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Agosto 2023 - 17.15


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Libia, il clan Haftar all’attacco.

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 “Le unità dell’Esercito nazionale libico, (guidato dal generale dell’Est Khalifa Haftar), hanno lanciato un’operazione militare ampia e precisa nell’area del confine meridionale per proteggere i confini dello Stato, le sue capacità e la sicurezza dei suoi cittadini, e come parte della continua estensione del suo controllo e della sua influenza su tutto il territorio libico”.

Lo annuncia sulla pagina ufficiale Facebook il portavoce di Haftar Ahmed al Mismari, precisando che l’operazione interviene “in considerazione delle vaste tensioni politiche e di sicurezza che la nostra regione e la regione dei paesi dell’Africa subsahariana e del Sahel attraversano negli ultimi mesi, che hanno contribuito alla fragilità della situazione di questi paesi e alla debolezza delle loro capacità controllare i propri confini terrestri, il che ha chiaramente aiutato cellule di gruppi e gruppi criminali a spostarsi”. “Le Forze Armate non permetteranno che la Libia sia un (punto di partenza) per gruppi o formazioni armate che rappresentano una minaccia per i nostri vicini o un trampolino di lancio per azioni illegali, confermando con forza il principio di non ingerenza negli affari interni di rapporti amichevoli e fraterni e i paesi vicini e i loro problemi politici”, scrive al Mismari precisando che “questa operazione militare coinvolge l’élite delle forze armate libiche, via terra e via aerea, e l’operazione non si fermerà finché non avrà raggiunto gli obiettivi fissati dal comando generale delle forze armate”. 

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Crisi regionale

“L’operazione militare che abbiamo lanciato prende di mira la regione sud-occidentale vicino ai confini con il Ciad e il Niger”, ha spiegato al Mismari, riferendosi all’avvio di una campagna di terra e aerea contro i gruppi dell’opposizione ciadiana nella regione sud-occidentale libica del Fezzan. “Questo territorio è stato testimone negli ultimi tempi dell’arrivo illegale di molte famiglie ciadiane, che hanno costituto una testa di ponte per l’immigrazione irregolare”, ha aggiunto il portavoce. La regione meridionale della Libia, a detta di al Mismari, “è diventata un rifugio per criminali e terroristi in fuga attraverso le frontiere terrestri dei Paesi vicini”. Da parte loro, i rappresentanti dei Tebu, tribù di ceppo etiope presente nella Libia meridionale ma anche in Niger e Ciad, hanno accusato le forze di Haftar di “pulizia etnica” tramite l’insediamento, al loro posto, dei clan arabi con il pretesto di combattere i ribelli armati ciadiani.

Nel frattempo, il presidente del Consiglio di transizione del Ciad, Mohamed Idriss Deby, ha fatto visita ieri al comune settentrionale di Bardai, a sud della catena montuosa del Tibesti, non distante dal confine con la Libia. Lo ha riferito la presidenza ciadiana in un comunicato stampa, spiegando che la visita rientra in un tour di Deby nelle aree più remote del Paese. Nel comunicato presidenziale si legge che Deby discuterà “con le forze dello Stato dei problemi e delle sfide dello sviluppo, le questioni della pace, della sicurezza e della coesistenza pacifica tra varie componenti” della popolazione. Nell’intervista ai media libici, il portavoce dell’Lna ha detto che “il Ciad attraversa oggi una vera e propria crisi e sono in corso scontri tra l’esercito ciadiano e l’opposizione ai confini meridionali della Libia e del Niger”. Da segnalare, inoltre, che l’ambasciata di Francia a Tripoli ha smentito “le false informazioni diffuse da alcuni organi di stampa e sui social network sul coinvolgimento francese nelle operazioni militari in Libia”. Lo ha riferito la stessa rappresentanza diplomatica in un messaggio sulla piattaforma X, precedentemente nota come Twitter.

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L’allarme dell’Onu

La Libia non può permettersi un altro governo provvisorio, ma ha bisogno di un esecutivo unificato che crei le giuste condizioni per creare un ambiente politico favorevole allo svolgimento delle elezioni. Lo ha detto il rappresentante speciale del segretario generale e capo della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), Abdoulaye Bathily, in un’intervista pubblicata sul sito web dell’Onu.

“La Libia oggi ha due governi, uno a est e uno a ovest. (…) Se continua così, la Libia potrebbe andare verso una divisione a lungo termine perdendo la sua sovranità e integrità territoriale. Il popolo libico è molto preoccupato per questo, vuole che il Paese rimanga una nazione unita”, ha avvertito Bathily. “C’è bisogno di istituzioni politiche, di sicurezza e militari unificate. Non è solo una questione giuridica o costituzionale, ma prettamente politica. I leader libici devono incontrarsi e raggiungere un accordo per formare un governo unito che porterà il Paese alle elezioni”, ha detto il politico senegalese. Il popolo libico, secondo Bathily, è stanco di avere più di due o tre governi contemporaneamente: “I libici vogliono un governo per la Libia e un esercito per la Libia. Vogliono un unico apparato di sicurezza per la Libia, non solo per garantire il processo elettorale, ma anche per le condizioni dei cittadini”.

