«Ma sapete, signor Simplicio, quel che accade? Sí come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie ed altre bagaglie, cosí, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi aritmetici».
Così Galileo faceva dire a Salviati nella Giornata seconda del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, illustrando chiaramente uno dei punti essenziali della sua metodologia: la realizzazione di esperimenti che si concentrino sugli aspetti veramente essenziali di un fenomeno, trascurando quelli secondari. Solo in questo modo, per Galileo, è possibile comprendere il mondo reale, «[…]intender la lingua e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche».
Non sempre, però, la “prescrizione galileiana” è semplice da attuare e la selezione degli aspetti essenziali di un fenomeno può presentare problemi insormontabili. È anche per questo che in molti settori della fisica oggi si fa uso di esperimenti, per così dire, “addomesticati”. In una sorta di “terra di mezzo” tra la fisica teorica e quella sperimentale, computer equipaggiati con software sofisticati permettono la ricostruzione di un mondo virtuale che porta alle estreme conseguenze la semplificazione galileiana, consentendo lo studio di quello che si ritiene essenziale. È la fisica computazionale, praticata in molti settori come la fisica dei solidi o la meccanica dei fluidi, che consente l’indagine di problemi difficili da trattare in modo matematicamente rigoso. Ma non è molto noto che alla nascita di questo approccio di studio ha contribuito, tra i primi, il più grande fisico italiano del novecento: Enrico Fermi.
La popolarità di Fermi è legata al formidabile gruppo creato all’Istituto di fisica dell’Università di Roma alla fine degli anni venti, i cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”, allo studio delle proprietà dei neutroni lenti, al Progetto Manhattan, ma i suoi contributi alla fisica teorica non sono certamente meno importanti. La teoria di Fermi delle interazioni deboli e la statistica di Fermi-Dirac sono solo gli esempi più alti di un’attività di teorico che si è affiancata a quella di grande sperimentatore e confermano le parole di Edoardo Amaldi, suo collaboratore nel gruppo romano, secondo il quale Fermi aveva la «capacità di cogliere immediatamente la legge generale nascosta dietro una tabella di dati sperimentali bruti». Un teorico di classe, quindi, che non mancò di dare dimostrazione delle sue capacità anche negli ultimi anni della sua vita. Nel dopoguerra si convinse della necessità di effettuare simulazioni numeriche con l’uso di computer, soprattutto applicate allo studio di sistemi non lineari. Non si trattava di utilizzare i calcolatori per effettuare grandi quantità di calcoli altrimenti difficilmente realizzabili, ma di un modo nuovo e originale di usare il computer come strumento di sperimentazione.
In collaborazione con il matematico polacco Stanislaw Ulam intraprese un’indagine sistematica dei sistemi non lineari, studio poi portato avanti anche dal fisico John Pasta, che culminò con la pubblicazione dell’articolo Studies of non linear problems dieci anni dopo la morte di Fermi. Fu un lavoro pionieristico ma non valorizzato subito dalla comunità scientifica.
A partire dalla fine degli anni Sessanta, però, la simulazione numerica ha cominciato ad assumere un ruolo significativo nella fisica e a costituire un importante strumento di verifica di congetture e ipotesi non ancora sistemate in una teoria robusta. Uno strumento per chiarire idee e orientare scelte teoriche e sperimentali e che ha consentito la rinascita di settori come quelli legati allo studio delle turbolenze o dei sistemi dinamici caotici.
«Il navigatore italiano è giunto nel nuovo mondo». Questo era stato il messaggio in codice inviato al Presidente Roosvelt come conferma del successo dell’esperimento del gruppo guidato da Fermi nel Progetto Manhattan. E chiudendo la sua breve quanto intensa vita il navigatore era nuovamente salpato verso nuove terre, percorrendo una rotta libera dagli “impedimenti della materia”.
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