Guttuso, la pittura della vita
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Guttuso, la pittura della vita

Il caporedattore della prestigiosa InsideArt presenta la mostra romana dedicata a Renato Guttuso. [Maurizio Zuccari]

I funerali di Togliatti, Guttuso 1972
I funerali di Togliatti, Guttuso 1972
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16 Ottobre 2012 - 10.32


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di Maurizio Zuccari*

È un’orgia di colori quella raccolta al Vittoriano per Guttuso, 1912-2012. Oltre una sessantina di oli, molti di grande formato, provenienti da vari musei internazionali, oltre che dalla Gnam e dal museo di Bagheria, città natale del pittore, una ventina di disegni e altrettanti bozzetti di opere teatrali costituiscono il corpus dell’esposizione. Curata da Enrico Crispolti e Fabio Carapezza Guttuso, figlio adottivo dell’artista e presidente degli Archivi, la mostra intende rappresentare l’intero arco creativo del maestro siciliano nel centenario della nascita e a venticinque anni dalla scomparsa (1987), costituendo la prima grande antologica che Roma dedica all’artista che la elesse sua città di residenza dalla fine degli anni ’30, continuando a dividersi tra Palermo e Milano.

Pur nell’usuale affastellamento di opere negli spazi del Vittoriano, il percorso permette di cogliere non solo i diversi momenti artistici attraversati da Guttuso da protagonista nel corso di un cinquantennio di attività pittorica, regalando ai visitatori la visione di opere fuori dal loro usuale contesto espositivo – vedi la Vucciria all’ateneo di Palermo o i Funerali di Togliatti (con un Marcello Carapezza, padre di Fabio, in bell’evidenza), ora al Mambo di Bologna dopo un trentennio passato appeso alle Botteghe oscure, nella sede del Pci – in una carrellata di vita vissuta o, come è stato ricordato da Carapezza, di «vita in pittura». Ché l’opera di Guttuso, pur nei suoi affacci dal figurativismo prima maniera al cubismo, dal realismo al neorealismo, non è scindibile dalla realtà delle cose, dagli uomini che attraversarono il suo tempo, facendosi esso «testimone del proprio tempo sociale, collettivo», per dirla come Alessandro Nicosia, coordinatore del progetto.

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È l’uomo Guttuso quello che travalica il gesto delle sue tele per farsi portatore di una testimonianza umanistica, di un impegno politico che lo indusse, in piena guerra mondiale, a iscriversi al Pci tramite Mario Alicata e Antonello Trombadori, tra i suoi amici e sodali accanto a una ridda di personaggi noti dell’intellighentsia romana e internazionale: fra tutti, Alberto Moravia e Pablo Picasso, entrambi effigiati in opere in mostra. Così, nelle tele di vario formato non è solo la pennellata del maestro che dalle nature morte dagli echi morandiani e dechirichiani dei primi anni ’30 affronta le cesure della guerra, si affaccia alle plasticità del dopoguerra e alle atmosfere oniriche, quasi rarefatte, degli ultimi anni, ma è il pulsare del mondo con le sue passioni cangianti a muoversi nella ridda di figure alle quali il maestro dà voce.

E poche altre tele come la Solfara e la Spiaggia, a poca distanza e a pochissimi anni una dall’altra, sono in grado di restituire il vorticoso giro di boa dell’Italia del tempo, dai figli d’una atavica miseria ai corpi stesi al sole di chi già pregusta il boom economico e le sue mirabolanti promesse. Né mancano rarità, al museo del Vittoriano, come Cani nella notte, forse il più cupo e meno guttusiano tra i suoi lavori, steso nel bel mezzo degli anni di Piombo, o La visita della sera dove una tigre passeggia incombente nel giardino di palazzo del Grillo, dimora degli ultimi giorni. E non è difficile, per chi legga tra le righe del cartiglio, cogliere nel richiamo alla “belva feroce” un’allusione a Marta Marzotto, amante e musa del maestro, a cui l’opera è ispirata, espunta dalla sua vita (e dal cospicuo patrimonio) dopo la morte dell’amata moglie Mimise e la tarda quanto controversa conversione. Ma l’ombra della tigre in carne e ossa torna in queste sale attraverso l’opera più magrittina di Guttuso, ne rimanda l’eco più di tanti nudi nelle sue opere, taluni esposti.

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Insomma, Guttuso è ancora capace di stupire, le sue tele di affascinare, ribaluginando fiamme di vita vissuta dalle lingue di fuoco dei suoi rossi, tenui e cupi. Manca, forse, a tanta grazia – ma sarebbe stata troppa grazia, visto lo spazio – la celebre Battaglia del ponte dell’ammiraglio che campeggiava nella scuola quadri del Pci a Frattocchie, dove il nonno paterno del pittore guidò la colonna di La Masa alla presa di Palermo e, con essa, alla conquista garibaldina della Sicilia. Altri tempi e altri temi, echi di un’Italia in farsi che ora è più che a rischio di disfarsi. Anche per questo salire le scale del Vittoriano e ricordare chi era Guttuso è un esercizio della memoria, oltre che un’operazione capace di rendere di nuovo coèvo il gusto della pittura. E della vita in pittura.

Complesso del Vittoriano, via San Pietro in carcere, dal 12 ottobre al 10 febbraio 2013. Info: 066780664;
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*Maurizio Zuccari è caporedattore della rivista InsideArt

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