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Dal febbraio 2022,l’ex Jamahiriya di Muammar Gheddafi è sostanzialmente divisa in due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, ormai ridotto a una scatola vuota priva di funzioni, dal momento che a comandare nell’est è il generale Khalifa Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu aveva lanciato, il 27 febbraio scorso, un piano per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, il termine ultimo proposto da Bathily per preparare la tabella di marcia è scaduto il 15 giugno e lo stesso inviato ha detto che lo “status quo” non è più tollerabile.

Martedì 25 luglio, la Camera dei rappresentanti eletta nel 2014 ha approvato a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, una roadmap per l’insediamento di un ipotetico nuovo mini-governo, incaricato di traghettare la Libia alle elezioni. Le capitali occidentali hanno però accolto con estrema freddezza la decisione, al contrario invece dell’Egitto. Le recenti dichiarazioni di Bathily sembrano ora aprire a questa possibilità, ma il premier di Tripoli Dabaiba non sembra include ad accettare di farsi da parte senza garanzie. Anche perché la stabilità parziale della Libia si basa (o almeno si è sempre basata nell’ultimo anno e mezzo) su un implicito accordo tra due potenti famiglie – i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est) – con un crescente ruolo dei “verdi” (vale a dire gli ex gheddafiani) nei gangli dello Stato profondo.

“Il processo di difesa dei diritti umani in Libia non è privo di rischi e fatiche, in un Paese in cui la maggior parte delle sue istituzioni si è ribellata alle leggi e alla legislazione. Nonostante ciò, la Commissione nazionale per i diritti umani in Libia ha ottenuto in modo indipendente molti successi, prevenendo esecuzioni extragiudiziali (non tutte), impunità e arresti, detenzioni arbitrarie, discriminazioni razziali, nonché affrontando la violenza, sostenendo le problematiche degli sfollati, degli immigrati, e aumentando la consapevolezza dei pericoli dei residuati bellici”. Lo ha dichiarato Khaled al-Marghani, Direttore dell’ufficio media e responsabile della comunicazione del Comitato Nazionale Diritti Umani della Libia.

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“Il Comitato – sottolinea Al-Marghani – ha inoltre compiuto notevoli sforzi per sensibilizzare e promuovere la tutela e la promozione dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, in collaborazione con le autorità competenti, le organizzazioni locali ed internazionali. Solo l’anno scorso, il team del Comitato nazionale per i diritti umani ha lavorato su 333 denunce e comunicazioni, tutte deferite alle autorità interessate, ciascuna secondo la propria competenza, per la nostra volontà di proteggere i diritti delle donne e dei bambini, i diritti dei giornalisti, il diritto all’istruzione, i diritti dei rifugiati ei diritti delle persone con disabilità”.

“Dalla sua istituzione nel 2012, il Comitato nazionale per i diritti umani ha adottato un approccio di neutralità, lavorando per prevenire i conflitti interni, sostenere una riconciliazione nazionale globale e porre fine ai conflitti in corso dal febbraio 2011. Il Comitato nazionale per i diritti umani – in ogni circostanza – non ha cessato di esercitare pressioni sulle autorità e di chiedere maggiori sforzi per adempiere agli impegni internazionali che aveva assunto in materia di diritti umani e aprire la strada allo svolgimento di elezioni legislative e presidenziali secondo una norma costituzionale regolare il processo elettorale, per porre fine alle fasi di transizione e alla divisione politica”. Prosegue il responsabile della Comunicazione della Commissione.

“Infine, il mancato raggiungimento di un accordo politico globale in Libia e le continue brecce e violazioni della sicurezza, alcune delle quali sono equiparabili a crimini di guerra, sono tutte questioni che il Comitato nazionale per i diritti umani ha denunciato e ha ripetutamente chiesto di fermare al fine di prevenire l’approfondimento della divisione e della polarizzazione politica. Si è persino arrivati a invitare il Comitato per le sanzioni internazionali del Consiglio di sicurezza dell’Onu, applicando le risoluzioni del Consiglio n. 2174 e 2259, che prevedevano esplicitamente il perseguimento penale di chiunque pianifichi, diriga o commetta atti che violano il diritto internazionale o i diritti umani in Libia”. Ha concluso.

