Tunisia: una elezione farsa, una tragedia vera

Tunisia una rivoluzione tradita, violentata, e da una controrivoluzione autoritaria, modello egiziano, portata avanti dall’autocrate di Tunisi: Kais Saïed.

Tunisia: una elezione farsa, una tragedia vera
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Ottobre 2024 - 23.55


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Chiedo venia. La tragedia mediorientale, il genocidio a Gaza, il nuovo fronte libanese, l’apartheid in Cisgiordania, hanno messo da parte un’altra storia, una bruttissima storia, che pure è da anni nelle corde di Globalist: la storia della Tunisia. Di una rivoluzione tradita, violentata, e da una controrivoluzione autoritaria, modello egiziano, portata avanti dall’autocrate di Tunisi: Kais Saïed.

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Plebiscito farsa

Recuperiamo attraverso un ottimo report di Michele Raviari per Vatican News: “Senza alcuna sorpresa, domenica 6 ottobre, il presidente Kais Saïed, in carica dal 2019 è stato riconfermato alla guida della Tunisia, vincendo le elezioni con il 90,7% dei voti. Sebbene gli aspiranti candidati alla massima carica istituzionale del Paese nordafricano fossero 17, solo a due è stato permesso di partecipare: Ayachi Zammel, industriale liberale di 47 anni, sconosciuto al grande pubblico, che ha raccolto il 7,35 e  che si trova in carcere dall’inizio di settembre, condannato a oltre 14 anni di prigione per presunte falsificazioni delle firme a sostegno della sua candidatura, e Zouhair Maghzaoui, 59 anni, ex-deputato della sinistra panarabista, che non è arrivato al 2%. Ad oggi sono circa cento gli esponenti del partito islamico di Ennahda che si trovavano in carcere prima del voto e solo dopo le elezioni ne sono stati liberati quaranta.

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Dalla primavera araba alla deriva autoritaria

Opposizioni e autorità civile hanno parlato pertanto della “deriva autoritaria” di Saïed, che era stato eletto cavalcando la disillusione del Paese verso la classe politica emersa dalla rivoluzione dei gelsomini del 2011. La Tunisia fu infatti il primo Paese a sperimentare la cosiddetta “Primavera Araba”, allontanando dalla guida del Paese, con le proteste di piazza, il presidente Ben Ali, che aveva governato dal 1987. Seguirono poi manifestazioni in Egitto, Libia, Siria, ma era alla Tunisia che la comunità internazionale guardava con particolare interesse, soprattutto per il coinvolgimento della società civile del Paese e per la nuova Costituzione, giudicata una delle più avanzate nel mondo arabo per pluralismo e libertà di espressione.

Fuga di cervelli verso l’Europa

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Al “Quartetto per il dialogo” tunisino, formato da attivisti, sindacalisti, imprenditori e avvocati, fu anche assegnato il Premio Nobel per la pace nel 2015, ma crisi economica e covid hanno portato la popolazione a una costante disaffezione verso la politica, passando dalle mobilitazioni di piazza ad un’affluenza per questo turno elettorale di solo il 29%, la quarta più bassa di un’elezione presidenziale al mondo. “C’è un sentimento di profondo disincanto nel Paese che si trasforma in una significativa fuga di cervelli”, spiega Michele Brignone, esperto dell’area e direttore delle ricerche della Fondazione Oasis, centro internazionale che promuove la conoscenza del mondo islamico e l’incontro tra cristiani e musulmani. “La Tunisia aveva un ottimo sistema di istruzione, aveva professionisti capaci. Molti di questi, medici e insegnanti, sono hanno lasciato il Paese”, precisa, sottolineando il “dato impressionante”, dell’affluenza “del 6% tra gli under 35”. “Uno psicologo tunisino che si occupa di immigrazione – racconta ancora – mi diceva che ormai quando ai giovani si chiede che lavoro vogliano fare da grande non rispondono il medico o l’avvocato, l’insegnante o il calciatore, ma dicono che vogliono emigrare in Europa”.

Così Raviari

Democratura

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Altro report di grande interesse è quello di meltingpot.org. Alcuni passaggi: “Se nel 2019 la vittoria di Saïed aveva incarnato il desiderio di un cambiamento radicale, oggi il contesto politico appare radicalmente diverso. La sua rielezione è avvenuta in un clima di apatia e boicottaggio politico da parte dell’opposizione, che ha criticato l’assenza di una competizione autentica e le restrizioni imposte ai candidati. Tra i pochi sfidanti, come l’uomo d’affari incarcerato Ayachi Zammel e il segretario del partito Echaab, Zouhair Maghzaoui, nessuno è riuscito a esercitare un’influenza significativa sulla campagna elettorale, confermando il forte squilibrio del processo.

