In Serbia resta alta la tensione dopo le accuse dell'opposizione al governo di brogli alle elezioni

Accusato il presidente nazionalpopulista Aleksandar Vucic, di aver falsificato i risultati delle elezioni parlamentari e amministrative del 17 dicembre scorso,

In Serbia resta alta la tensione dopo le accuse dell'opposizione al governo di brogli alle elezioni
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26 Dicembre 2023 - 23.52


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 A Belgrado resta alta la tensione politica dopo i disordini e i violenti scontri fra polizia e sostenitori dell’opposizione che alla vigilia di Natale, al culmine di reiterate proteste contro presunti brogli elettorali, hanno cercato di assaltare la sede del municipio della capitale serba. Un episodio dai toni drammatici che ha segnato un nuovo, preoccupante livello nello scontro fra governo e opposizione, che accusa la dirigenza, e in primo luogo il presidente nazionalpopulista Aleksandar Vucic, di aver falsificato i risultati delle elezioni parlamentari e amministrative del 17 dicembre scorso, a favore del suo Partito del progresso serbo (Sns), largo vincitore del voto.

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Nelle violenze di domenica contro il municipio, bersagliato da un fitto lancio di sassi, bottiglie, bastoni e altri oggetti, 38 manifestanti sono stati arrestati, mentre tra i poliziotti in assetto antisommossa si sono registrati otto feriti, due dei quali gravi. Condannando con forza gli incidenti, Vucic non ha escluso il coinvolgimento di «forze straniere», un’ipotesi subito cavalcata dalla dirigenza russa, che ha puntato il dito contro l’Occidente, interessato per Mosca a riproporre in Serbia uno scenario analogo a quello della rivoluzione di Maidan nel 2014 a Kiev.

Un evento che il Cremlino considera un vero e proprio colpo di Stato in Ucraina ad opera di estremisti della destra ultranazionalista, e non l’avvento al potere di forze filoeuropeiste, come sostengono invece la Ue e i governi occidentali. «È evidente che l’Occidente cerca di destabilizzare la situazione in Serbia», ha detto Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo. Anche per il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, «sono evidenti i tentativi di forze esterne, anche dall’estero, di promuovere disordini a Belgrado».

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L’opposizione serba chiede con forza l’annullamento delle elezioni parlamentari e amministrative del 17 dicembre, che sarebbero state falsate da gravi brogli e irregolarità, denunciate in parte anche dagli osservatori internazionali all’indomani del voto. Accuse respinte con sdegno dal presidente Vucic e dai componenti del governo, che accusano gli oppositori di non voler accettare la pesante sconfitta sancita dalle urne. E mentre alcuni esponenti di punta dell’opposizione proseguono per protesta uno sciopero della fame, «La Serbia contro la violenza», il principale cartello delle forze di opposizione, ha fatto sapere che non parteciperà il 30 dicembre alla ripetizione del voto prevista in 28 seggi sparsi nel Paese, le cui schede sono state annullate a causa di evidenti irregolarità.

La radicalizzazione dello scontro politico a Belgrado non favorisce certo il cammino della Serbia sulla strada dell’integrazione nell’Ue, già tormentato da quella che viene definita la posizione «bifronte» del Paese balcanico, che da una parte guarda alla prospettiva europea, mentre dall’altra resta saldamente legato alla Russia, della quale è il principale alleato nei Balcani. Un legame storico che ha indotto Belgrado a rifiutare di aderire alle sanzioni internazionali contro Mosca per l’intervento militare in Ucraina, invocando i propri interessi nazionali. Che sono in primo luogo l’appoggio della Russia sulla questione del Kosovo, e le forniture energetiche russe a prezzi di grande favore.

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