Dissenso, l'esempio di Oleg Orlov: "La nostra serenità vi seppellirà"

Oleg Orlov che dall'aula del tribunale oggi sarebbe uscito con una condanna sulle spalle, e in manette, per un viaggio carico delle pesanti incognite che qui accompagnano la detenzione.

Dissenso, l'esempio di Oleg Orlov: "La nostra serenità vi seppellirà"
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

27 Febbraio 2024 - 21.23


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“Quello che mi ha colpito è la serenità nei suoi occhi, nelle parole scambiate coi giornalisti e con gli attivisti che lo salutavano mentre entrava in tribunale”. E ben sapeva Oleg Orlov che dall’aula del tribunale oggi sarebbe uscito con una condanna sulle spalle, e in manette, per un viaggio carico delle pesanti incognite che qui accompagnano la detenzione.

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Istantanee di chi questa mattina era a Mosca, città dolorosa, a lutto per la morte di Navalny, sofferente per i tanti arresti e le innumerevoli intimidazioni. Mosca che guarda con angoscia ai giorni, alle ore a venire.

Navalny senza pace in vita come in morte. Si cerca disperatamente un luogo dove potergli dare l’ultimo saluto. Gli amici di Alexei raccolgono, uno dopo l’altro, dieci, cento rifiuti: chi chiude la porta all’ingombrante corpo senza vita di Navalny, accampando improbabili motivi o chi, con onestà, sottovoce ammette di aver ricevuto un ordine preciso, uno di quegli inviti ai quali non si può dire di no.

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Mentre si continua a cercare, a bussare ad ogni porta, provando a seppellire Navalny entro questa settimana e con l’affetto e l’onore dei suoi e di chi vorrà sfidare gli occhi del Cremlino, dagli amici di Navalny viene rinnovato l’invito che il dissidente lanciò dal carcere: russi, andate a votare, tutti a mezzogiorno del 17 di marzo. Una scelta legittima, ma già il Cremlino ha avvertito: questo non sarà tollerato, l’appuntamento indicato da Navalny sarà una sfida a Putin, quindi una sfida alla legge. Nella Russia di oggi, quella dell’operazione speciale che doveva durare una settimana e già è al terzo anno, in questa Russia l’interpretazione di legge e di crimine sfidano la ragione, provano a soffocarla.

Orlov come Navalny, come tanti uomini e donne, come tanti giovani che sfidano freddo e repressione per deporre un fiore, tutti colpiscono per la serenità con la quale sfidano il potere. Navalny, dopo essere sopravvissuto al veleno, prende un aereo, torna a casa e si consegna, sapendo che dal carcere di Putin difficilmente sarebbe uscito vivo. Va in carcere baciando la moglie, che ricambia con serenità. Poi, dalla cella, sorrisi (anche per i giudici) e cuoricini disegnati con le mani, regalati a quella moglie che in questi giorni prende il testimone della lotta del marito e sfida ripetutamente lo zar.

Stessa serenità in Oleg Orlov, e nelle parole che la moglie scambia coi giornalisti, dopo la sentenza, prima di rientrare da sola a casa. “Combattiamo da 40 anni per la libertà e i diritti, continueremo a farlo – ha detto, sorridendo – Attorno abbiamo tanta gente che vuole farlo”. Ecco, di fronte a questi gesti, a queste parole, a questi sentimenti, mi vengono in mente immagini lontane di un’altra Resistenza, la nostra contro il fascismo. Penso ai dissidenti che non si scomponevano quando di notte bussava la milizia di Mussolini, penso alle donne di casa che avevano già preparato la valigia con l’essenziale da portare in carcere. Il tempo di un bacio, e via non sapendo se si tornava a casa.

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E Orlov oggi lo ha detto: la sua e quella degli altri che stanno resistendo è una battaglia perché a Mosca non vinca il fascismo. Perché questo è, fascismo.

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