Questo scenario evidenzia un ulteriore allontanamento verso l’autoritarismo, con una democrazia sempre più percepita come svuotata di significato. Il calo della partecipazione non è solo segnale di sfiducia nel governo, ma anche riflesso di una crescente disillusione nei confronti di un sistema afflitto da una profonda crisi economica e dall’isolamento internazionale della Tunisia. Annota Sarà Romdhane Ben Amor, incaricato della sezione “comunicazione” del Forum Tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes): «Prima di tutto, queste elezioni sono state segnate dal discorso di Kaïs Saïed, che ha parlato persino prima di annunciare la data delle elezioni. Ha dichiarato che non avrebbe consegnato il paese a un traditore, né ceduto il suo posto a qualcuno che non protegge il paese. In altre parole, si è presentato come l’unico in grado di proteggere la nazione e ha affermato di non essere un traditore. Questa è una dichiarazione forte, che implica che anche se non dovesse risultare vincitore, non cederebbe il potere. Questo scenario ricorda un po’ quello di Donald Trump, che ha rifiutato i risultati elettorali». 

Nonostante la repressione politica e un clima di paura generalizzato, i manifestanti tunisini, in particolare i giovani, sono scesi in piazza per rivendicare il loro diritto alla democrazia e alla giustizia. I loro slogan, come “Kais dittatore, vattene!” e “Il popolo vuole la caduta del regime “, risuonavano con forza lungo l’Avenue Bourguiba, simbolo della resistenza popolare.

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«In questo contesto – rimarca ancora Romdhane – è nata una rete che raggruppa associazioni e partiti politici tunisini. Si tratta di una rete tunisina per i diritti e le libertà, che riunisce Ong e partiti politici prevalentemente progressisti. Questa rete ha iniziato una mobilitazione, innanzitutto per difendere il tribunale amministrativo, poi contro il progetto di legge sul controllo delle elezioni, trasferito dal tribunale amministrativo a un altro tribunale). La terza mobilitazione è avvenuta davanti al Parlamento, poiché temono che il tribunale amministrativo respinga l’intero processo elettorale, il che è probabile, dato che il tribunale amministrativo ha ordinato all’Isie di reintegrare tre candidati nel processo elettorale, ma l’Isie ha rifiutato».  

I manifestanti, sebbene in numero modesto, hanno dimostrato una determinazione notevole, sfidando un sistema sempre più repressivo. Secondo Bassem Trifi, presidente della Lega Tunisina dei Diritti Umani, questa mobilitazione è una prova di coraggio di fronte alle minacce di arresto e alle azioni legali.

Molto bello il testo scritto dalla pagina Debatunisie , una pagina di satira sociale con caricature accurate: «In migliaia di persone hanno sfilato dal Passage fino all’Avenue Bourguiba. Avremmo voluto vedere migliaia di persone invadere il Ministero dell’Interno. Certo, non c’era la quantità, ma la qualità era presente. C’erano molti ventenni. Non avevano paura. Sono gli adolescenti della Rivoluzione, che conoscevano la dittatura solo nei racconti d’infanzia. Provenivano da tutte le categorie sociali, e non appartenevano apparentemente a nessun partito, se non quello della Rivoluzione permanente. I loro slogan e le loro grida erano soprattutto espressione della loro rabbia. Hanno gridato il famoso “Vattene!”. Alla loro età, io avevo paura. La mia generazione, sotto Ben Ali, non avrebbe mai avuto il loro coraggio. E questo è il frutto della rivoluzione!». 

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L’atmosfera di intimidazione e manipolazione che ha permeato il processo elettorale ha messo in luce le manovre strategiche adottate per garantire il dominio di Saïed e l’esclusione di candidati credibili. Nonostante il tribunale amministrativo abbia dimostrato un’inedita indipendenza, opponendosi alle pressioni del regime, il contesto giuridico creato da Saïed ha reso difficile ogni tentativo di opposizione legittima. La narrativa populista del presidente, che si presenta come l’unico protettore della nazione, ha contribuito a legittimare la sua autorità in un momento di crescente crisi economica e politica.

La manipolazione del sistema elettorale, le restrizioni sulla campagna e l’assenza di osservazione indipendente hanno messo a rischio la trasparenza del processo elettorale, gettando un’ombra sulla sua legittimità. Tuttavia, nonostante queste sfide, la resistenza della società civile ha dimostrato che esiste un desiderio di democrazia e giustizia tra la popolazione. Le manifestazioni e le proteste organizzate da gruppi di opposizione e dai giovani tunisini e tunisine evidenziano una crescente frustrazione verso il regime autoritario e la volontà di combattere per i propri diritti.

In un contesto di repressione e di corruzione del sistema politico, le manifestazioni rappresentano un faro di speranza per un futuro migliore e una richiesta di responsabilità verso le istituzioni. La strada da percorrere è lunga e irta di ostacoli, ma l’impegno della società civile e la resilienza dei cittadini tunisini potrebbero rivelarsi determinanti per la reinvenzione di una Tunisia democratica, dove la partecipazione e il dibattito politico siano realmente garantiti. La sfida ora è resistere a un regime che, nonostante la sua apparente forza, è sostenuto da una crescente opposizione interna, pronta a lottare per il cambiamento e a ricostruire le fondamenta di un futuro giusto e inclusivo”.

