Tensione in uno scenario che non promette nulla di buono. Il premier kosovaro Albin Kurti ha affermato che «il recente attacco terroristico» di un commando paramilitare fa parte di un «piano più ampio» della Serbia per «annettere» il nord del Kosovo, popolato prevalentemente da serbi.
«Sulla base dei documenti sequestrati, la polizia del Kosovo ha confermato che l’attacco terroristico (a Banjska) fa parte di un piano più ampio per annettere il nord del Kosovo attraverso un attacco coordinato su 37 posizioni» in totale, ha scritto Kurti sul social network «X». Il piano era, secondo lui, di «creare un corridoio verso la Serbia» per «permettere l’approvvigionamento di armi e truppe».
In questo attacco del 24 settembre, un commando paramilitare composto da diverse decine di uomini ha ucciso un poliziotto kosovaro albanese e ne ha ferito un altro, su una barricata vicino al villaggio di Banjska, nel nord del Kosovo.
Tre membri del commando, tutti serbi del Kosovo, sono stati uccisi e altri tre arrestati nel corso di un’operazione lanciata poi dalle forze speciali della polizia kosovara. Un terzo dei circa 120.000 serbi del Kosovo (1,8 milioni di abitanti) vive in questa regione di confine della Serbia, dove Pristina vuole consolidare la propria sovranità.
Sostenuti da Belgrado, rifiutano ogni fedeltà al governo del Kosovo, ex provincia serba a maggioranza albanese che ha proclamato nel 2008 la sua indipendenza, mai riconosciuta dalla Serbia. Lo stesso giorno dell’attacco, le autorità di Pristina avevano affermato che Belgrado era dietro a questo gruppo pesantemente armato, accuse che le autorità serbe respingono.
