Mattia e gli altri: ecco i giovani che lottano per il nostro futuro
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Mattia e gli altri: ecco i giovani che lottano per il nostro futuro

Grazie ai giovani, ai cooperanti, agli artisti che non si arrendono. Una generazione in lotta, sogni, speranze, studi e azione. L'Italia non è solo Porta a Porta. [Sara Datturi]

Foto di Salvatore Lucente
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9 Luglio 2013 - 23.35


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di Sara Datturi

La fotografia come strumento d’espressione, di denuncia, comunicazione. Viviamo in un’epoca vulcanica, unica, dove in tempo reale sappiamo cosa sta succedendo in posti remoti. Ci scambiamo foto, emozioni, codifichiamo il reale, lo condividiamo con i nostri IPhone, su twitter, con facebook. Tutto è in rete: ogni secondo, sentimento è codificato e trasferito attraverso canali tecnologici, ci arriva tramite fili invisibili. Lo spazio temporale si restringe, ci sentiamo più vicini a chi è lontano fisicamente.

Scrittura, pittura, fotografia, scultura… espressioni atemporali, necessità innata di un essere umano che nonostante i secoli che passano sente l’esigenza di sfogare la propria visione del mondo, i suoi eterni e contradditori sentimenti, follie ed amori. In questo XXI secolo, in tale decennio di crisi economica, d’instabilità, conflitti interiori, chi sono gli artisti? Che cosa possono dare e comunicare attraverso la fotografia e la scrittura?

In questa Italia mercificata, nostalgica, cristallizzata, folle, ma sempre stupenda nella sua imperfezione ci sono tante giovani donne e uomini che continuano a lottare. Non sono nelle prime pagine dei giornali, non vogliono celebrità. Semplicemente vivono il loro obiettivo di vita, lo costruiscono, si perdono in giorni di straordinaria follia e tristezza infinita. Lottano per rimanere in equilibrio in una società che sembra aver dimenticato il grande potenziale della gioventù, quella carica energica e vitale che ti permette di creare, di riprodurre idee e ripensare la prospettiva delle cose. Giovani che sono pronti a lotte per reinventarsi, per costruire e vivere il loro sogno di vita.

C’è Ilaria che è partita dal suo paese veneto per andare due anni a frequentare un Erasmus Mundus in Spagna sulla gestione forestale sostenibile delle foreste mediterranee, che lascia una cittadina dove si è impegnata per creare una transition town dove ogni cittadino decide in modo comunitario come gestire il capitale sociale, ambientale ed economico attraverso un’ottica della gestione dei beni comuni non legata al profitto. Così si sono creati gli orti comuni, il baratto tra i pomodori della signora Carla e l’olio del signor Adolfo, il ritrovo settimanale per promuovere il giornale di paese, un dopo scuola gratuito per i bambini. Ilaria e il suo amore appassionato per il viaggio, le foreste, la natura, l’umanità. Ilaria, Simone, Giovanni, Chiara, Ilaria, Mattia tante storie, tante sfumature. Legati tra la voglia di rimanere in Italia, di costruire un nuovo modo di vivere il sociale dove non si lavora per vivere, ma si cerca d’esistere facendo ciò per cui si è portati, ciò che si ama fare.

Questi nomi hanno dietro storie differenti, ma sono legati al filo dell’amore verso il prossimo, dalla necessità di conoscere e scoprire le infinite variabili socio-economiche, politiche, storiche che stanno dietro ai conflitti, deportazioni, dittature, guerre civili. Tanti cuori che si sono iscritti alla laura triennale in cooperazione allo sviluppo nel 2008 e che adesso hanno preso strade sì differenti, ma ancora legate da un filo rosso. Una scelta di vita, prima che di lavoro. La necessità di sentirsi, di voler capire, scoprire, aprire le contradditorie porte di questo sistema mondo in cui viviamo, di creare legami con altre comunità per cercare insieme di trovare il modo per renderle autonome, autosufficienti per soddisfare bisogni primari. Diritto al sostentamento, a coltivare un campo, ad avere abbastanza acqua, diritto all’educazione, alla sanità… diritto a mantenere la propria dignità. E allora si parte, si vanno a vivere esperienze in diverse parti del mondo, situazione a volte forti, profonde, che ti permettono di riflettere sull’assurda condizione di quest’essere umano, sulla sua duplice tendenza ad amare e ad odiare, indissolubilmente legate in ogni periodo storico.

Ti sorprendi quando vivi così vicino la morte e la sofferenza ma ancora di più ti emozioni quando vedi l’enorme invincibile forte reazione e attaccamento alla vita. Una lezione che vale più di mille libri. Ogni persona che incontri, con cui condividi un pezzo di strada, diventa un pezzo di puzzle dentro di te, ti trasforma e di lega ancora più forte a questa misteriosa giungla umana.

