Aldrovandi, quante volte si può morire e vivere
Top

Aldrovandi, quante volte si può morire e vivere

Massimo Bubola racconta a Popoff la ballata scritta per Federico e sua madre Patrizia. Un poeta popolare alla ricerca di quel che resta della pietà [Checchino Antonini]

Aldrovandi, quante volte si può morire e vivere
Preroll

redazione Modifica articolo

15 Maggio 2013 - 17.08


ATF
di Checchino Antonini

“Quante volte si può morire e vivere/ nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime/ dentro i video e nei racconti dei tuoi amici affranti/ e negli occhi tua madre che ora son più grandi”.

Questa canzone l’ha scritta di getto Massimo Bubola. E’ dedicata a Federico Aldrovandi ma soprattutto a sua madre Patrizia. E ha colto nei versi del ritornello il nocciolo della questione: c’è troppa gente, in questo paese, che per avere uno squarcio di verità e un briciolo di giustizia, è scaraventata sulla scena pubblica, spesso sola, ed è costretta a ripetere una miriade di volte la tragedia più orrenda della propria vita per evitare che le versioni ufficiali scrivano un’altra storia che uccida ancora.

Non che la dimensione privata di un lutto del genere sia più leggera. Bubola attinge alla cronaca e alla propria biografia, ha davanti agli occhi il dolore di sua madre per la morte di un altro figlio: «Morì annegato che era adolescente, aveva tre anni meno di me. Mia madre ne ha 85 e ancora oggi piange quando vede una sua foto», racconta a Popoff il cantautore veronese, classe 1954, più di venti album firmati da lui e quasi vent’anni di canzoni con e per Fabrizio De Andrè (negli album Rimini e l’Indiano, composti a quattro mani).

L’ha scritta di getto dopo aver visto i sindacalisti del Coisp manifestare a Ferrara proprio sotto le finestre dell’ufficio di Patrizia: «Vederla srotolare da sola la foto di suo figlio martoriato mi ha messo a soqquadro il cuore. Al di là di ogni valutazione processuale, sono stato ferito dal poco rispetto per il dolore di una madre, dalla mancanza di umanità. Andare sotto quelle finestre è stato questo. Ed è poco credibile che i manifestanti dichiarassero di non sapere dov’era l’ufficio di Patrizia – prosegue il cantautore – e poi mi ha colpito la reazione così aggressiva nei confronti del sindaco di quell’eurodeputato che stava con loro(Potito Salato, ndr)».

Leggi anche:  A Varese il Premio Chiara a Fabrizio De André

“Ferrara è così quieta dentro le sue mura”, recita ancora il brano. E chi conosce certe città di provincia davvero non può non sapere, «tantomeno la questura». Anche poche ore dopo l’alba di quel 25 settembre a Ferrara già si mormorava quello che era successo, che la polizia aveva ucciso un ragazzo. Bubola s’è documentato. Sul suo sito cita le fonti: il film di Vendemmiati, il romanzo a fumetti di Spataro e un testo sulla “malapolizia” scritto da Adriano Chiarelli. Lo hanno colpito le 54 ferite sul corpo di Federico e la condanna «ultraleggera», mentre scriveva un brano con il quale aggiunge un tassello prezioso alla battaglia civile iniziata da Patrizia quando ha deciso di intraprendere una dolente controinchiesta che ancora è costretta a continuare.

Nello stesso tempo, la storia di Federico entra in un progetto che Bubola coltiva da un po’. Si chiama “Instantsongs.it” nell’idea che la funzione originaria della canzone sia quella di raccontare personaggi e fatti del proprio tempo, cantare la cronaca. Poco prima del brano per Aldro,, a fine gennaio di quest’anno infatti, è uscito un disco dal titolo “In alto i cuori” che conteneva già molte canzoni legate alla cronaca. E quando la cronaca diventa canzone illumina lati della scena che raramente un’inchiesta riesce a sviscerare: «Non sono un sociologo e nemmeno un politico – dice ancora Massimo Bubola – sono un poeta popolare: pongo questioni al sentire comune provando a scrivere canzoni senza retorica, cercando una goccio di verità, di giustizia e di poesia. Certo, il giornalismo sviscera le stesse questioni, ma ci manca un nuovo racconto collettivo, una nuova epica. Così, mi sono chiesto se ci sia ancora pietà, questo Paese ha perso una caratteristica che davamo per scontata, quella degli “italiani brava gente” – dice Bubola – è accaduto qualcosa di tremendo. Una volta la malavita aveva un codice, perfino un “antistato” come la camorra rispettava certe regole. Una di queste era che i bambini dovevano restare fuori dai fatti di sangue». E racconta di Cutolo (il suo Don Rafae’, instantsong ante litteram) che fece punire i responsabili dell’omicidio di un bambino, effetto collaterale di una guerra tra cosche. Molti anni dopo col brano di quest’anno “Hanno sparato a un angelo”, dedicato alla neonata cinese uccisa a Torpignattara, periferia di Roma, durante una rapina, Bubola è costretto a registrare l’ulteriore catastrofe della pietà.

Leggi anche:  40 anni di 'Stop making sense'

Da quando il canto per Federico è stato anticipato, il sito Instantsong è stato visitato migliaia di volte: «Sembra che una forte risposta civile ci sia e questo ci conforta e ci consola», sono le ultime parole al telefono con il cronista.

Quante volte si può morire e vivere

( in memoria di Federico Aldrovandi)

testo e musica di Massimo Bubola

Le cinque di mattina di un settembre d’oro

tornavi verso casa canticchiando un po’ da solo

Alla tua età la morte è così lontana

a diciott’anni si è immortali come chi ci ama

Ferrara è così quieta dentro le sue mura

nei viali addormentati niente fa paura

la lunga via alberata per l’ippodromo

è un fiume di memorie che ti avvolgono

Quante volte si può morire e vivere

nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime

dentro i video e nei racconti dei tuoi amici affranti

e negli occhi tua madre che ora son più grandi

La realtà poi vinse sulla fantasia

Leggi anche:  Le canzoni di Herbert Pagani in scena e in un disco doppio della sorella Caroline

l’incontro con quell’auto della polizia

è stato come un fulmine a ciel sereno

è stato come se passasse sopra un treno

Quante volte si può morire e vivere

nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime

nelle foto e dentro i sogni che hanno la tua voce

dentro gli occhi di tua madre che han cambiato luce

Cinquantaquattro colpi avevi tatuato

sul capo, sulle braccia, sopra il tuo costato

il sangue sui capelli, il volto sfigurato

sembravi un giovin Cristo dalla croce giù calato

Quante volte si può morire e vivere

nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime

dentro i video e nei racconti dei tuoi amici affranti

e negli occhi tuo madre che ora son più grandi

Quante volte si può morire e vivere

nel ricordo, nell’amore e nelle lacrime

nelle foto e dentro i sogni che hanno la tua voce

dentro gli occhi di tua madre che han cambiato luce

Native

Articoli correlati