A Gaza il 96% della popolazione è sull’orlo della carestia.
Continuano a peggiorare i dati sulla fame nella Striscia secondo il nuovo report sulla Classificazione Integrata delle Fasi della Sicurezza Alimentare (IPC) appena pubblicato.
Ad Al- Mawasi, definita “zona sicura” anche per l’accesso agli aiuti umanitari, si registra la più alta concentrazione al mondo di persone private di cibo e acqua.
La denuncia di Oxfam
“I dati contenuti nel report – rimarca Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia, testimoniano il vergognoso fallimento dei leader mondiali nell’affrontare l’emergenza umanitaria a Gaza: non si sono ascoltati i tanti avvertimenti arrivati negli ultimi mesi e soprattutto non si è fatto nulla per impedire a Israele di usare la fame come arma di guerra. Il leggero miglioramento delle condizioni nel nord del Paese dimostra che Israele quando vuole può ridurre le immani sofferenze di cui è vittima la popolazione civile. Purtroppo, però la stessa analisi denuncia come la fase di apertura a un maggior ingresso degli aiuti umanitari sia già finita e stiamo già assistendo all’imposizione di nuove limitazioni. Le conseguenze della deliberata quanto crudele politica israeliana che priva la popolazione palestinese di beni essenziali, sono senza precedenti: al momento 2,15 milioni di persone, circa il 96% della popolazione di Gaza soffre di malnutrizione acuta. Ad Al-Mawasi, dichiarata “zona sicura” anche per l’accesso agli aiuti umanitari, si registra la più alta concentrazione di persone al mondo rimaste letteralmente senza cibo, acqua e servizi igienici”.
I bambini continuano a morire di fame
“Solo pochi giorni fa abbiamo appreso che altri due bambini sono morti di fame a Beit Lahiya. Il bilancio delle vittime per mancanza di cibo e acqua è ora di 31 persone. Ma questi non sono solo numeri: rappresentano un destino indicibile per tanti bambini e il lutto delle loro famiglie. – aggiunge Pezzati – Oltre al cibo in questo momento anche l’acqua pulita è quasi introvabile, accelerando la diffusione di malattie”.
Senza un cessate il fuoco altre vite andranno perse
“Ogni giorno che passa senza un cessate il fuoco significa che altre vite andranno perse. Non c’è più tempo. – conclude Pezzati – Per questo, lo ribadiamo ancora una volta: i leader mondiali devono esercitare ogni forma possibile di pressione diplomatica su tutte le parti in conflitto, affinché accettino un cessate il fuoco permanente. Pretendendo immediatamente che Israele consenta l’ingresso a Gaza degli aiuti necessari a impedire che altri bambini palestinesi muoiano di fame. È poi fondamentale che la distribuzione possa avvenire in sicurezza dentro la Striscia rimuovendo tutte le restrizioni e i posti di blocco che la rendono ad oggi di fatto quasi impossibile”.
I più indifesi tra gli indifesi
Così Save the Children: “I dati dell’IPC mostrano anche che circa 745.000 bambini e adulti a Gaza si trovano ad affrontare condizioni di emergenza di insicurezza alimentare caratterizzate da malnutrizione acuta e un crescente rischio di morte per fame. Questi numeri critici rivelano ancora una volta che senza la fine delle ostilità e senza miglioramenti immediati nell’accesso agli aiuti, tutti i bambini di Gaza sono a rischio carestia. E almeno 34 persone, la maggior parte delle quali bambini, sono già morte a causa di grave malnutrizione, secondo quanto riportato dal Ministero della Sanità di Gaza.
Gaza: chiediamo l’accesso agli aiuti
Ulteriore segnalazione del rapporto dell’IPC è che, sebbene le persone nel nord di Gaza siano state temporaneamente salvate dalla carestia (prevista dall’indice IPC per lo scorso maggio), ciò è avvenuto solo perché sono stati concessi aiuti limitati per raggiungere le persone maggiormente in difficoltà. Al contrario, nel Sud, la situazione della fame è notevolmente peggiorata, a causa delle continue ostilità e del ridotto accesso agli aiuti.
Cosa fa differenza tra la vita e la morte per le persone a Gaza? Gli aiuti e l’accesso agli aiuti.
Per questo motivo è urgente e necessario che venga dato il pieno accesso e illimitato in tutta la Striscia di Gaza agli operatori umanitari e alle forniture salvavita per affrontare la malnutrizione dei bambini, fornire alimentazione supplementare alle donne in gravidanza e in allattamento.
Noi, come altre agenzie umanitarie, non siamo in grado di raggiungere i moltissimi bambini e adulti che stanno soffrendo la fame estrema a causa delle ostilità in corso e della mancanza di servizi e forniture di base.
Fame e malnutrizione a gaza: il racconto dal nostro staff
Il nostro staff medico in una delle sue cliniche, in sole cinque settimane ha segnalato circa 40 casi di bambini e bambine affetti da malnutrizione grave e rischiosa per la sopravvivenza. Hanno segnalato anche di bambini e adulti che presentavano sintomi, come peso estremamente basso, affaticamento, bassa pressione sanguigna.