Siamo una generazione che non è più legata a confini, noi abbiamo intrapreso una strada più difficile e rischiosa. Siamo andati avanti con lo studio. Abbiamo rimesso in gioco la nostra pazienza e voglia di conoscere il mondo. Ancora una volta siamo partiti zaino in spalla e via. Quello che ci aspettava non lo conoscevamo, forse ancora oggi c’è proibito saperlo fino in fondo. però io credo che tutto abbia un suo perché. Sta a noi dunque saper giocare, cogliere l’attimo, vivere quello che ci viene posto davanti.

Rischio, paura, incapacità di pensarsi a lungo termine. Gioia, follia, solidarietà, relazioni forti, apertura costante, rielaborazione infinita. Ci sono così tante storie, visioni; si parla di fughe di cervelli, di incapacità a livello di governo italiano di investire nelle nuove generazioni, di dare a noi uno spazio in cui costruirsi, decostruire, attualizzare le proprie potenzialità e sogni. Allora si parte, si va alla ricerca di posti, città, paesi in cui c’è invece qualcuno che ti dà una possibilità, crede nel tuo potenziale, ti lascia investire anche nella fotografia, nell’arte, nella scrittura. Oppure si rimane e si lotta costantemente per trovarsi uno spazio, una via di fuga in cui sentirsi, essere, attualizzare il proprio io. A volte diventa una ricerca straziante e si riparte. Non c’è un giusto o uno sbagliato, che si sia in Pakistan o a Roma, si combatte e si è in viaggio comunque. Dentro e fuori se stessi.

Tante orecchie, occhi; tutti i cinque sensi pronti a raccogliere quello che si è vissuto.
Così ecco che tra questi aspiranti cooperanti c’è anche Mattia, il giovane fotografo che è stato arrestato lo scorso sabato tra gli scontri avvenuti al parco di Gezi a Istanbul. Abbiamo vissuto insieme gli anni universitari di Padova e qualche mese in Palestina, un uomo dolce, creativo, caparbio.

Mattia ha lottato per vivere e attualizzare la sua passione. La fotografia come strumento per raccontare, per dare parole all’indicibile, leggere dentro l’anima di un’umanità in burrasca, tragica, torturata, forte, piena di vita e anche di morte. Lui, con i suoi venticinque anni, si è messo in discussione, ha rischiato, ha donato tutto se stesso per andare in aree del mondo dove l’unica speranza in cui sognare spazi aperti è il cielo, dove ci si domanda come l’uomo possa arrivare a espressioni di tale violenza e brutalità. Si diventa viandanti, si sviluppa un nomadismo dell’essere in continua turbolenza interiore. Mattia è tutto questo e molto di più. E’ capace di legarsi con il posto in cui è con grande empatia e dolcezza, riesce a intrufolarsi tra la gente e nelle situazioni più folli con uno spirito d’umiltà e coraggio unici. Raccontare, riportare con un unico clic. Uno scatto per rispecchiarsi nell’altro. Un essere che è il nostro NOI, a cui siamo indissolubilmente legati. Gli occhi diventano lo specchio di un’anima che soffre, ride, lotta. Ci ritroviamo spettatori di sentimenti estremi, di morte e sofferenza che nelle nostre tranquille società del benessere cerchiamo di nascondere, calpestare, rinchiudere dietro muri di cemento.

Mattia prima della Turchia è stato in Palestina, a Gaza, in Sud-America, in Mongolia.
Mattia è un grande sognatore, ma è prima di tutto un grande photo-reporter con una passione per la fotografia d’inchiesta singolare, capace d’ esprimere e riportare storie d’umana esistenza, resistenze capaci di lasciarti immergere in quelle situazioni e di farti stringere il cuore.
La fotografia come strumento di denuncia, di riflessione. Un clic per cogliere la fugace anima di un uomo che combatte, specchio di riflessione e domande per noi che la guardiamo in diversi spazi temporali. Emozioni che vengono trasportate, modificate, ricreate dal fotografo, proiezioni di noi stessi nel momento in cui ci poggiamo gli occhi.

Allora questo pezzo è un GRAZIE per tutti i giovani che non si accontentano di rimanere in superficie. Grazie a tutti i cooperanti che lavorano insieme con silenzio e passione per fare in modo che alcuni diritti primari siano rispettati. Grazie a tutti gli artisti, fotografi, pittori, scultori, scrittori per continuare a rilanciare l’arte nelle sue mille forme, per i loro racconti che ci permettono di avvicinarci al mistero di quest’umanità in eterna lotta.

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