Gaza, pioggia di bombe: almeno cinquanta raid israeliani mentre i civili continuano a morire

La guerra tra Israele e Hamas, entrata nella sua tredicesima settimana, continua ad essere combattuta con grande intensità per le strade e dal cielo su tutta la Striscia

Gaza, pioggia di bombe: almeno cinquanta raid israeliani mentre i civili continuano a morire
Civili uccisi a Gaza da missili israeliani
Preroll AMP

globalist Modifica articolo

30 Dicembre 2023 - 23.15


ATF AMP

Un massacro senza fine.  La guerra tra Israele e Hamas, entrata nella sua tredicesima settimana, continua ad essere combattuta con grande intensità per le strade e dal cielo su tutta la Striscia, con l’esercito dello Stato ebraico che intensifica giorno dopo giorno la pressione sul sud. Provocando l’esodo dei civili palestinesi verso Rafah. Le ostilità sempre più cruente non fermano comunque la trattativa per nuove pause umanitarie.

Top Right AMP

Hamas sembra aver rinunciato all’idea di un cessate il fuoco totale come condizione per rilanciare altri ostaggi, ma la strada per un’intesa appare ancora lunga. Tanto più che nell’ennesima conferenza stampa serale il premier Benyamin Netanyahu ha ribadito il suo mantra: «Andremo avanti per molti mesi, non cederò alle pressioni internazionali».

Nella prime ore della giornata l’Idf ha comunicato di aver attaccato diversi obiettivi di Hamas nel nord e nel centro di Gaza. Mentre nell’area meridionale di Khan Yunis, considerata la roccaforte del nemico, l’aviazione che ha intensificato le operazioni effettuando circa 50 raid e prendendo di mira anche i tunnel. Le truppe di terra hanno riferito di un’irruzione nella base dell’intelligence del gruppo armato palestinese, e nello stesso complesso sarebbe stato localizzato anche un centro di comando della Jihad islamica, l’altra fazione che sfida Israele.

Dynamic 1 AMP

Azioni eclatanti, immortalate dalle tv nazionali, mentre il bollettino delle operazioni viene aggiornato con decine di «terroristi uccisi», armi, ordigni esplosivi, equipaggiamenti militari e dispositivi di comunicazione recuperati. Con un drammatico risvolto: la crescente fuga dei civili, sempre più a sud. Secondo l’Onu, almeno centomila persone si sarebbero trasferite a Rafah, al confine con l’Egitto.

Ed è quotidiano lo scontro a fuoco al confine settentrionale di Israele tra l’esercito e i miliziani di Hezbollah (che ha denunciato l’uccisione di 4 suoi combattenti). Uno scenario preoccupante per gli Stati Uniti, che hanno deciso di inviare un emissario a Beirut per tentare di mediare una de-escalation. Come se non bastasse, c’è il crescente deterioramento della situazione nell’altro fronte legato all’Iran, la Siria, dove Israele avrebbe intensificato gli attacchi, in risposta a missili caduti sul Golan: attivisti hanno riferito di diciannove miliziani filo-Teheran uccisi nell’est del Paese, ma secondo i media nazionali è stato preso di mira anche l’aeroporto di Aleppo, nel nord, con un massiccio attacco aereo. «L’Iran guida l’Asse del Male e noi agiamo contro l’Iran, anche se è meglio non dare precisazioni», è la sibillina frase di Netanyahu rivolta ai giornalisti.

Per quanto riguarda le trattative mediate da Qatar ed Egitto sugli ostaggi qualcosa sembra muoversi. Hamas, è il messaggio riportato al governo israeliano dal Mossad, sarebbe pronto a negoziare un accordo per il rilascio di 40-50 persone, tra cui donne, adulti e malati, in cambio di un cessate il fuoco di 20-30 giorni e del rilascio dei prigionieri. Secondo una fonte politica israeliana si tratterebbe di un «leggero progresso», anche se è «troppo presto» per immaginare una «svolta». Secondo un’altra fonte di sicurezza, invece, «finché non ci sarà un cambiamento fondamentale in Hamas sulla sopravvivenza del suo governo, la possibilità di raggiungere un accordo è scarsa».

Dynamic 1 AMP

In assenza di un altro accordo sugli ostaggi, in seno al governo israeliano è in corso una disputa sullo sviluppo dell’offensiva a Gaza. Da una parte Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, orientati a continuare a pieno regime la campagna militare almeno fino a gennaio. Dall’altra Benny Gantz (che un israeliano su due vorrebbe diventasse premier) e Gadi Eisenkot, che spingono per passare alla fase C, ossia ridurre il contingente in campo e affidare a unità d’elite operazioni chirurgiche. Un’opzione invocata anche dagli Stati Uniti, come sarebbe emerso in un colloquio tra Gallant ed il capo del Pentagono Lloyd Austin. Washington da tempo preme sull’alleato perché riduca l’intensità degli attacchi per facilitare una fase di stabilizzazione della Striscia.

Proprio dagli Usa, nel frattempo, il New York Times ha scritto che l’esercito israeliano non aveva un piano per gestire un massiccio assalto di Hamas, come si è visto il 7 ottobre. Il report da una fonte interna dipinge il quadro di militari che per lunghe ore non avevano compreso la portata dell’attacco, rispondendo in modo lento e inefficiente. 

FloorAD AMP
Exit mobile version