di [url”Simona Maggiorelli”]simonamaggiorelli.com[/url]
“Non si dovranno più dipingere interni con gente che legge o donne che lavorano a maglia. Si dipingeranno uomini che vivono, che respirano, che sentono che soffrono, che amano” scriveva Edvard Munch nel 1889. In queste poche frasi è racchiusa tutta la sua poetica esistenzialista, nutrita con letture di Kierkegaard e di Nietzsche.
L’amore, la morte, la malattia, la soffocante ritualità sociale e poi il fascino femminile, avvertito come una forza trascinate e demonica dal pittore norvegese, erede del simbolismo e anticipatore di un uso antinaturalistico del colore che avrebbe presto fatto scuola fra gli espressionisti.
Tormentato, ossessionato dai fantasmi della religione in una Christiania (oggi Oslo) borghese e perbenista, eppure capace di un’arte audace e a suo modo vitale, nella rappresentazione di uomini e donne, presi nella trama delle passioni, corrosive eppure irrinunciabili. La produzione di Munch è amplissima e a trecentosessanta gradi fu la sua sperimentazione fra pittura (che realizzava sempre all’aperto nonostante le rigide temperature) grafica e disegno, come abbiamo avuto modo di apprezzare nella doppia retrospettiva che Oslo ha di recente dedicato a Munch per i 150 anni dalla sua nascita.
Dal 6 novembre anche l’Italia entra nel circuito internazionale delle celebrazioni munchiane con una mostra curata da Marc Restellini in Palazzo Ducale a Genova, promossa dal Comune e prodotta da Arthemisia Group e 24 ORE Cultura. Direttore della Pinacotheque de Paris, Restellini ha ideato l’antologica Edvard Munch ou l’Anti-Cri nel 2010 a Parigi e con questa nuova iniziativa – che si avvale di un comitato scientifico composto da Richard Shiff, Øyvind Storm Bjerke, Petra Pettersen e Ina Johannesen – si propone di far conoscere la produzione di Munch forse meno nota al pubblico italiano, in particolare quella delle incisioni. In cui la fantasia del pittore si realizzata in poche forme essenziali e potenti.
Nella tradizione occidentale, specie quella italiana, le xilografie e le incisioni sono sempre state considerate una produzione “minore” rispetto alla pittura e l’opera grafica che,specie nella tradizione rinascimentale tosco-emiliana, è sempre stata considerata dagli artisti come propedeutica al quadro dipinto, come studio e fase preparatoria. Per Munch invece – spiega Restellini nel catalogo 24 ORE Cultura che accompagna la mostra – l’incisione veniva dopo la pittura e ne rappresentava il punto di approdo finale.
L’appuntamento genovese, tuttavia, non delude gli appassionati della produzione pittorica di Munch squadernando in un percorso di 120 opere dell’artista norvegese, molte tele, dai primi quadri di paesaggio alle donne-madonne, dalle donne vampiro agli autoritratti, fino alle disincantate e amare variazioni sul tema del pittore e la modella degli ultimi anni.
Quadri inizialmente dai toni diafani, quasi evanescenti, un effetto che Munch produceva con quella che chiamava “la cura del cavallo” (ovvero esponendo le tele alle intemperie) e poi via via sempre più audaci nell’uso straniante e selvaggio del colore, per rappresentare stati d’animo che inondano la rappresentazione di cose e persone che, come nel celeberrimo Urlo, non hanno più niente di realistico in senso classico. La mostra sarà visitabile fino al 27 aprile 2014.