Mi ha sorpreso la dignità con la quale Ilaria Salis si è presentata sorridente in aula nel tribunale di Budapest in contrasto con il trattamento disumano inflittole da un sistema giudiziario che nulla ha a che vedere con il rispetto dei diritti umani, prima di tutto. Incatenata mani e piedi e tenuta legata a un guinzaglio. Non vedevamo un simile trattamento per una persona arrestata dai tempi di Guantanamo per i presunti responsabili dell’abbattimento delle Torri gemelle. Di più, sembra di essere tornati ai tempi della schiavitù. E per un’accusa che non è stata nemmeno provata – e dalle immagini mostrate pare inverosimile che Ilaria fosse tra i partecipanti – di un’aggressione a dei neonazisti e quella di appartenere a una organizzazione estremista tedesca.
Immagini che fanno inorridire. C’è da chiedersi come sia possibile un simile trattamento in un paese che fa parte dell’Unione europea e che dovrebbe garantire tutti i diritti sanciti da tale organizzazione. C’è da chiedersi perché il nostro governo, e in primo luogo Giorgia Meloni che con il suo omologo ungherese Vikton Orban ha ottimi rapporti, non sia intervenuto pe far rispettare i diritti di una cittadina italiana. E come mai l’ambasciata italiana a Budapest non sia intervenuta in tal senso.
Viene da chiedersi quindi se la «colpa» di Ilaria Salis sia quella di essere una militante antifascista e che volesse far valere il suo diritto a esserlo anche fuori dai nostri confini, ma dentro quelli europei. E se dovesse verificarsi che questa è la «colpa» tutti noi antifascisti dovremmo sentirci in pericolo manifestando la nostra partigianeria. Un timore non infondato se i neonazisti possono manifestare indisturbati – e vanno in carcere quelli che li contrastano – a Budapest come a Roma e se a Milano alla Scala viene identificato chi ha urlato il suo antifascismo.
Non vorrei abusare dello slogan che spesso si usa in questi casi, «siamo tutti, anzi tutte, Ilaria Salis», perché non si tratta solo di solo di solidarietà umana ma politica. L’indifferenza delle autorità italiane ed europee ci fa sentire meno sicuri come cittadini europei dentro l’Europa, troppo facile mettere sotto accusa solo regimi autoritari e dittatoriali al di là delle nostre frontiere e dei nostri mari, i mostri sono dentro i nostri confini. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura che ha visitato le carceri magiare nel marzo del 2023 ma non ha ancora pubblicato il rapporto, quanto tempo dovremo ancora aspettare?
Le denunce del padre di Ilaria sui trattamenti subiti fin dal suo arresto, undici mesi fa, con l’umiliazione che si trasforma in tortura, hanno avuto difficoltà a farsi sentire anche dai media oltre che dal governo. Forse anche perché il suo atteggiamento non è stato aggressivo come avrebbe avuto tutti i diritti di esserlo, ma ha cercato di sensibilizzare con delle prove inconfutabili di cui si è avuto la prova con la prima seduta del processo. E la pena pesante richiesta – viste le lievi lesioni – di undici anni supera persino quelle previste, in simili occasioni, dal codice Rocco di epoca fascista.