C’è stato, inoltre, un aumento dei fenomeni di diarrea tra i bambini, di ittero e di patologie respiratorie, tutte malattie che, se aggiunte alla fame estrema, possono uccidere un bambino in pochi giorni. Durante il fine settimana, una madre di 38 anni è arrivata in una nostra clinica con un grave affaticamento e atrofia muscolare: pesava solo 38 kg.
“Sappiamo come prevenire la malnutrizione, sappiamo come curarla, ma non ci viene data l’opportunità di farlo. Gravi e significative restrizioni all’accesso degli aiuti e pesanti combattimenti ci impediscono di gestire le cliniche come faremmo normalmente, e come abbiamo fatto in innumerevoli altre emergenze in precedenza, salvando vite umane” ha affermato Rachel Cummings, Team Leader di Save the Children a Gaza.
Per evitare che i bambini muoiano di fame e malnutrizione, è necessario poterli raggiungere, sottoporli a screening e curarli. Abbiamo urgente bisogno di arrivare alla popolazione”.
Dieci bambini in media al giorno a Gaza perdono una o entrambe le gambe a causa della guerra che imperversa nel territorio assediato, ha dichiarato il capo dell’Unrwa, l’agenzia Onu che sostiene i rifugiati palestinesi. “Fondamentalmente abbiamo ogni giorno 10 bambini che perdono in media una o due gambe”, ha detto Philippe Lazzarini ai giornalisti a Ginevra, citando i dati dell’agenzia Onu per l’infanzia Unicef. Questi numeri non includono i bambini che hanno perso mani o braccia.
In seguito agli ultimi attacchi delle forze israeliane a Rafah gli esperti delle Nazioni Unite hanno riferito di «persone intrappolate in tende di plastica in fiamme» e «bruciate vive», mentre il Ministero della Sanità di Gaza ha parlato di «corpi bruciati e non identificabili».Ma l’identificazione da parte dei parenti è comunque impossibile anche perché le famiglie sono state allontanate e le restrizioni all’ingresso impediscono l’accesso delle attrezzature e degli esperti necessari. Gaza è diventata un cimitero di bambini, con migliaia di dispersi il cui destino è sconosciuto. «Chiediamo un’indagine indipendente e che i responsabili siano chiamati a rispondere. Abbiamo un disperato bisogno di un cessate il fuoco per trovare e sostenere le bambine e i bambini sopravvissutie per evitare che altre famiglie vengano distrutte», ha detto Jeremy Stoner, Direttore di Save the Children per il Medio Oriente.«E anche per quanto riguarda i bambini che hanno perso la vita, la loro morte deve essere registrata in modo ufficiale, le famiglie informate, vanno rispettati i riti di sepoltura e ricercate le responsabilità».
Il racconto di una madre
A raccoglierlo, per Vanity Fair, è Alessia Arcolaci: “Come racconta Maryam (nome di fantasia), che lavora insieme all’organizzazione internazionale WeWorld, presente a Gaza. «Qualche giorno fa, mio figlio mi ha detto che non ha paura della morte. La sua vera paura è di diventare l’unico sopravvissuto della sua famiglia. In questo momento nel nostro edificio assistiamo 108 sfollati interni, la maggior parte dei quali sono donne e bambini. La vita in questa nuova aggressione su Gaza si è trasformata in una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Iniziamo ogni giornata con il compito di valutare la nostra fornitura idrica domestica, poi raccogliamo contenitori vuoti e percorriamo circa 2 chilometri per andare a prendere l’acqua, ripetendo questo tragitto da quattro a sei volte al giorno, il tutto essendo completamente esposti al pericolo di razzi e bombe».
La testimonianza di Maryam ci arriva via whatsapp. In un messaggio audio sentiamo nitido e costante il rumore degli aerei che sovrastano il cielo. La voce si alza e si abbassa quasi a seguire il rimbombo che arriva da sopra la testa. «Quando abbiamo raccolto l’acqua, dobbiamo poi bollirla per poterla bere. La terza impresa quotidiana è mettersi in fila per procurarsi pane e cibo con cui nutrire il maggior numero possibile di nostri concittadini. Allo stesso tempo, teniamo d’occhio i cieli, pienamente consapevoli che questa coda è un bersaglio perfetto per gli attacchi».
Ma la preoccupazione maggiore di Maryam è per i suoi bambini. «Nonostante i rischi e i pericoli intrinseci coinvolti, queste preoccupazioni impallidiscono in confronto alla situazione straziante dei miei figli che spesso hanno improvvise difficoltà respiratorie. L’adeguatezza del cibo, dell’acqua e del pane diventa una preoccupazione secondaria quando riesco a dire parole rassicuranti ai miei figli, assicurando loro che andrà tutto bene, anche se nel profondo sono consapevole che le cose sono tutt’altro che “buone”. È difficile anche quando si rendono conto da soli che non sono del tutto sincera».