“Quante volte si può morire e vivere/ nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime/ dentro i video e nei racconti dei tuoi amici affranti/ e negli occhi tua madre che ora son più grandi”.
Questa canzone l’ha scritta di getto Massimo Bubola. E’ dedicata a Federico Aldrovandi ma soprattutto a sua madre Patrizia. E ha colto nei versi del ritornello il nocciolo della questione: c’è troppa gente, in questo paese, che per avere uno squarcio di verità e un briciolo di giustizia, è scaraventata sulla scena pubblica, spesso sola, ed è costretta a ripetere una miriade di volte la tragedia più orrenda della propria vita per evitare che le versioni ufficiali scrivano un’altra storia che uccida ancora.
Non che la dimensione privata di un lutto del genere sia più leggera. Bubola attinge alla cronaca e alla propria biografia, ha davanti agli occhi il dolore di sua madre per la morte di un altro figlio: «Morì annegato che era adolescente, aveva tre anni meno di me. Mia madre ne ha 85 e ancora oggi piange quando vede una sua foto», racconta a Popoff il cantautore veronese, classe 1954, più di venti album firmati da lui e quasi vent’anni di canzoni con e per Fabrizio De Andrè (negli album Rimini e l’Indiano, composti a quattro mani).
L’ha scritta di getto dopo aver visto i sindacalisti del Coisp manifestare a Ferrara proprio sotto le finestre dell’ufficio di Patrizia: «Vederla srotolare da sola la foto di suo figlio martoriato mi ha messo a soqquadro il cuore. Al di là di ogni valutazione processuale, sono stato ferito dal poco rispetto per il dolore di una madre, dalla mancanza di umanità. Andare sotto quelle finestre è stato questo. Ed è poco credibile che i manifestanti dichiarassero di non sapere dov’era l’ufficio di Patrizia – prosegue il cantautore – e poi mi ha colpito la reazione così aggressiva nei confronti del sindaco di quell’eurodeputato che stava con loro(Potito Salato, ndr)».
“Ferrara è così quieta dentro le sue mura”, recita ancora il brano. E chi conosce certe città di provincia davvero non può non sapere, «tantomeno la questura». Anche poche ore dopo l’alba di quel 25 settembre a Ferrara già si mormorava quello che era successo, che la polizia aveva ucciso un ragazzo. Bubola s’è documentato. Sul suo sito cita le fonti: il film di Vendemmiati, il romanzo a fumetti di Spataro e un testo sulla “malapolizia” scritto da Adriano Chiarelli. Lo hanno colpito le 54 ferite sul corpo di Federico e la condanna «ultraleggera», mentre scriveva un brano con il quale aggiunge un tassello prezioso alla battaglia civile iniziata da Patrizia quando ha deciso di intraprendere una dolente controinchiesta che ancora è costretta a continuare.
Nello stesso tempo, la storia di Federico entra in un progetto che Bubola coltiva da un po’. Si chiama “Instantsongs.it” nell’idea che la funzione originaria della canzone sia quella di raccontare personaggi e fatti del proprio tempo, cantare la cronaca. Poco prima del brano per Aldro,, a fine gennaio di quest’anno infatti, è uscito un disco dal titolo “In alto i cuori” che conteneva già molte canzoni legate alla cronaca. E quando la cronaca diventa canzone illumina lati della scena che raramente un’inchiesta riesce a sviscerare: «Non sono un sociologo e nemmeno un politico – dice ancora Massimo Bubola – sono un poeta popolare: pongo questioni al sentire comune provando a scrivere canzoni senza retorica, cercando una goccio di verità, di giustizia e di poesia. Certo, il giornalismo sviscera le stesse questioni, ma ci manca un nuovo racconto collettivo, una nuova epica. Così, mi sono chiesto se ci sia ancora pietà, questo Paese ha perso una caratteristica che davamo per scontata, quella degli “italiani brava gente” – dice Bubola – è accaduto qualcosa di tremendo. Una volta la malavita aveva un codice, perfino un “antistato” come la camorra rispettava certe regole. Una di queste era che i bambini dovevano restare fuori dai fatti di sangue». E racconta di Cutolo (il suo Don Rafae’, instantsong ante litteram) che fece punire i responsabili dell’omicidio di un bambino, effetto collaterale di una guerra tra cosche. Molti anni dopo col brano di quest’anno “Hanno sparato a un angelo”, dedicato alla neonata cinese uccisa a Torpignattara, periferia di Roma, durante una rapina, Bubola è costretto a registrare l’ulteriore catastrofe della pietà.
Da quando il canto per Federico è stato anticipato, il sito Instantsong è stato visitato migliaia di volte: «Sembra che una forte risposta civile ci sia e questo ci conforta e ci consola», sono le ultime parole al telefono con il cronista.
Quante volte si può morire e vivere( in memoria di Federico Aldrovandi)
testo e musica di Massimo BubolaLe cinque di mattina di un settembre d’oro
tornavi verso casa canticchiando un po’ da solo
Alla tua età la morte è così lontana
a diciott’anni si è immortali come chi ci ama
Ferrara è così quieta dentro le sue mura
nei viali addormentati niente fa paura
la lunga via alberata per l’ippodromo
è un fiume di memorie che ti avvolgono
Quante volte si può morire e vivere
nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime
dentro i video e nei racconti dei tuoi amici affranti
e negli occhi tua madre che ora son più grandi
La realtà poi vinse sulla fantasia
l’incontro con quell’auto della polizia
è stato come un fulmine a ciel sereno
è stato come se passasse sopra un treno
Quante volte si può morire e vivere
nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime
nelle foto e dentro i sogni che hanno la tua voce
dentro gli occhi di tua madre che han cambiato luce
Cinquantaquattro colpi avevi tatuato
sul capo, sulle braccia, sopra il tuo costato
il sangue sui capelli, il volto sfigurato
sembravi un giovin Cristo dalla croce giù calato
Quante volte si può morire e vivere
nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime
dentro i video e nei racconti dei tuoi amici affranti
e negli occhi tuo madre che ora son più grandi
Quante volte si può morire e vivere
nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime
nelle foto e dentro i sogni che hanno la tua voce
dentro gli occhi di tua madre che han cambiato luce