L’ultimo scontro tra i due vicepremier è sull’esito delle elezioni in Austria. «Le battaglie politiche si vincono sempre al centro per impedire che gli estremisti di destra e sinistra facciano danni. Ogni rigurgito neonazista va respinto», ha detto il segretario di Forza Italia Antonio Tajani.
«Stamattina qualcuno parlava di nazismo: c’è qualcuno che dorme male, che mangia pesante, perché non penso ci sia l’allarme neonazista in Francia, in Germania, in Austria e in Olanda», è stata la reazione di Matteo Salvini.
Al di là del dibattito sulla formazione del governo a Vienna, le elezioni austriache hanno evidenziato nuovamente la collocazione differente in Europa dei partiti che governano insieme in Italia. «Ormai – dice un ‘big’ ex lumbard – è chiaro che si sta rafforzando un fronte europeo con una collocazione ben precisa. E presto ci sarà un nuovo sistema mondiale dopo la vittoria di Trump…».
E allora – continua il ragionamento – «non ci sarà una divisione tra destra e sinistra, ma tra chi vuole più o meno Europa. Anche M5S e un pezzo della sinistra potrebbero ritrovarsi con noi», argomenta l’esponente del Carroccio.
«Quando i cittadini votano bisogna rispettare il voto popolare», ha sottolineato il segretario della Lega. «Se gli austriaci hanno deciso che il primo partito fosse il Partito delle Libertà, che ha i temi della sicurezza, contrasto all’immigrazione clandestina, della difesa del lavoro e della famiglia fra le sue priorità, vuol dire che così la pensano gli austriaci. Saranno a Pontida e nessuno si offenda».
I fari sono puntati proprio sulla kermesse del partito di via Bellerio, in programma il 6 ottobre. Si parlerà principalmente del processo Open Arms (il 18 ottobre i parlamentari leghisti saranno a Palermo a sostegno dell’allora ministro dell’Interno, ma il raduno potrebbe non tenersi davanti al tribunale), ma a far notizia saranno soprattutto gli ospiti che interverranno sul pratone.
Oltre agli austriaci, ci sarà il premier ungherese Viktor Orban, il leader dei sovranisti olandesi Geert Wilders, il leader dei sovranisti portoghesi di Chega André Ventura.
La Lega punta sul gruppo dei Patrioti, Forza Italia rilancia la centralità del Ppe. «Curiose ma lunari le analisi post-voto che arrivano dai partiti che da anni mal governano in Europa. Quando le forze di establishment vengono sonoramente bocciate alle urne, iniziano a vedere fascisti e nazisti ovunque», tagliano corto dalla Lega.
Ma Tajani insiste: la forza dei popolari europei con l’estrema destra «non dialoga in Germania e non dialogherà neanche in Austria».
Sono diversi i fronti aperti tra la Lega e Forza Italia. C’è il nodo dell’autonomia differenziata: in vista del 3 ottobre, quando i presidenti di Regione incontreranno il ministro Calderoli per ragionare sull’iter delle materie non Lep, anche nel partito di via Bellerio c’è chi vorrebbe trovare una sintesi tra le esigenze dei parlamentari del Nord e quelli del Sud. Gli azzurri, però, hanno lanciato un appello: «Fermiamoci», ha detto il governatore della Calabria Roberto Occhiuto.
Mentre la Lega continua a opporsi alla proposta di Forza Italia sullo ius scholae, anche Fratelli d’Italia prende le distanze. Gli azzurri non devono diventare strumento dell’opposizione, è stato l’appello. FI e Lega sono divisi anche su altri provvedimenti, come per esempio la riforma del codice della strada. Il partito azzurro, infatti, punta al Senato a modificare il provvedimento che ha avuto il via libera della Camera.
Le tensioni tra i due partiti sono presenti anche sulle misure legate alla legge di bilancio: Forza Italia ha sbarrato la strada a qualsiasi norma sugli extraprofitti delle banche. Anche sul decreto omnibus, sul quale domani il Senato voterà la fiducia, ci sono state frizioni all’interno della maggioranza.
Da qui emerge la preoccupazione di alcuni parlamentari del centrodestra che la tensione possa crescere con l’avvicinarsi della legge di bilancio. Proprio per questo, nelle scorse settimane, sia la premier Giorgia Meloni che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti hanno sottolineato la necessità di evitare di alzare l’asticella delle richieste nella manovra.