di Antonio Salvati
Il 2 agosto 1999 Yaguine Coita e Fodé Tounkara, due adolescenti guineani, vennero ritrovati morti assiderati nel carrello di un aereo all’aeroporto di Bruxelles, cuore dell’Europa, in arrivo da Conakry, capitale della Guinea. Purtroppo negli anni altre giovani vittime sono andate incontro alla stessa sorte, come ad esempio Laurent Barthélémy Guibahi Ani, un quattordicenne ivoriano che nel gennaio 2020 fu ritrovato morto assiderato all’aeroporto di Parigi, o il bambino maliano ritrovato con la pagella cucita negli abiti. Yaguine e Fodè, la cui vicennda aveva scosso le coscienze, avevano scritto e portato con sé una lettera, indirizzata alle ”Loro eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa” e ripercorreva i tanti problemi che i bambini e i giovani africani pativano e le grandi aspettative che riversavano sull’Europa e i suoi governanti. A 25 anni di distanza da quell’evento, le parole scritte da Yaguine e Fodè sono il titolo di un importante incontro che si terrà sabato 14 dicembre al Centro Congresso Frentani di Roma. L’incontro che ha come sottotitolo 25 anni di politiche migratorie, razzismo e integrazione in Italia e in Europa è organizzato dall’eurodeputato Marco Tarquinio, da Demos e dai Socialists & Democrats e ha l’obiettivo di trasformare il sogno di Yaguine e Fodè in realtà. All’incontro parteciperanno la segretaria del PD Elly Schlein, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, l’on. Paolo Ciani Segretario Demos e vicecapogruppo PD alla Camera dei Deputati, il prof. Maurizio Ambrosini dell’Università degli Studi di Milano, i giornalisti Gian Antonio Stella e Fabrizio Gatti e altri auterovoli esperti. Per l’occasione abbiamo incontrato Marco Tarquinio al quale abbiamo chiesto non solo della questione migranti, ma anche del suo impegno presso il Parlamento europeo e di temi a lui cari come quello della Guerra.
Con la nuova maggioranza Von der Leyen è diffusa l’impressione di una Commissione europea assai indebolita. La storia del processo di integrazione europeo è piena di contrasti e conflitti che hanno riguardato le diverse leadership nazionali. Che scenari prefiguri?
Il dimagrimento della maggioranza Ursula non è una buona notizia, eppure avrei voluto che quella perdita di peso – 31 voti in meno tra luglio e novembre – fosse persino più forte. Per questo ho votato no all’intero collegio dei nuovi Commissari, nonostante che in esso seggano anche persone che stimo o che ho imparato ad apprezzare durante le audizioni. Altre no, poco o per nulla. Bisognava, a mio parere, render chiaro che l’ostentata e niente affatto necessaria apertura a destra a ECR e, dentro ECR, soprattutto alla destra meloniana, perseguita dall’attuale di leader del Ppe Manfred Weber e accettata con ambiguità dalla presidente Ursula von der Leyen fa male alla politica europeista e indebolisce e confonde le decisioni e le azioni concrete dell’Unione. Se invece non si rinsalda e si approfondisce davvero il patto politico a quattro tra Popolari, Socialisti & Democratici, Liberali e Verdi avremo cinque anni di maggioranze variabili, di politiche contraddittorie, di delusioni e di deragliamenti su fronti decisivi per il “modello Europa”, per il presente nostro e il futuro di figlie e figli: transizione verde, evoluzione-rivoluzione digitale, politiche sociali, governo lungimirante e umano delle migrazioni. Tema, quest’ultimo, dell’incontro che ho promosso sotto l’egida del gruppo S&D dell’Eurocamera per l’intera mattinata di sabato 14 dicembre a Roma.
Non è un mistero, poi, che prima di tutto c’è, pure per me, la gran questione della guerra e della pace. E questa, ahinoi, continua a non essere affrontata nel modo più giusto sia a livello di postura politico-diplomatica della UE sia di organizzazione di una nuova e diversa politica comune di difesa, più efficace e meno dispendiosa.
Il portato ideologico e poco serio con cui si affronta il fenomeno epocale delle migrazioni fa impressione. La migrazione è un fenomeno talmente importante che andrebbe affrontato confrontandosi per il bene del Paese con il faro sulla centralità della persona e della tutela dei diritti umani. Invece il governo e la maggioranza ne fanno strumento di propaganda senza ascoltare nulla. Quale approccio sarebbe opportuno perseguire?
