La strana storia di Spizz
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La strana storia di Spizz

E' morto Roberto Spizzichino, batterista sublime ed artigiano visionario. L'unicità dei suoi strumenti musicali se ne va con lui. La sua storia. [Piero Montanari]

La strana storia di Spizz
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Piero Montanari Modifica articolo

25 Novembre 2011 - 23.13


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di Piero Montanari

L’uomo era taciturno di natura. Quando si andava in giro e si macinavano migliaia di chilometri in auto per raggiungere i posti dei concerti, era capace di stare zitto per ore. Lo avevamo soprannominato Demostene, il grande oratore greco. Lo sfottevamo per questo, e mentre si titillava con il mignolo della mano il labbro inferiore, ti piantava quei due fanali celesti che si ritrovava al posto degli occhi per dirti: “ Poveraccio te che non sai a cosa penso!”

L’ho scoperto anni dopo a cosa pensava Roberto Spizzichino, detto “Spizz”, classe 1944, compagno di tante suonate, amico dei primi passi musicali, grandissimo artista della batteria ed artigiano sublime e visionario: pensava ad un suono purissimo che aveva nella mente e che ha cercato di riprodurre per tutta la vita.

Da più di venticinque anni si era messo a costruire, piatti per batterie, letteralmente con le nude mani, fondendo il bronzo, prendendolo a martellate fino a che il “suono” non era quello che lui diceva.
Avete presente i piatti per batterie? Sono quei cerchi bronzei, luminosi, striati, di tante dimensioni sopra ai tamburi, che vengono percossi dal batterista con le bacchette per dare il tempo e creare un lenzuolo sonoro – sheet of sound – ad avvolgere la session musicale.

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Quelli suoi si chiamavano “Spizz” e poi soltanto i “Roberto Spizzichino”, e sono famosi nel mondo, apprezzati dai più grandi drummer in circolazione.

Strana storia quella del “piattaio matto”, prima batterista di Romano Mussolini, Amedeo Tommasi, Pino Daniele e Anna Oxa, poi emigrato dalla sua Roma, verso le “città delgli strumenti”, Ancona, Osimo, Pistoia, alla ricerca di chi – fabbriche, operatori del settore etc – gli potesse dare retta, al fine di operare questa mirabile fusione tra musica e artigianato che da tempo aveva in testa.

La leggenda racconta che il suo percorso era iniziato quando andò in Turchia per cercare i piatti “K Zildjan”, i migliori al mondo, che nessuno più trovava. La fabbrica della Zildjan era chiusa da tempo ma Roberto non si perse d’animo, tornò in Italia e pensò di costruirli lui.

Noi amici pensavamo davvero che fosse un po’ matto, e forse avevamo ragione, ma non avevamo capito che Roberto inseguiva il suo sogno, la sua risonanza interiore, che solo lui poteva sentire e che nessuno di noi era in grado di capire.

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Viveva con la sua famiglia a Pescia, in provincia di Pistoia, dove lavorava ancora a chissà quali altre strane alchimie, quando una recrudescenza più aggressiva del suo male, una leucemia, lo ha stroncato il 21 Novembre 2011, portandoci via non solo Roberto, ma anche la straordinarietà dei suoi strumenti che nessuno, probabilmente, potrà più produrre.

Una persona ha detto di lui: ”Difficile era entrargli dentro, non era fatto come noi. Ma così fragile che alle volte ti spezzava l’anima.”

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