A Gaza, «la realtà è estremamente tesa, oltre che complessa. È urgente un cessate il fuoco. Occorre fermare queste catastrofi quotidiane. I drammi sono all’ordine del giorno, sia a Gaza che nel resto della Terra Santa. A Gaza la gente è stremata. Sono ormai quasi sei mesi di sangue e morte. La Striscia è dilaniata anche dalla tensione per il conflitto, e dalla fatica di vivere in un contesto provvisorio. C’è la coscienza di avere perduto tutto. E poi, la mancanza di medicinali, di viveri. Tutto questo ha provocato grande stanchezza. Disperazione. A cui si unisce un fenomeno sociale particolarmente preoccupante».
Così il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, punto di riferimento della diplomazia della Santa Sede in Medio Oriente.
«L’Occidente e gli Stati Uniti bisogna che pressino con tenacia le parti in conflitto, in modo da convincerle ad arrivare a un accordo per il bene comune», ha aggiunto. «Condivido ciò che ha detto» il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, «è una risposta sproporzionata. È stato poi molto contestato, con reazioni dure, severe: il problema è che qui ciascuno vuole che tutti siano arruolati a una narrativa contro l’altra, linea che la Chiesa non può assolutamente seguire. Una delle principali difficoltà che incontriamo è proprio far comprendere che la Chiesa ha una narrativa sua, un modo suo di esprimersi, un linguaggio che punta sempre e solo alla pace».
La responsabilità di fermare il conflitto, a suo dire, «ce l’hanno tutte e due le parti, ma con livelli diversi». Secondo Pizzaballa, «la Chiesa non deve entrare nella mediazione vera e propria: c’è già chi la fa, quindi non ha molto senso creare canali paralleli. Compito della Chiesa è quello di facilitare questi dialoghi. Trovare i modi per smussare gli angoli. E creare occasioni».