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La società che resiste

Ne dà conto, nel suo blog su Il fattoquotidiano.it,Riccardo Noury, storico portavoce di Amnesty Italia: “A causa delle gravi violazioni dei diritti umani contro le persone migranti, rifugiate e richiedenti asilo, in particolare verso quelle razzializzate, la Tunisia non può essere considerata un luogo sicuro per lo sbarco delle persone soccorse in mare.

Lo hanno reso noto decine di Ong (l’elenco è alla fine) con un appello all’Unione europea e agli stati membri (dunque anche e soprattutto all’Italia) per chiedere di interrompere ogni cooperazione con le autorità tunisine.

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Nonostante la Tunisia sia firmataria della Convenzione sui rifugiati del 1951, non esiste nel paese un sistema nazionale di asilo. Organizzazioni per i diritti umani e inchieste giornalistiche hanno accusato le autorità tunisine di aver abbandonato centinaia di persone migranti e rifugiate in aree desertiche ai confini con Libia e Algeria, praticando espulsioni collettive che mettono a rischio la vita delle persone coinvolte e violano il principio di non respingimento. Di recente, sono stati rivelati anche stupri nei confronti delle migranti

La cooperazione tra l’Unione europea e la Tunisia per il controllo delle persone migranti sta contribuendo a queste violazioni. Con il Memorandum d’intesa del luglio 2023,l’Unione europea ha promesso un miliardo di euro al governo tunisino, di cui 105 milioni destinati alla gestione delle frontiere, in cambio del contenimento delle partenze verso l’Europa. Questo accordo replica le politiche attuate con la Libia e rischia di esporre ulteriormente persone migranti e rifugiate a gravi violazioni dei diritti umani, compresi arresti arbitrari, lavori forzati e torture.

Le organizzazioni umanitarie e per i diritti umani hanno denunciato inoltre episodi di violenza e violazioni dei diritti umani durante le intercettazioni in mare da parte delle forze tunisine, che hanno messo a rischio la vita delle persone soccorse.

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L’Italia sta avendo un ruolo da protagonista all’interno del Memorandum, con l’invio, lo scorso agosto, di tre motovedette alla guardia costiera tunisina, cui dovrebbe seguirne un altro a gennaio”.

L’elenco delle Ong firmatarie:

Afrique-Europe Interact, Alarme Phone Sahara (APS), All Included Amsterdam, Amnesty International, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), Association CALAM, Association for Justice, Equality and Peace, Association Lina Ben Mhenni, Association Marocaine d’aide des Migrants en Situation Vulnérable (AMSV), Association pour la promotion du droit à la 5ifference (ADD), Association Sentiers-Massarib, Association tunisienne de défense des libertés individuelles, Aswat Nissa, Avocats Sans Frontières (ASF), Baobab Expérience, Campagna LasciateCIEntrare – MaipiuCIE, Carovane Migranti, CCFD-Terre Solidaire, Chkoun Collective, Comité de Sauvegarde de la LADDH, Comité pour le respect des libertés et des droits de l’Homme en Tunisie (CRLDHT), CompassCollective, Damj – l’Association Tunisienne pour la justice et l’égalité, Dance Beyond Borders, Emergency, Fédération des Tunisiens pour une Citoyenneté des deux Rives (FTCR), Fédération Internationale pour les Droits Humains (FIDH), Forum Tunsien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES), Fundacion Solidaire, Human Rights Watch, Intersection pour les droits et les libertés, iuventa-crew, L’association Tunisienne pour les Droits et les Libertés (ADL), La Cimade, LDH (Ligue des droits de l’Homme), Maldusa, Médecins Sans Frontières, Mediterranea Saving Humans, Melting Pot Europa, Migration-control.info project, Migreurop, Missing Voices (REER), Mission Lifeline International e.V., PRO ASYL Bundesweite Arbeitsgemeinschaft für Flüchtlinge e.V., r42-SailAndRescue, Reclaim the Sea, Refugees in Libya – APS, Resqship, Salvamento Maritimo Humanitario -SMH, SARAH Seenotrettung gUG, Sea-Eye e.V., Sea-Watch e.V., Search and Rescue Malta Network, Seebrücke, SOS Humanity e.V., Sos Mediterranee, Statewatch, Union des diplômés-chômeurs (UDC), United4Rescue – Gemeinsam retten e.V., Univ. of Southern California Gould School of Law Immigration Clinic, Watch the med Alarm Phone.

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È la Tunisia che resiste. E che non dimentica la stagione della speranza: quella della “rivoluzione dei gelsomini”. Non dimentica e rilancia la sua sfida di libertà. Quanto poi all’appello all’Europa, e all’Italia in primis, purtroppo sembra essere una battaglia persa in partenza. La scellerata linea securista unisce governi di destra e quelli di centrosinistra. L’Europa che vede i migranti come minaccia e non come ricchezza. L’Europa che cerca, e finanzia e arma, nella sponda sud del Mediterraneo autocrati, generali, signori della guerra spacciati per statisti, perché facciano il lavoro sporco al posto nostro.  Saïed è uno di loro. 

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