Maria Lai, l'artista che amava i telai
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Maria Lai, l'artista che amava i telai

E' mancata a 93 anni una delle artiste più eclettiche dell'ultimo secolo. Caparbia e avventurosa, ma legata profondamente alla sua terra d'Ogliastra. [Sabina Sestu]

Maria Lai
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22 Aprile 2013 - 10.25


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Si è spenta all’età di 93 anni una delle artiste più eclettiche dell’ultimo secolo. Il gioco e il divertimento come principio fondante delle sue opere, fortemente intrecciati con la passione e lo studio più rigoroso.

«Volevo studiare. Volevo imparare. Certo, era un po’ una rivoluzione per un’ogliastrina di quei tempi. Eppure fui così caparbia da ottenere di partire. Credo che ottenni il permesso perché i miei erano certi che la mia gracilità fisica mi avrebbe fatto tornare a casa in fretta. Si sbagliarono». Così Maria Lai, la famosa artista contemporanea sarda, racconta la sua voglia di vivere la vita in piena libertà e creatività. I suoi 93 anni di vita sono stati tutti all’insegna dell’avventura, certo non sempre piacevole, del gioco e della produzione artistica. Maria è riuscita, grazie alla sua caparbietà e alla sua forza d’animo, nonostante il suo sesso e l’essere nata in un’epoca non certo facile per le donne, a superare tutti gli ostacoli che la società e le contingenze della vita le hanno posto di fronte. Nata nel 1919 a Ulassai, piccolo paese della Sardegna, Maria è stata l’unica donna che negli anni ’40 ha frequentato il corso di scultura all’Accademia delle Belle Arti di Venezia con il maestro Arturo Martini, famoso sia come artista che per la sua scarsa considerazione delle donne, soprattutto di quelle che tentavano di avere successo nel mondo dell’arte.

«Solo gli stolti possono dirsi arrivati. Io non so ancora nulla. Imparo sempre. Il mio maestro, Arturo Martini, ci continuava a ripetere – ha dichiarato Maria Lai durante un’intervista di diversi anni fa – che non esiste un’arte senza studio, senza disciplina, senza rigore. Tutto ciò che nasce dopo è frutto di lavoro serio e scrupoloso». Disciplina rigorosa che Maria ha tenuto inestricabilmente unita alla giocosità, parte integrante della creatività di cui lei era estremamente dotata. Come lei stessa ha affermato: «Giocavo con grande serietà, a un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte». Come spesso si dice l’apparenza inganna e nel caso di Maria Lai non esiste detto più vero. Fisicamente esile, di corporatura minuta, fragile e dalla salute spesso precaria, Maria ha dimostrato di avere una grande forza interiore che l’ha portata a diventare una grande artista ma, soprattutto, una grande donna. Dotata di una forte determinazione e di un’anima battagliera, è riuscita a emergere e a spiccare accanto ai più grandi artisti della sua epoca, per la quasi totalità maschi. La sua arte è creazione pura, frutto di uno studio approfondito dei materiali da lei usati per comporre, attraverso il gioco, opere originali e uniche che hanno fatto storia. I suoi tessuti, le sue lavorazioni in argilla, i filati e disegni hanno cambiato il modo di intendere l’arte. La sua amata isola è stata fonte di grande ispirazione per molte delle sue opere, da cui ha tratto spunto dalla vita e dai lavori quotidiani delle donne sarde. Ha giocato col pane e i telai, rubato dalla tecnica del ricamo, le sue famose ceramiche e terrecotte devono molto alle fiabe e alle tradizioni sarde.

Maria è stata una donna caparbia e senza veli. Fondamentali per la sua scalata nell’olimpo dell’arte sono stati i suoi legami con Marino Mazzacurati e con Arturo Marini. Le opere di Maria Lai sono state esposte nelle più famose gallerie europee e degli Stati Uniti. Il suo paese natale, Ulassai, le ha dedicato nel 2006 il Museo di arte contemporanea dove sono esposte circa 140 delle sue opere. Il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, l’ha definita «un’artista al femminile – e ha aggiunto – che la Sardegna ha perso una donna capace di ascoltare i sussulti del cuore e del vento, una donna capace di addolcire, con la sua fragilità, i tacchi d’Ogliastra». C’è da chiedersi se Maria sarebbe stata felice di sentirsi definire “fragile” e “capace di addolcire”, proprio lei che è riuscita, nonostante tutti i pregiudizi e i limiti imposti alle donne nella sua epoca, a rompere gli schemi e ad imporre la sua forte personalità in campo artistico. Lei che è stata tra le protagoniste dell’arte contemporanea internazionale, amica e ispiratrice dello scrittore Giuseppe Dessì. Probabilmente era più orgogliosa del fatto che le sue opere sono state esposte a Miami alla rassegna Pulse Project e che in Italia si possono oggi ammirare presso la Galleria Morone a Milano fino al 27 aprile, con una mostra che si intitola “Tracce di un dio distratto”.

È difficile immaginare Maria Lai come una donna fragile e dolce mentre si confronta con Salvatore Cambosu, l’artista di punta del neorealismo sardo degli anni ’30, che ne ha riconosciuto il talento e che l’ha spinta a intraprendere gli studi classici per sviluppare a fondo la sua mente fertile e vivace. È grazie a questo incontro e al sostegno di Cambosu che Maria in seguito si trasferisce a Roma dove entra in contatto con maestri di scultura come Alberto Viani e Marino Mazzacurati e dove frequenta il liceo artistico. Il maschilismo come si sa è ancora impregnante nella nostra epoca, figuriamoci negli anni ’30 – ’40 in pieno regime fascista, sarà per questo che l’arte di Maria viene definita, in questo periodo, “un segno maturo e molto maschile, estremamente essenziale e rapido”, forse per giustificare il suo talento femminile e il suo successo. Durante gli anni della guerra si trasferisce prima a Verona e poi a Venezia dove frequenta l’Accademia delle Belle Arti. A Venezia il suo maestro è Arturo Martini, uomo non facile che a malapena sopporta la presenza delle donne nel mondo dell’arte.

Avventuroso anche il suo rientro in Sardegna nel 1945 avvenuto su scialuppe di salvataggio. Rimarrà nell’isola fino al 1954, anno doloroso per l’artista perché il fratello Lorenzo, forse a causa di una faida, viene assassinato a Ulassai. A Roma apre un piccolo studio d’arte che abbandona a causa di una profonda crisi che l’allontana dal mondo artistico per un decennio. Durante questo periodo frequenta assiduamente il suo vicino di casa Giuseppe Dessì, che le fa riscoprire la poesia e la letteratura e, attraverso queste, una Sardegna totalmente diversa e dimenticata. Rinasce il suo spirito artistico, riscopre l’uso del telaio sardo che reinterpreta in chiave moderna e nel 1971 espone nella Galleria Schinaider di Roma i primi Telai che caratterizzano tutta la sua produzione artistica degli anni ’70. Gli anni ’80 inaugurano il ciclo delle “Geografie” e dei “Libri cuciti”. A Ulassai, il suo paese natale, dà il via al tema “Legarsi alla Montagna”, mentre negli anni ’90 mischia tutte le sue produzione precedenti nei suoi disegni a matita e nell’intreccio di fili e corde dei telai. Maria Lai si è spenta a Cardedu, dopo una lunga malattia, il 16 aprile del 2013.

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