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Annota Thomas Hill, esperto di Nord Africa per l’Istituto per la Pace negli Stati Uniti: “Il Paese è ormai da quasi 10 anni in questo conflitto violento e sospetto che l’interesse pubblico nel processo democratico stia perdendo, se non l’ha già perso, slancio. Un altro fallimento non fa che aumentare la probabilità che i libici si rassegnino alla convinzione che solo un ‘uomo forte’, capace di imporre la pace attraverso la forza militare, sia la via da seguire”.

“Sullo sfondo  – rimarca un documentato report di Voci globali – c’è la tragedia umanitaria che coinvolge i migranti che si trovano in Libia e che da lì spesso tentano di arrivare in Europa e in Italia. Il 27 marzo 2023, nel suo rapporto finale, la Missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite (FFM) sulla Libia ha espresso profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani, concludendo che vi sono motivi per ritenere che sia stata commessa un’ampia gamma di crimini di guerra e contro l’umanità.

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha istituito la FFM nel giugno 2020 per indagare sulle violazioni e gli abusi sui migranti dall’inizio del 2016, al fine di prevenire un ulteriore deterioramento della situazione e garantire la responsabilità dei crimini. Da allora, la Missione ha condotto più di 400 interviste e raccolto più di 2.800 informazioni, comprese immagini fotografiche e audiovisive.

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“Il mandato della Missione sta terminando quando la situazione dei diritti umani in Libia si sta deteriorando le riforme legislative, esecutive e del settore della sicurezza necessarie per sostenere lo stato di diritto e unificare il Paese sono lungi dall’essere realizzate”, afferma il rapporto, aggiungendo “in questo contesto polarizzante,i gruppi armati che sono stati implicati in accuse di tortura, detenzione arbitraria, tratta e violenza sessuale rimangono impuniti”.

Inoltre, l’indagine ha provato che le autorità libiche, in particolare nei settori della sicurezza, stanno riducendo i diritti di riunione, associazione, espressione e credo per garantire l’obbedienza e punire le critiche contro le autorità. La tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione e il traffico di migrantivulnerabili hanno generato anche entrate economiche significative per individui, gruppi e istituzioni statali e hanno incentivato la continuazione delle violazioni.

Ci sono ragionevoli motivi per ritenere anche che i migranti siano stati ridotti in schiavitù in centri di detenzione ufficiali così come in prigioni segrete e che lo stupro sia stato commesso sistematicamente. Il rapporto ha sottolineato inoltre che le donne sono ripetutamente discriminate in Libia e conclude che la loro situazione è notevolmente peggiorata negli ultimi tre anni.

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La questione è drammatica e grave e coinvolge purtroppo anche l’UEe la stessaItalia,da tempo nel mirino degli osservatori dei diritti umani a causa del Memoradum d’intesa con la Libia, con il quale il nostro Paese finanza la Guardia costiera libica.

In un comunicato del 7 aprile 2023, Human Rights Watch ha espresso sdegno proprio nei confronti dell’Unione Europea che, si legge nella nota, “ha contestato i risultati che criticavano l’UE affermando che la sua cooperazione con la Libia mira a rafforzare la gestione della migrazione e il rispetto dei diritti umani, e ha acconsentito a una risoluzione che ha seppellito qualsiasi rilevante processo di segnalazione di follow-up al rapporto delle Nazioni Unite”.

“L’UE dovrebbe urgentemente cambiare rotta. Dovrebbe approvare e spingere per l’attuazione e per dare un seguito alla raccomandazione del rapporto e quella del capo dei diritti umani delle Nazioni Unite, secondo cui il Consiglio per i diritti umani dovrebbe istituire in una prossima sessione un meccanismo indipendente per monitorare le violazioni dei diritti umani in Libia.L’UE dovrebbe inoltre sospendere la cooperazione con le autorità libichee attuare una rigorosa due diligence sui diritti umani nei suoi finanziamenti a Paesi terzi fino a quando non smetteranno di inviare persone in luoghi in cui subiscono abusi e condizioni di detenzione disumane”.

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L’Italia, forte del suo accordo per il gas libico tramite l’Eni e dei finanziamenti alla Guardia costiera libica, ha già dato sostegno alla bozza della risoluzione del Consiglio dei diritti umani Onu, criticata aspramente da Human Rigts Watchproprio perché si limita a sostenere il rafforzamento delle capacità delle Nazioni Unite e l’assistenza tecnica al Governo di Tripoli, invece di spingere per un processo più incisivo che trovi e punisca i colpevoli di tali atrocità.

Anche da qui, da precise responsabilità del nostro Paese, passa il fallimento dello Stato libico”.

Considerazione finale, postilla Globalist, del tutto condivisibile. E’ una verità storica. Che nessuna narrazione di comodo potrà mai smentire.

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