Bisogna de-clandestinizzare i movimenti di persone dal Sud globale verso l’Europa. Vanno portati alla luce del sole e lontano dalle grinfie dei trafficanti di essere umani e dentro percorsi di formazione e di viaggio ben strutturati. Facciamolo se non per amore, per decenza e convenienza. Prendendo seriamente atto e rispondendo alle domande di una dolente umanità migrante e, insieme, di un sistema agricolo e manifatturiero che continua a reclamare operai, tecnici e altre braccia e intelligenze, oggi scarse per la crisi demografica della società italiana ed europea. Pochi giorni fa in una riunione congiunta di diverse Commissioni parlamentari competenti abbiamo ragionato, a partire dalla relazione della Corte dei Conti europea, sull’esito del Fondo speciale per l’Africa. Mi ha colpito una sottolineatura della rappresentante della Corte: sul fronte migratorio, non ci sono praticamente stati impegni e risorse per flussi migratori legali, sola via per contrastare, ridurre e impedire flussi irregolari. Tutto ciò sottolinea la miopia progettuale dei governi degli Stati membri – sono loro a definire le priorità nell’utilizzo dello strumento e dei soldi – i cortocircuiti politico-mediatici e la perdita di orientamento valoriale europea.
La guerra. Questo è il mondo che ha riabilitato la guerra. C’è tanto pessimismo e scetticismo. La tragedia di guerre che si protraggono da decenni, ci dimostra che la guerra se non la fermi va avanti. E l’idea di poter firmare la guerra con una vittoria militare è irrealizzabile. Ce lo ricorda anche Papa Francesco. Quali politiche è possibile mettere in campo?
Ho sempre detto, e ripeto, che il sostegno più vero a un popolo minacciato è impedire che la minaccia della guerra diventi realtà. Questo è il compito e vero e più alto della politica, questo è il suo senso concreto: portare il confronto e il conflitto su un piano nonviolento, disarmato e dialogante. Vale sempre e ovunque. Vale per l’Ucraina aggredita dalla Russia di Vladimir Putin – con gli accordi Minsk, garantiti anche dagli occidentali, mai attuati – e vale per ogni altra guerra a cominciare da quella israelo-palestinese – con tutte le intese disattese e le risoluzioni Onu rimaste lettera morta. Si comincia, comunque e sempre, dalla rinuncia all’uso delle armi e se le armi vengono già usate, dal cessate il fuoco. E si continua con il riconoscimento delle parti e dalla reciproca legittimazione: l’altro è ciò che è, non ciò che noi vorremmo, e pretendere di cambiarlo di forza, a cannonate, è una pura e semplice pretesa di annientamento. L’idea stessa di un’impossibile “vittoria totale” di una parte sull’altra è una ambizione puramente distruttiva proprio come le armi di cui oggi si può disporre. Nel Parlamento europeo mi occupo soprattutto di diritti umani e di sviluppo e cooperazione internazionale: penso che siano il lastrico prezioso della via della pace.
L’Europa in passato ha giocato un ruolo fondamentale nella realizzazione del metodo pacifico di composizione dei conflitti. Oggi molti legittimamente si chiedono l’Europa dov’è, che parte sta svolgendo? Te lo chiediamo.
La comunità dei popoli europei che abbiamo via via chiamato Mec, Cee e infine Ue ha fatto questo per sé stessa, cancellando la guerra dall’orizzonte degli Stati coinvolti nel processo d’integrazione e dall’esistenza di ben tre generazioni di europee ed europei. Una cosa mai vista prima. Se facciamo questo solo per noi stessi e non ci preoccupiamo di costruire processi di solidarietà e di cooperazione, di competizione sana, perché non aggressiva e ben regolata, la guerra torna ad assediare inevitabilmente anche noi. E quello che è successo nelle pianure dell’Europa orientale e nel Vicino oriente, ed è quello che continua a succedere – faccio solo alcuni esempi tra i troppi possibili – in Libia, in Siria, in Yemen e nell’Africa centrale e saheliana. Con l’ingresso in campo di altre potenze: Russia, Turchia, Cina… L’assenza, in questi anni, di un’azione europea riconoscibile e caratterizzata, appunto, da capacità di mediazione e di incentivo a ogni possibile de-escalation pesa enormemente. È il prezzo che noi europei stiamo pagando al sovranismo di ritorno e allo spezzettamento della politica estera comune che finisce per essere coesa quasi solo nella rassegnazione alle guerre in corso e persino alla loro alimentazione. A tale rassegnazione non ci si può in alcun modo rassegnare. Il coraggio di essere Europa è, nel profondo, il coraggio della pace, di resistere al ritorno della politica di guerra e di articolare una politica di pace.